carla panariello
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venerdì 5 marzo 2010
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spietatissimo clint
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Clint nasce cowboy e - accada quel che accada - da cowboy approccia ogni argomento, perché nella vita non ci si può tirare indietro, perché ogni azione prelude ad una reazione e questo è il western e "non è questione di meriti". La pistola è sempre al fianco, o si fa credere che lo sia, come accade in Gran Torino, non è necessario usarla; nel caso di Invictus la pistola è la poesia che Madiba regala Francois Pienaar, ed attraverso questa poesia il legame si stringe ed il rugbista comprende tutto ciò che non aveva neanche visto dalle finestre della sua casa di bianco. Bravissimo Morgan Freeman, unico attore possibile in questo ruolo con il suo sorriso aperto e sincero ed anche un po' furbo, il sorriso di chi sa già come andrà a finire.
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Clint nasce cowboy e - accada quel che accada - da cowboy approccia ogni argomento, perché nella vita non ci si può tirare indietro, perché ogni azione prelude ad una reazione e questo è il western e "non è questione di meriti". La pistola è sempre al fianco, o si fa credere che lo sia, come accade in Gran Torino, non è necessario usarla; nel caso di Invictus la pistola è la poesia che Madiba regala Francois Pienaar, ed attraverso questa poesia il legame si stringe ed il rugbista comprende tutto ciò che non aveva neanche visto dalle finestre della sua casa di bianco. Bravissimo Morgan Freeman, unico attore possibile in questo ruolo con il suo sorriso aperto e sincero ed anche un po' furbo, il sorriso di chi sa già come andrà a finire. Grande film.
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infinito176
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venerdì 5 marzo 2010
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dopo gt clint non si smentisce
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Dopo GT Clint Eastwood torna ad affrontare il problema del razzismo in un contesto molto complicato come quello del Sud Africa dei primi anni '90. L'apartheid è stato appena abolito e i neri africani vogliono disfarsi di tutto ciò che ricorda loro il vecchio regime razzista, in particolare la squadra di rugby degli Springboks. Nelson Mandela pensa che invece questo sia proprio quanto di più sbagliato si possa fare in una situazione così complessa. Il rugby che ha il potere di unire una nazione. Molto commovente, davvero ben girato. Ottimo film che può far riflettere anche in Italia, dove molto spesso sugli spalti degli stadi di calcio non si vedono tifosi, ma bestie vestite.
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Dopo GT Clint Eastwood torna ad affrontare il problema del razzismo in un contesto molto complicato come quello del Sud Africa dei primi anni '90. L'apartheid è stato appena abolito e i neri africani vogliono disfarsi di tutto ciò che ricorda loro il vecchio regime razzista, in particolare la squadra di rugby degli Springboks. Nelson Mandela pensa che invece questo sia proprio quanto di più sbagliato si possa fare in una situazione così complessa. Il rugby che ha il potere di unire una nazione. Molto commovente, davvero ben girato. Ottimo film che può far riflettere anche in Italia, dove molto spesso sugli spalti degli stadi di calcio non si vedono tifosi, ma bestie vestite.
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aesse
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venerdì 5 marzo 2010
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la pace non si fa con l’odio
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Come fa Clint Eastwood a frequentare temi a vocazione così altamente retorica fornendoci opere cinematografiche, che ne risultano così miracolosamente indenni? Sarà per quelle 2 sole espressioni per cui è famoso come attore che non indulge a ridondanti accelerazioni emotive, ma anche in Invictus riesce a vincere la presunta scommessa la cui posta in quest’ultimo film si è innegabilmente alzata. Vedere a quale bellezza e forza possa giungere il genere umano quando è in uno stato di grazia è sommamente commovente e in questo film molti sono i momenti di grande commozione, tanto commoventi, quanto assolutamente aretorici come solo la verità narrata con modalità autentiche può essere.
Così come la vera storia della libertà riconquistata e l’inizio della presidenza di Nelson Mandela si esprime attraverso la rilettura rivoluzionaria dell’ortodosso assunto di partenza, per gli stessi piani interpretativi si muove quest’ultima coraggiosissima regia di Eastwood .
