ambrogionte
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mercoledì 24 dicembre 2008
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per i ragazzi, con garbo ma senza reticenze
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L'ho appena visto, mi è piaciuto moltissimo. Il silenzio in sala alla fine della proiezione e la gente che non voleva alzarsi subito, segni di un impatto forte. Bella la sceneggiatura, straordinari i due piccoli attori protagonisti. La malvagità umana al suo culmine, la storia che schiaccia tutti: i bambini inconsapevoli, in primis, ma anche gli adulti resi ciechi dalla propaganda e da un senso del dovere disumano, tutti sono vittime. Il film commuove ma senza cadere nel patetismo trito e prevedibile; non mostra scene di particolare crudezza e violenza ma, al tempo stesso, non nasconde nulla della tragedia della guerra e dei campi di sterminio. Da vedere, coi figli o gli alunni, anche da soli.
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L'ho appena visto, mi è piaciuto moltissimo. Il silenzio in sala alla fine della proiezione e la gente che non voleva alzarsi subito, segni di un impatto forte. Bella la sceneggiatura, straordinari i due piccoli attori protagonisti. La malvagità umana al suo culmine, la storia che schiaccia tutti: i bambini inconsapevoli, in primis, ma anche gli adulti resi ciechi dalla propaganda e da un senso del dovere disumano, tutti sono vittime. Il film commuove ma senza cadere nel patetismo trito e prevedibile; non mostra scene di particolare crudezza e violenza ma, al tempo stesso, non nasconde nulla della tragedia della guerra e dei campi di sterminio. Da vedere, coi figli o gli alunni, anche da soli. Meno "poetico" de "La vita è bella" ma molto più realistico e contestualizzato. Finale straziante ed inatteso.
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sergio65
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venerdì 30 dicembre 2011
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se i bambini governassero il mondo...
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Uno dei migliori film sull'Olocausto, al quale si perdona anche qualche inverosimiglianza a fini narrativi (un bambino di otto anni che da solo e in pochi minuti scava con una vanga un passaggio sotto la recinzione di un lager senza essere visto da nessuno, la soppressione degli Ebrei prigionieri col gas decisa giusto mentre Bruno si introduce di nascosto nel campo, e così via). La storia narrata ed il suo straziante finale lasciano nello spettatore uno strano impasto di sentimenti contrastanti. Il dolore per la morte orribile dei due bambini e degli sventurati Ebrei internati, la tenerezza per l'innocenza del piccolo Bruno che per amicizia va incontro alla fine senza capirlo, perfino una punta di maligna soddisfazione per l'ufficiale che, convinto propugnatore (ed esecutore!) delle deliranti teorie naziste, perde il figlioletto ucciso dalla stessa ferocia di quel diabolico sistema e prova così lo stesso dolore delle sue vittime.
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Uno dei migliori film sull'Olocausto, al quale si perdona anche qualche inverosimiglianza a fini narrativi (un bambino di otto anni che da solo e in pochi minuti scava con una vanga un passaggio sotto la recinzione di un lager senza essere visto da nessuno, la soppressione degli Ebrei prigionieri col gas decisa giusto mentre Bruno si introduce di nascosto nel campo, e così via). La storia narrata ed il suo straziante finale lasciano nello spettatore uno strano impasto di sentimenti contrastanti. Il dolore per la morte orribile dei due bambini e degli sventurati Ebrei internati, la tenerezza per l'innocenza del piccolo Bruno che per amicizia va incontro alla fine senza capirlo, perfino una punta di maligna soddisfazione per l'ufficiale che, convinto propugnatore (ed esecutore!) delle deliranti teorie naziste, perde il figlioletto ucciso dalla stessa ferocia di quel diabolico sistema e prova così lo stesso dolore delle sue vittime. Sullo sfondo dell'orrore che permea tutta la vicenda e che si materializza di tanto in tanto nel fumo nero e nella "puzza" che emana dai crematori, il film offre anche alcuni ritratti psicologici complessi: la sorella dodicenne di Bruno sulla quale la propaganda nazista ha attecchito facilmente, che prova già attrazione per il giovane tenente, sintomo di un Male che sta già precocemente germogliando dentro di lei; la moglie dell'ufficiale, sconvolta quando apprende la verità su quanto accadeva realmente nei "campi di lavoro", che pone molti interrogativi su come i regimi più disumani possono mantenere il potere; la figura del tenente che, umiliato dalla diserzione del padre, sfoga la sua frustrazioritne con atti di gratuita e barbara violenza contro i più deboli di lui, altra dimostrazione di meschinità umana e, inviato poi al fronte, resta lui stesso schiacciato dalla stessa mostruosa ed inumana macchina di cui era solo un piccolo ingranaggio. Il film l'ho visto con le mie figlie, una (che ha nove anni) mi faceva domande ed io le spiegavo alcune scene. Alla fine è andata a dormire senza fare commenti, ma ha sentito il bisogno di abbracciarmi. Questo vorrà dire qualcosa...
