Il papà di Giovanna |
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Un film di Pupi Avati.
Con Silvio Orlando, Francesca Neri, Ezio Greggio, Alba Rohrwacher.
continua»
Drammatico,
durata 104 min.
- Italia 2008.
- Medusa
uscita venerdì 12 settembre 2008.
MYMONETRO
Il papà di Giovanna
valutazione media:
2,79
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Lotta di classe a colpi di rasoiodi Paolo PasettiFeedback: 0 |
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lunedì 22 settembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
A volte, anche con i personaggi di film o romanzi, è necessario fare un po’ di conti. Nella Bologna del 1938, Giovanna ha 17 anni; dunque è nata nel 1921. È, praticamente, una “coetanea” del fascismo. Michele Casali, padre di Giovanna, è un insegnante di disegno, borghese piccolissimo, chiuso nella sua infinita mediocrità ma intimamente velleitario e irrazionale. Giovanna cresce nell’illusione (l’impossibilità?) di essere normale, di essere come le altre, come le sue compagne del liceo-bene di Bologna. Ma Giovanna è brutta, sporca e – presto – sarà anche cattiva. Come ci ha insegnato l’antipsichiatria, la follia non è altro che un cortocircuito logico, un sostituirsi del gesto al pensiero, un’”altra logica” che corre parallela a quella comune, corrente, normale. A un certo punto Giovanna, male-educata dalle ambizioni sbagliate del padre, si accorge drammaticamente che la sua “normalità” era pura finzione. Il ragazzo che lei amava in realtà “parlava” con lei solo per rubarle i compiti e, meschinamente, per corrompere il padre il cui voto era determinante per il suo futuro scolastico. Parlava con lei ma – come sempre e stato e sempre sarà – si infrattava in palestra con ben altra ragazza. Quella sì, borghese sul serio, figlia e nipote di fascistoni, destinata alla vita “vera”, quella dei soldi, del potere e della bellezza. Ed è qui che entra in scena la follia, con la sua logica spietata, che non ammette eccezioni o deroghe. Nella mente malata di Giovanna, attraverso il suo delitto, si anticipa il delitto collettivo che arriverà presto: prima con le leggi razziali (guarda caso, proprio nel 1938...), poi con l’esplodere della guerra. L’assassinio compiuto da Giovanna è, in definitiva, una sorta di “modello in miniatura” di quello che sarà il grande assassinio di massa compiuto dal fascismo, prima ai danni degli ebrei (ma anche comunisti, zingari, omosessuali…), poi ai danni di tutti. Nella testa di Giovanna si agita quella violenza niente affatto cieca, del tutto premeditata, che di lì a poco si scatenerà a livello di massa nelle deportazioni e nella guerra. La dis-ragione di Giovanna si nutre di considerazioni corrette: la presenza, sotterranea ma incancellabile, del conflitto di classe. Quel conflitto di classe che il fascismo aveva cercato di cancellare dalla storia e dalle coscienze, fingendosi regime a-classista, con le sue trombonate di “popoli” e Imperi. Partendo da premesse giuste (il conflitto di classe, che lei rappresenta fisicamente, oltre che socialmente), Giovanna trae conclusioni sbagliatissime: l’omicidio. Anziché, come hanno fatto molti suoi coetanei, andare sulle montagne unendosi a qualche brigata partigiana, Giovanna ha preferito la strada più breve per “sanare” il conflitto: due colpi di rasoio alla gola della sua “avversaria”. Ma, come sappiamo, per prendere la via delle montagne serve un requisito fondamentale: essere coscienti di ciò che si è. Giovanna non lo è, non può esserlo. D’altra parte, come condannarla per questo? Oggi, il sottoproletariato urbano preferisce recarsi ogni domenica a spaccare qualche testa negli stadi, piuttosto che organizzare un faticosissimo conflitto sociale. Senza coscienza di sé, le “energie negative” della psicopatologia sociale conoscono un solo linguaggio per esprimersi: la violenza. Ma – direbbe la “signora mia” di Arbasino – piuttosto di una Rivoluzione è sempre meglio qualche testa rotta e qualche piccolo pogrom, che diamine!
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