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Come fa Clint Eastwood a frequentare temi a vocazione così altamente retorica fornendoci opere cinematografiche, che ne risultano così miracolosamente indenni? Sarà per quelle 2 sole espressioni per cui è famoso come attore che non indulge a ridondanti accelerazioni emotive, ma anche in Invictus riesce a vincere la presunta scommessa la cui posta in quest’ultimo film si è innegabilmente alzata. Vedere a quale bellezza e forza possa giungere il genere umano quando è in uno stato di grazia è sommamente commovente e in questo film molti sono i momenti di grande commozione, tanto commoventi, quanto assolutamente aretorici come solo la verità narrata con modalità autentiche può essere.
Così come la vera storia della libertà riconquistata e l’inizio della presidenza di Nelson Mandela si esprime attraverso la rilettura rivoluzionaria dell’ortodosso assunto di partenza, per gli stessi piani interpretativi si muove quest’ultima coraggiosissima regia di Eastwood .
Questo è un film che si titola in lingua latina con le caratteristiche di potenziatrice di retorica solennità che questo comporta, usando il titolo di una poesia vittoriana, come ci dice il meraviglioso Mandela-Freeman il cui contenuto, opera del poeta Henley, superandone la volontà patriottica intrinseca, il nostro splendido eroe usa in chiave assolutamente rivoluzionaria se si vuole intendere come rivoluzionaria la modalità rivoluzionata contraria a quella prevista e quindi consueta.
Invictus cioè invincibile come la qualità dell’anima per la quale Mandela rende grazie a Dio.
Com’ha da essere un’anima invincibile? Se no non essere vinta e corrotta, vendicativa e rancorosa? Un’anima invincibile come nel caso di Mandela e anche di Eastwood, vista l’età, non immeschinita dal rimbambimento, deve volare alto verso ambiziosi compiti di costruzione realizzando progetti considerati improbabili se non impossibili insomma delle vere e proprie missioni.
Così si avvia il processo di pacificazione nel quale nel quale il neoeletto Mandela impegna tutte le proprie energie in totale disponibilità dell’auspicabile futuro che si origina proprio nelle terribili ingiustizie vissute: deprivato della libertà per 27 anni (ogni mattina ancora buia, prima di uscire scortato per passeggiare, riassetta il letto come se ancora fosse il pagliericcio della sua disumana cella con metodicità dolorosamente acquisita) opponendosi a quell’ovvio “cambiare”troppo prevedibile nella sua radicalità, evitando la riproposizione a parti invertite dei torti subiti, vuole definire e promuovere un irreversibile cambiamento.
Il film racconta un episodio emblematico dell’involontaria-eroica vocazione umana al cambiamento: il cuore batte forte, forte quando il plurale si coniuga fra il nero e il bianco che la congiura trasforma da vittima e carnefice in fraterni sodali, quell’ “abbiamo vinto” è il primo noi di un nuovo stato pacificato e una mano bianca si intreccia con quella nera che solleva nel cielo della gloria la coppa dei campioni del mondo: c’è una partita di rugby che tiene il pubblico del film come appassionati tifosi… Eastwood racconta questa storia vera, senza scadute, in costante tensione, facendo vera storia, creando un precedente positivo la vicenda di Mandela allarga la possibilità umana, superati pericolosi ammiccamenti, in verità, vi si narra una cosa bella con il solenne rispetto che gli compete perché questo è uno di quei film che si riconoscono belli non con la testa ma con il cuore.
ANTONELLA SENSI
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the lady on the hot tin roof
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venerdì 5 marzo 2010
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io sono il capitano della mia anima
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Le critiche mosse nei confronti di questo film sono unidirezionali: l'assuefazione di Clint Eastwood alle ingiustizie più torbide che ha portato per anni sul grande schermo lo avrebbe disorientato e reso timido di fronte ad una storia fondamentalmente positiva. Di conseguenza, non avrebbe approfondito a sufficienza la figura di Nelson Mandela, qui interpretato dal saggio e carismatico Morgan Freeman, attore prescelto dallo stesso Mandela. Tuttavia, simili argomentazioni deviano abissalmente da quello che è lo scopo del film, non quello di ripercorrere la biografia di un uomo bensì di testimoniare la capacità dello sport, in particolare uno di quelli attualmente più svincolati dalla corruzione del "mercato", di unire le persone anche nei casi più disperati.