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kià...
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venerdì 13 marzo 2009
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"il bambino con il pigiama a righe"
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Il bambino von il pigiama a righe di Mark Herman
In una Berlino degli anni Quaranta essere figlio di in ufficiale nazista non era certamente facile.
In un'ambiente circondato da distruzione, morte e tragedia, si inserisce, quasi come un paradosso, la vita di Bruno, un bambino di otto anni che si ritova in una noiosa e monotona cittadina di campagna, lontano da Berlino.
Presto però avverrà l'incontro con un bambino ebreo...
"Ma non è un nome Shmuel, nessuno si chiama così!"
Tra i due bambini nasce subito un'amicizia, un tedesco con un ebreo, sembra quasi un'illusione, ma il film vuole porre da una parte Shmuel, costretto a subire pesanti angherie e dall'altra Bruno, e l'ingenuità di un bambino ci porta alla realtà, rappresentata da coloro che non vogliono aprire gli occhi alla verità.
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Il bambino von il pigiama a righe di Mark Herman
In una Berlino degli anni Quaranta essere figlio di in ufficiale nazista non era certamente facile.
In un'ambiente circondato da distruzione, morte e tragedia, si inserisce, quasi come un paradosso, la vita di Bruno, un bambino di otto anni che si ritova in una noiosa e monotona cittadina di campagna, lontano da Berlino.
Presto però avverrà l'incontro con un bambino ebreo...
"Ma non è un nome Shmuel, nessuno si chiama così!"
Tra i due bambini nasce subito un'amicizia, un tedesco con un ebreo, sembra quasi un'illusione, ma il film vuole porre da una parte Shmuel, costretto a subire pesanti angherie e dall'altra Bruno, e l'ingenuità di un bambino ci porta alla realtà, rappresentata da coloro che non vogliono aprire gli occhi alla verità.
Si tratta di 93 minuti molto intensi, dove il film non perde mai il tuo ritmo teso e drammatico e senza mai diventare banale; un mondo visto dagli occhi di un bambino, ma allo stesso tempo reale.
"Noi non dovremo essere amici, dovremo essere nemici!"
E' dalla semplicità di un bambino di otto anni che il regista propone di andare avanti, di scavare, e non fermarsi solo all'apparenza delle cose.
Il film è adatto, anzi è molto indicato, per un pubblico adulto ed anche giovanile; capace di commuovere ed interpretare bene la realtà d circa 70 anni fa.
Toccante ed allo stesso tempo molto reale è un bel film, che sicuramene insegna molto e si allontana dai soliti film banali che ormai troviamo dappertutto.
Che ne dite???Vi piace questa recensione???E piuttosto va bene per un quarto ginnasio(primo liceo classico)???Commentate...
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[+] commento per un iv ginnasio
(di montelen)
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(di cocoa)
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arrigo
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mercoledì 4 febbraio 2009
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la metafora della germania nazista
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Come dice il sottotitolo del libro dal quale è stato tratto si parla di "favola". Infatti non è tratto da una storia vera e molti sono i fatti che non possono accadere. I due bambini che passano molto tempo insieme e la moglie del comandante che non accetta quanto sta accadendo. I detenuti erano super controllati come erano super selezionati tutti i famigliari degli ufficiali delle esse esse. Il finale del film è forse l'unico ricostruito con estrema fedeltà. Ma se noi guardiamo la famiglia protagonista come una metafora della Germania nazista, possiamo vedere nel comandante la dittatura del partito nazista, la moglie rappresenta il tentativo di una parte del popolo di ribellarsi a quanto sta succedendo e subito messo a tacere, la figlia laccettazzione in toto senza porsi domande dell'ideologia nazista, il piccolo Bruno la Germania che si chiede cosa ci sia di vero, combattuta tra quanto vede accadere e la propaganda neonazista.