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Le critiche mosse nei confronti di questo film sono unidirezionali: l'assuefazione di Clint Eastwood alle ingiustizie più torbide che ha portato per anni sul grande schermo lo avrebbe disorientato e reso timido di fronte ad una storia fondamentalmente positiva. Di conseguenza, non avrebbe approfondito a sufficienza la figura di Nelson Mandela, qui interpretato dal saggio e carismatico Morgan Freeman, attore prescelto dallo stesso Mandela. Tuttavia, simili argomentazioni deviano abissalmente da quello che è lo scopo del film, non quello di ripercorrere la biografia di un uomo bensì di testimoniare la capacità dello sport, in particolare uno di quelli attualmente più svincolati dalla corruzione del "mercato", di unire le persone anche nei casi più disperati.
Invictus è un film poderoso come i suoi giocatori di rugby, adrenalinico grazie alla splendida fotografia di Tom Stern e supportato da un cast perfetto, all'interno del quale spicca uno strabiliante Matt Damon nel ruolo di Francois Pienaar (perfetto il suo accento sudafricano, a differenza di quello di Freeman), per sua sfortuna già victus nella corsa all'Oscar dal sublime Christoph Waltz di Bastardi senza gloria.
L'aspetto maggiormente interessante è sicuramente dato dalla "multifocalità" della vicenda: la trama è unica, ma è raccontata da punti di vista molto diversi tra loro, ognuno con una propria motivazione alle spalle.
Innanzitutto vi è Mandela, che inizialmente vede nel campionato mondiale di rugby l'opportunità di lanciare in modo eclatante un messaggio politico di unione e finisce per essere egli stesso coinvolto nella fervente anticipazione di un qualunque tifoso, rinnovando il suo spirito guerriero indomabile nella convinzione che debba sempre essere possibile cambiare lo stato delle cose.
In secondo luogo vi è Pienaar, il simbolo della transizione dall'ideologia paterna dell'apartheid verso un nuovo modo di pensare dei cittadini sudafricani, coraggioso apostolo di un messaggio di pace inizialmente frainteso da entrambi i lati della divisione razziale.
In terzo luogo, vi è il cast corale dello staff presidenziale, nel quale ogni persona è in qualche modo influenzata dalla figura centrale e finisce per essere trasformata nel profondo, pronta a dare la vita per qualcosa di infinitamente più grande e importante.
Ciò che Eastwood trasmette ai suoi spettatori, senza propaganda politica o strepiti retorici (alla faccia di chi ha definito questo "un film dell'era Obama"!), è quel senso di dignità che porta a credere ed a combattere per qualcosa e chi si lascerà conquistare dalla sobria bellezza del film uscirà dal cinema con l'impulso, per quanto temporaneo, di portare a termine qualcosa di molto rilevante.
Il testo della poesia "Invictus" di W.E. Henley, che ha ispirato il titolo del film, si trova qui http://en.wikipedia.org/wiki/Invictus
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g. romagna
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giovedì 4 marzo 2010
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invictus
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Il primo anno di Nelson Mandela nel ruolo di presidente della Repubblica Sudafricana è raccontato utilizzando come spunto narrativo il cammino della relativa nazionale di rugby, gli Springboks, dalle difficoltà iniziali alle grandi prestazioni nel campionato mondiale 1995, che si tiene proprio in Sudafrica. Lo spunto è di notevole acutezza, perchè permette al film di descrivere argutamente le principali doti di Mandela rendendo importante, nella sua portata simbolica, un evento altrimenti considerabile come marginale nella realtà di un paese che stava cercando di affrontare problemi ben più gravi. Il rugby, nel Sudafrica del tempo, era uno sport elitario, praticato quasi esclusivamente dai bianchi, e la squadra nazionale, capitanata da Francois Pienaar (Matt Damon) ne era specchio (uno solo dei duoi giocatori, Chester, è di pelle nera).
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Il primo anno di Nelson Mandela nel ruolo di presidente della Repubblica Sudafricana è raccontato utilizzando come spunto narrativo il cammino della relativa nazionale di rugby, gli Springboks, dalle difficoltà iniziali alle grandi prestazioni nel campionato mondiale 1995, che si tiene proprio in Sudafrica. Lo spunto è di notevole acutezza, perchè permette al film di descrivere argutamente le principali doti di Mandela rendendo importante, nella sua portata simbolica, un evento altrimenti considerabile come marginale nella realtà di un paese che stava cercando di affrontare problemi ben più gravi. Il rugby, nel Sudafrica del tempo, era uno sport elitario, praticato quasi esclusivamente dai bianchi, e la squadra nazionale, capitanata da Francois Pienaar (Matt Damon) ne era specchio (uno solo dei duoi giocatori, Chester, è di pelle nera). I neri erano coloro che giocavano a calcio e che non seguivano il rugby, o che lo facevano solo per tifare contro gli odiati Springboks. Mandela intuì l'enorme forza catalizzatrice che lo sport poteva avere, e quanto una squadra come quella di rugby, quasi del tutto bianca, potesse fungere da strumento di riconciliazione nazionale dei neri con i bianchi per sancire definitivamente un nuovo inizio nella realtà del suo Stato. Dapprima le difficoltà furono inevitabili e, apparentemente, insormontabili, ma la tenacia e la lungimiranza di Mandela ebbero la meglio, riuscendo a far stringere tutto il paese attorno agli Springboks, la cui micidiale progressione li condusse fino alla finale contro la Nuova Zelanda del temibile Jonah Lomu... Eastwood dipinge Mandela per ciò che è stato: un grande politico che, dopo ventisette anni di prigionia in una cella di poco più di un metro quadro, fu capace, alla sua uscita, di perdonare i suoi aguzzini e di far uscire il Sudafrica da una condizione di terribile apartheid. L'intento celebrativo è sviluppato concentrandosi sulle vicende della squadra di rugby, espediente sapiente perchè permette di parlare pienamente dell'ex presidente sudafricano senza rischiare di appesantire la vicenda con toni agiografici. La forza simbolica e nazional-popolare dello sport è messa in rilievo senza assolutamente esagerare le sue possibilità: anche De Gasperi, nel 1948, dopo l'attentato a Togliatti, con il paese sull'orlo della guerra civile, telefonò a Gino Bartali per incoraggiarlo a vincere il Tour de France in modo da catalizzare su di sè le attenzioni dell'opinione pubblica, ormai è storia. Al giorno d'oggi, dopo Mandela, l'ANC, il suo partito, non ha saputo raccogliere il testimone e, pur riuscendo a mantenere un equilibrio razziale ancora non pienamente stabilizzato, si è allontanato dagli insegnamenti del vecchio leader riscoprendo la strada della classista ortodossia del neoliberismo. Ciononostante, il suo messaggio non ha mai perso di vigore e di tenacia (qualificandosi veramente come “invictus”, non spezzato e non spezzabile), ed è un bene, per la nostra memoria, che ci sia oggi chi desideri ricordarlo con pellicole come queste, di sicuro valore. Morgan Freeman, nel ruolo di Madiba, ci offre una buonissima interpretazione, e la sua somiglianza fisica con l'ex presidente è notevole, senza nemmeno, apparentemente, ricorrere ad un eccessivo lavoro da parte dei truccatori. Clint Eastwood, con Invictus, pur non regalandoci un capolavoro, ci offre un lavoro di considerevole fattura, confermandosi, una volta di più, come uno dei più importanti registi dell'epoca attuale.
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marksnape
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giovedì 4 marzo 2010
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invictus. l'invincibile
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Apartheid, cooperazione, integrazione, perdono, razzismo e povertà; ecco i temi fondanti dell'ottimo lavoro firmato Clint Eastwood, in questo istante nelle sale.
La storia di un uomo, di un sogno di libertà e di giustizia affrontati in modo veramente perfetto; E' il 1990 quando Nelson Mandela, dopo quasi 3 decenni di prigionia, viene scarcerato ed è il 1994 quando la sua elezione diviene simbolo della lotta all'apartheid.
In questo film, dove la magistrale interpretazione di Morgan Freeman salta agli occhi in modo lapalissiano, il Madiba cerca di sconfiggere definitivamente la discriminazione attraverso una delle armi comunicative più influenti, lo sport.