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Come dice il sottotitolo del libro dal quale è stato tratto si parla di "favola". Infatti non è tratto da una storia vera e molti sono i fatti che non possono accadere. I due bambini che passano molto tempo insieme e la moglie del comandante che non accetta quanto sta accadendo. I detenuti erano super controllati come erano super selezionati tutti i famigliari degli ufficiali delle esse esse. Il finale del film è forse l'unico ricostruito con estrema fedeltà. Ma se noi guardiamo la famiglia protagonista come una metafora della Germania nazista, possiamo vedere nel comandante la dittatura del partito nazista, la moglie rappresenta il tentativo di una parte del popolo di ribellarsi a quanto sta succedendo e subito messo a tacere, la figlia laccettazzione in toto senza porsi domande dell'ideologia nazista, il piccolo Bruno la Germania che si chiede cosa ci sia di vero, combattuta tra quanto vede accadere e la propaganda neonazista. Senza dimenticare la nonna sicuramente rappresentante l'opposizione attiva e subito eliminata con la morte.
Alla fine ritengo questo film un capolavoro.
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annu83
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venerdì 30 marzo 2012
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olocausto a righe
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Allora, passiamo alle impressioni personali... film secondo me bellissimo, toccante e coinvolgente, a tratti un vero pugno nello stomaco, se non altro per alcuni dialoghi come quelli citati sopra, che non aggiungono nulla di nuovo alla situazione che già si conosce, ma che comunque hanno sempre un certo effetto! Il fatto che il punto di osservazione sia quello di un bambino di 8 anni, non preclude certo alla conoscenza, ma per lo meno rende il tutto un po' più velato, più digeribile ma a volte anche un po' più indisponente. A volte sembra che la realtà sia forzatamente ignorata, ma sicuramente a uno sguardo più consapevole questa impressione cade, in fondo il protagonista ha soli 8 anni, e non è certo età per bilanci familiari e per giudizi sulla società contemporanea.
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Allora, passiamo alle impressioni personali... film secondo me bellissimo, toccante e coinvolgente, a tratti un vero pugno nello stomaco, se non altro per alcuni dialoghi come quelli citati sopra, che non aggiungono nulla di nuovo alla situazione che già si conosce, ma che comunque hanno sempre un certo effetto! Il fatto che il punto di osservazione sia quello di un bambino di 8 anni, non preclude certo alla conoscenza, ma per lo meno rende il tutto un po' più velato, più digeribile ma a volte anche un po' più indisponente. A volte sembra che la realtà sia forzatamente ignorata, ma sicuramente a uno sguardo più consapevole questa impressione cade, in fondo il protagonista ha soli 8 anni, e non è certo età per bilanci familiari e per giudizi sulla società contemporanea.
Ottimi interpreti, due schieramenti opposti che si avvicinano e si allontanano continuamente nel tentativo di sfiorarsi e di cambiare le cose, ognuno dal proprio verso. Unica pecca: la mamma del comandante! Credevo e speravo che potesse avere un ruolo da protagionista nella crescita culturale e psicologica, nonchè nella consapevolezza, di Bruno, ma purtroppo viene sempre tenuta ai margini della vicenda.
Un film forte, di impatto, assolutamente da vedere!
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everbigod81
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venerdì 9 gennaio 2009
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gli occhi dell'innocenza
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L'inglese Mark Herman porta sul grande schermo “Il bambino con il pigiama a righe”, romanzo dell'irlandese John Boyle.. Durante la seconda guerra mondiale il mondo precipita nel baratro della disperazione ma due bambini, uno tedesco e uno ebreo, si incontrano separati soltanto da recinzione e filo spinato. Con gli enormi occhi azzurri di Bruno ( Asa Butterfield) scrutiamo il mondo che lo circonda con l'innocenza di chi non conosce, non ha la possibilità di capire, e osserviamo Shmuel (l'esordiente Jack Scanlon) con il suo pigiama a righe dall'altra parte della recinzione.
Tutto comincia quando il padre di Bruno, l'ufficiale nazista viene promosso e trasferito in campagna. Non molto lontano dalla loro abitazione c'è un campo di concentramento ed è durante le sue esplorazione che Bruno incontrerà il bambino con il pigiama a righe.