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Apartheid, cooperazione, integrazione, perdono, razzismo e povertà; ecco i temi fondanti dell'ottimo lavoro firmato Clint Eastwood, in questo istante nelle sale.
La storia di un uomo, di un sogno di libertà e di giustizia affrontati in modo veramente perfetto; E' il 1990 quando Nelson Mandela, dopo quasi 3 decenni di prigionia, viene scarcerato ed è il 1994 quando la sua elezione diviene simbolo della lotta all'apartheid.
In questo film, dove la magistrale interpretazione di Morgan Freeman salta agli occhi in modo lapalissiano, il Madiba cerca di sconfiggere definitivamente la discriminazione attraverso una delle armi comunicative più influenti, lo sport.
Assieme al rinomato Matt Damon, questo film riesce davvero ad arrivare al cuore delle cose, e ci insegna che, nonostante le sofferenze, il perdonare sia la cosa più umana e importante per vivere in sintonia.
Davvero un film da vedere!
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olgadik
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giovedì 4 marzo 2010
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rugby e razzismo
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L’ultima creatura di Eastwood non è un film minore ma non ha la folgorante sintesi di Gran Torino né il fascino di Changeling. Il tema che l’autore ormai ottantenne ha davanti è complesso, carico di implicazioni di tutti i tipi. Ad offrire lo spunto giusto un libro, Ama il tuo nemico di John Carlin, cui Eastwood fa riferimento. Siamo nel 1995: è l’inizio della nuova presidenza sudafricana e Mandela sceglie di iniziare il suo processo di riconciliazione di neri e africaneers (discendenti bianchi di coloni anglo-olandesi) servendosi del tifo sportivo, da sempre un collante che funziona per popoli altrimenti divisi. E qui c’è l’occasione d’oro: vincere i mondiali ospitati a Johannesburg. Il compito spetta alla squadra degli Springbox, da sempre odiata dai neri per il suo razzismo.
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L’ultima creatura di Eastwood non è un film minore ma non ha la folgorante sintesi di Gran Torino né il fascino di Changeling. Il tema che l’autore ormai ottantenne ha davanti è complesso, carico di implicazioni di tutti i tipi. Ad offrire lo spunto giusto un libro, Ama il tuo nemico di John Carlin, cui Eastwood fa riferimento. Siamo nel 1995: è l’inizio della nuova presidenza sudafricana e Mandela sceglie di iniziare il suo processo di riconciliazione di neri e africaneers (discendenti bianchi di coloni anglo-olandesi) servendosi del tifo sportivo, da sempre un collante che funziona per popoli altrimenti divisi. E qui c’è l’occasione d’oro: vincere i mondiali ospitati a Johannesburg. Il compito spetta alla squadra degli Springbox, da sempre odiata dai neri per il suo razzismo. Per raggiungere l’obiettivo di fare del rugby una bandiera politica Mandiba (tale il suo nome nella lingua dei nativi), nonostante la contrarietà del suo popolo, crea un rapporto di forte comunicazione con il capitano della squadra Fancois Pienaar (Matt Damon), che spinge a divenire “il capitano della sua anima”. Con il carisma di cui è fornito, Mandela (Morgan Freman) riuscirà così ad amalgamare attorno alla sua idea le due componenti umane e sociali del gigantesco paese. Tra gli altri impegni pubblici di ogni tipo, lo vedremo quindi assistere in campo la squadra e indossarne la maglia. Anche gli uomini della sua scorta, metà bianca e metà nera, altra scelta politica sottolineata dal film, saranno coinvolti nel tifo. Invece della Haka (danza propiziatrice Maori dei loro avversari neozelandesi) gli Springbox hanno dalla loro due inni, quello di origine olandese e quello in lingua khosa. Le due formazioni che si misurano in campo occupano quasi tutto il secondo tempo. La lunga sfida è la parte tecnicamente più emozionante e riuscita di Invictus. Con la stead-camera che si muove con intensità e dinamismo, Eastwood cattura lo sforzo, i rumori e l’ansare del respiro, si sposta sotto il mucchio umano, segue il ritmo dell’azione con una resa quasi fisica che si ritrova spesso nel cinema americano (vedi Fuga per la vittoria di Houston). Alla riuscita di questa parte del film collabora anche il montaggio mozzafiato di Jole Fox, tanto che siamo in tribuna anche noi… Il resto del racconto