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L'inglese Mark Herman porta sul grande schermo “Il bambino con il pigiama a righe”, romanzo dell'irlandese John Boyle.. Durante la seconda guerra mondiale il mondo precipita nel baratro della disperazione ma due bambini, uno tedesco e uno ebreo, si incontrano separati soltanto da recinzione e filo spinato. Con gli enormi occhi azzurri di Bruno ( Asa Butterfield) scrutiamo il mondo che lo circonda con l'innocenza di chi non conosce, non ha la possibilità di capire, e osserviamo Shmuel (l'esordiente Jack Scanlon) con il suo pigiama a righe dall'altra parte della recinzione.
Tutto comincia quando il padre di Bruno, l'ufficiale nazista viene promosso e trasferito in campagna. Non molto lontano dalla loro abitazione c'è un campo di concentramento ed è durante le sue esplorazione che Bruno incontrerà il bambino con il pigiama a righe.
La bellissima Vera Farmiga (già vista in The departed), che qui interpreta la madre di Bruno, è una donna fiera di essere sposata ad un ufficiale nazista, è piena di vita e molto attenta ai propri figli ma quando intuisce che vicino alla loro abitazione avviene un sistematico sterminio di massa comincia progressivamente a perdere di colore e vitalità. Vorrebbe solo una vita tranquilla con la propria famiglia e si ritrova sposata ad un assassino e circondata dal male e dal dolore. Il male viene per fortuna risparmiato alla visione dello spettatore.
Per il bambino il padre è un soldato valoroso, un eroe. Non penserebbe mai a lui come ad un assassino spietato. Anche quando il bambino viene messo di fronte all'evidenza, con frasi che cercano di fargli capire la diversità degli ebrei dai tedeschi, non perderà la sua innocenza come accade invece alla sorella che subirà il lavaggio del cervello dal suo istitutore.
Molto bella la fotografia del francese Benoit Delhomme e le musiche del premio oscar James Horner. In principio il film appare lento, e scontato, mentre nella parte finale gli avvenimenti si susseguono velocemente e quello che poteva essere scontato in principio non lo è affatto nella soluzione finale. Ci torna subito in mente “La vita è bella” di Roberto Benigni se non fosse per una atmosfera più oscura. Con Bruno e Shmuel l'innocenza diventa vittima inconsapevole di un mondo crudele dove gli adulti sono accecati dall'odio e la presunzione.
Quando il film finisce si rimane seduti sulla sedia, incollati alla sedia con mille domande per la testa, e si vorrebbe sprofondare giù per la vergogna di ciò che in passato è stato fatto o cancellare tutto se solo si potesse. Vorremmo prendere in braccio quei due bambini e consolarli, ma non possiamo, e non ci rimane altro da fare che sperare che tutto ciò non si ripeta mai più.
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giuli18
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venerdì 4 febbraio 2011
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l'innocenza dell'amicizia
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Un film ben fatto, senza eccessi e senza sbavature. Ovviamente non è molto realista, i prigionieri erano tenuti sotto stretto controllo e non potevano certo avvicinarsi estranei nei dintorni del campo, ma non è questa l'intenzione del film. Esso vuole narrare l'innocente amicizia di due bambini: uno ha la "colpa" di essere ebreo, l'altro il "merito" di essere tedesco. Sarà proprio tale amicizia a portare ad una tragica fine la vita di entrambi. Un agghiacciante ritratto di un pezzo di storia che NON deve essere dimenticata affinchè non si ripeta mai più.
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enigmista12
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sabato 21 novembre 2015
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quella sera che mi ha cambiato per sempre
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Ho visto Titanic. Ho visto L'attimo fuggente. Quella sera ero nel mio salotto. Ho acceso la Tv e, scorrendo sul giornale dei programmi, ho letto che su Italia 1 trasmettevano questo film. Era genere drammatico, ma non mi preoccupavo molto. Visto che era il 27 gennaio, il Giorno della Memoria, volevo vedere un film a tema. Così sono andato sul canale giusto ed è iniziato. A vederlo con me c'era anche mia madre. Solitamente, quando guardo un film con qualcuno, non mi piacciono le scene drammatiche, perché mi danno un senso di disagio, e quindi anche lì ero un po' tesa. Il film è andato avanti veloce, e la storia era così ben fatta che mi ha subito ipnotizzato, nella maniera che fanno solo le cose che mi piacciono veramente.