è costruito con tratti essenziali, fatti di piccole cose rivelatrici di una realtà più ampia che un solo film non può rendere nella sua complessità. La scelta di selezionare i dettagli alla fine è vincente perché Eastwood è maestro al riguardo, ma è mia convinzione che se la partita simbolica avesse preso meno spazio, cedendolo a qualche altro asciutto approfondimento, il film ne avrebbe guadagnato e lo stesso personaggio di Mandela sarebbe apparso un po’ meno santino. Perché se un limite c’è nel discorso è questo eccesso di epicità in cui quasi lo sport la vince sulla politica. Del resto non è giusto chiedere a un autore di essere ciò che non è e di volere ciò che non vuole. Nel nostro caso quello che il regista ha voluto raccontare vale comunque ed emoziona con la sua semplicità mai superficiale ma scelta come cifra di stile. Per questo Eastwood ha ancora molto da dirci con la generosa rudezza che lo contraddistingue. Freeman è perfetto nella parte, un po’ meno Matt Damon che sfodera spesso espressioni un po’ ottuse senza molte varianti.
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antonio l.
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giovedì 4 marzo 2010
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mèta raggiunta
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Risultato artistico discreto,risultato morale eccellente. Non bellissimo ma film limpido e sano.Ha dei difetti.La pellicola sbiadita,un pizzico di retorica,Matt Damon e qualche lentezza nel primo 1°tempo ma il saldo è ben che positivo.Attorno a due cose poi sembra svilupparsi: omaggi e consigli. Consigli ai capi delle nazioni,che perseguano il carisma nell'umiltà e nella gentilezza ma che siano anche capaci di cambiare quando necessario.Che mirino all'interesse collettivo cominciando da quello degli avversari.Che cerchino sempre occasioni,anche le più insignificanti,per spegnere odi e pregiudizi. Omaggi invece a tanti altri. A Madiba Mandela innanzitutto,tra i grandi eroi del nostro tempo.Al SudAfrica,paese problematico e geograficamente ai margini ma con grandi cose da insegnare.
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Risultato artistico discreto,risultato morale eccellente. Non bellissimo ma film limpido e sano.Ha dei difetti.La pellicola sbiadita,un pizzico di retorica,Matt Damon e qualche lentezza nel primo 1°tempo ma il saldo è ben che positivo.Attorno a due cose poi sembra svilupparsi: omaggi e consigli. Consigli ai capi delle nazioni,che perseguano il carisma nell'umiltà e nella gentilezza ma che siano anche capaci di cambiare quando necessario.Che mirino all'interesse collettivo cominciando da quello degli avversari.Che cerchino sempre occasioni,anche le più insignificanti,per spegnere odi e pregiudizi. Omaggi invece a tanti altri. A Madiba Mandela innanzitutto,tra i grandi eroi del nostro tempo.Al SudAfrica,paese problematico e geograficamente ai margini ma con grandi cose da insegnare.Allo sport di squadra come occasione patriottica e anti-razzista. Al rugby,gioco rude ma estremamente civile. Al presidente Obama e a tutte le persone di colore che in virtù della loro bravura hanno saputo dimostrare che il mondo oggi può essere anche black. A Morgan Freeman,attore che più invecchia e più migliora. E infine a Clint Eastwood stesso,alla sua solitaria,cocciuta e “invitta” idea di giustizia. Mèta raggiunta.
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postino70
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mercoledì 3 marzo 2010
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finalmente
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finalmente un bel film dopo le schifezze dell'ultimo periodo un film bel appassionante noioso onore al premio nobel x la pace mandela da non perdere
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mrdry
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mercoledì 3 marzo 2010
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film appassionante e molto emozionante.
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Film dell'orgoglio nazionale sudafricano.
Il personaggio di Nelson Mandela magistralmente interpretato da Morgan Freeman emerge come un eroe.
Capace di unire il popolo diviso dall'aparteid attraverso lo sport nazionale dei bianchi.
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