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Ho visto Titanic. Ho visto L'attimo fuggente. Quella sera ero nel mio salotto. Ho acceso la Tv e, scorrendo sul giornale dei programmi, ho letto che su Italia 1 trasmettevano questo film. Era genere drammatico, ma non mi preoccupavo molto. Visto che era il 27 gennaio, il Giorno della Memoria, volevo vedere un film a tema. Così sono andato sul canale giusto ed è iniziato. A vederlo con me c'era anche mia madre. Solitamente, quando guardo un film con qualcuno, non mi piacciono le scene drammatiche, perché mi danno un senso di disagio, e quindi anche lì ero un po' tesa. Il film è andato avanti veloce, e la storia era così ben fatta che mi ha subito ipnotizzato, nella maniera che fanno solo le cose che mi piacciono veramente. Ma poi c'è stato il finale. E allora è successo: mi sono messo a piangere. A grossi lacrimoni e singhiozzi. Ho visto Titanic. Ho viso L'attimo Fuggente. Nessuno dei due mi aveva fatto piangere, ma neanche farmi sentire qualcosa di pesante dentro. Non che non vossero tristi o belli, anzi sono degli autentici capolavori, ma è stato QUESTO film a riuscire a farmi aprire il rubinetto. E la cosa assurda è che mia madre mi ha consolato, e non aveva neanche gli occhi umidi, al contrario di come temevo io. Tempo dopo, a scuola, ci hanno rifatto vedere il finale. Stranamente non ho pianto e neanche sentito la pesantezza che avevo provato la prima volta. Forse perché da se' non si comprende il vero dolore, l'amicizia ostacolata dalla Shoah di Bruno e Shmuel. Un odio senza senso, il massimo orrore della storia umana, il Vero Male. Questi potrebbero essere gli aggettivi per definire l'Olocausto, ma se ci si pensa bene ce ne sono infiniti altri. Comunque, da quella sera qualcosa dentro di me è cambiato, anche se non so dire cosa: e per me CHIUNQUE guardi questo film verrà cambiato dentro. Ora, mentre sto scrivendo queste parole ripenso a quelle immagini, che non hanno niente a che vedere con quelle leggermente canzonatorie de La vita è bella e fuggitive de La chiave di Sara: no, parlano dell'intelligenza dei bambini in confronto alla stupidità adulta, dell'inutilità della guerra e dell'orrore razziale. E che questo ragionamento può fare la differenza.
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francesco marziani
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mercoledì 1 giugno 2016
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iluna profonda amicizia
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Il film ' il bambino con il pigiama a righe', fa riflettere molto sul fatto che i bambini sono all'oscuro nel modo di vedere le cose, rispetto agli adulti.
Il film e' tratto dal romanzo di John Boyne uscito nel 2006, e due anni dopo il regista Mark Herman decise di farne un film.
La vicenda vede come protagonista Bruno, un bambino di otto anni( nel libro nove), che vive a Berlino durante il secondo conflitto mondiale; e si può notare che vive una vita spensierata assieme ai suoi più cari amici: Karl, Leon e Martin. Un pomeriggio di ritorno da scuola, la mamma gli annuncia che devono cambiare residenza, andando a vivere in campagna, perché il padre e' un soldato che ha avuto una promozione( in realtà Bruno non sa di cosa si occupi il padre realmente).
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Il film ' il bambino con il pigiama a righe', fa riflettere molto sul fatto che i bambini sono all'oscuro nel modo di vedere le cose, rispetto agli adulti.
Il film e' tratto dal romanzo di John Boyne uscito nel 2006, e due anni dopo il regista Mark Herman decise di farne un film.
La vicenda vede come protagonista Bruno, un bambino di otto anni( nel libro nove), che vive a Berlino durante il secondo conflitto mondiale; e si può notare che vive una vita spensierata assieme ai suoi più cari amici: Karl, Leon e Martin. Un pomeriggio di ritorno da scuola, la mamma gli annuncia che devono cambiare residenza, andando a vivere in campagna, perché il padre e' un soldato che ha avuto una promozione( in realtà Bruno non sa di cosa si occupi il padre realmente).
Nella nuova casa, I primi tempi Bruno si annoia perché non trova nessuno con cui giocare, e passa le sue giornate in casa, o stando sull'altalena.
Un giorno però, senza farsi scoprire, esce dal cortile sul retro e si dirige verso la campagna: fino a quando scorge un campo di concentramento e vede un bambino seduto lì dentro e incomincia a fare amicizia: da lì nasce una profonda amicizia che li porterà ad un finale tragico: perché Bruno e Schmuel si addentrano nel campo per cercare il padre di quest'ultimo che non lo vedeva più' e vengono gasati in una camera a gas.
Il finale del film e' certamente drammatico, ma si può intuire perfettamente che la madre capisca l'accaduto, forse il padre rimane scioccato non capendo bene i fatti.
Anche Gretel, la sorella di Bruno, all'inizio pensava a giocare con le sue bambole, poi man mano che passa il tempo comincia ad affascinarsi su ciò che accadeva in quel periodo e comincia ad appendere foto e poster di nazisti in camera sua: in una foto si intravede chiaramente Adolf Hitler; forse troppo violenta la scena in cui il tenente Kotler, si scaglia contro Pavel( l'uomo ebreo che lavorava come servitore in casa di Bruno), che lo aggredisce e lo uccide a botte sul pavimento.
Nel Dvd si possono vedere le scene eliminate: è si può notare che nella scena iniziale quando Bruno incontra un uomo ebreo per le strade di Berlino, i suoi amici lo deridono: e' la stessa persona che rincontra nello spogliatoio della camera a gas, alla fine del film.
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alessiomovie
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venerdì 28 marzo 2014
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olocausto e due bambini
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"Il bambino con il pigiama a strisce" è la riproposizione dell’omonimo romanzo di John Boyne.
Narra la storia toccante di un’amicizia tra due bambini, un tedesco e un ebreo, che vivono insieme il periodo dell’Olocausto. Bruno, figlio di un ufficiale delle SS, incontra e diventa amico di un piccolo prigioniero del campo Shmuel. Il racconto di questa amicizia è struggente: si nota la forza e la genuinità di un sentimento nato fra due piccoli ometti che riescono a volersi bene anche se divisi da rete con il filo spinato.
Il regista britannico Mark Herman focalizza il suo lavoro sulla contrapposizione tra la vita dei prigionieri del campo di concentramento e quella dei carcerieri.
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"Il bambino con il pigiama a strisce" è la riproposizione dell’omonimo romanzo di John Boyne.
Narra la storia toccante di un’amicizia tra due bambini, un tedesco e un ebreo, che vivono insieme il periodo dell’Olocausto. Bruno, figlio di un ufficiale delle SS, incontra e diventa amico di un piccolo prigioniero del campo Shmuel. Il racconto di questa amicizia è struggente: si nota la forza e la genuinità di un sentimento nato fra due piccoli ometti che riescono a volersi bene anche se divisi da rete con il filo spinato.
Il regista britannico Mark Herman focalizza il suo lavoro sulla contrapposizione tra la vita dei prigionieri del campo di concentramento e quella dei carcerieri. Da una parte sono sottolineate le sofferenze e le violenze subite, mentre dall’altra la perversa ricerca dell’efficienza dello sterminio. Questo ultimo aspetto mi ha colpito in modo particolare: l’unione fra ingegno e malignità da parte degli ufficiali nazisti è la prova irrevocabile della loro colpa e dell’impossibilità del perdono umano.
Il film è crudo, triste, scuro e dominato dai medesimi colori della divisa dei prigionieri del campo. Non è certamente di semplice visione: alla fine della pellicola rimarranno impressi gli occhi azzurri di Bruno, gli stracci sporchi di Shmuel e la disperata corsa di Elsa, la madre di Bruno.
Il cast è ricco, ma in particolare spiccano su tutti le interpretazioni di Asa Butterfield nel ruolo di Bruno, di David Thewlis già protagonista di un film indimenticabili come “Sette anni in Tibet” e della saga di “Harry Potter” nel ruolo di Ralf, il padre di Bruno, e di Vera Farmiga che interpreta la madre. Da non dimenticare è la figura dell’ebreo Pavel, interpretato da David Hayman che aggiunge commozione e sconforto al resto della storia.
In conclusione “Il bambino con il pigiama a strisce” è un film che racchiude il significato più doloroso di Olocausto e chi meglio di un bambino innocente può far capire quali crimini il nazismo è stato in grado di compiere.
"Si può vedere" preparandosi ad una drammatica visione.
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