rongiu
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venerdì 10 giugno 2011
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il "palco", di nicolas winding refn.
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Violenza e sopraffazione; vittime lasciate in prolungato stato di sofferenza psichica, incapacità delle istituzioni nel comprendere comportamenti adolescenziali devianti, braccio violento della legge e per finire sogni di onnipotenza megalomica. Questo è “Bronson", il film di Nicholas Winding Refn \ regista / e Tom Hardy bravissimo protagonista, nel ruolo di \ Michael Peterson “in arte” Charles Bronson /.
Quella di Bronson è una storia vera. Il galeotto picchiatore, il galeotto più pericoloso d’Inghilterra; ha attirato su di sé l’attenzione pubblica vuoi per la sua produzione artistico-letteraria ma anche per il proprio stile di vita accompagnato da un personalissimo codice d’onore.
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Violenza e sopraffazione; vittime lasciate in prolungato stato di sofferenza psichica, incapacità delle istituzioni nel comprendere comportamenti adolescenziali devianti, braccio violento della legge e per finire sogni di onnipotenza megalomica. Questo è “Bronson", il film di Nicholas Winding Refn \ regista / e Tom Hardy bravissimo protagonista, nel ruolo di \ Michael Peterson “in arte” Charles Bronson /.
Quella di Bronson è una storia vera. Il galeotto picchiatore, il galeotto più pericoloso d’Inghilterra; ha attirato su di sé l’attenzione pubblica vuoi per la sua produzione artistico-letteraria ma anche per il proprio stile di vita accompagnato da un personalissimo codice d’onore. Infatti, non è un assassino, non picchia le donne né i bambini.
Qual è la strategia di Refn per raccontarci di Bronson? Il palco. Sul palco Bronson è protagonista assoluto, così come lo è nelle tantissime carceri da lui girate. Sul quel palco ed in quei costumi si racconta al grande pubblico. Per assurdo, l’isolamento gli diventa amico e come tale fornisce il tempo necessario per la stesura del “copione” quale testo autonarrativo.
Ricordate la scena con il galeotto in double face? Questo è Bronson, mi par di capire; un uomo che nella straordinaria interpretazione di Tom Hardy ci è presentato un po’ giullare ma anche tanto, tanto corrosivo. Consiglio di vedere il film, per la regia qualitativamente brillante, per la storia non facile da raccontare ed interpretare; per le musiche; ma… tenetevi a debita distanza.
Good Click!
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osteriacinematografo
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mercoledì 1 febbraio 2012
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dipinto di un folle
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E’ complicato parlare di “Bronson”, biopic di Nicolas Winding Refn (regista danese recentemente autore dell’eccellente “Drive”), a causa del modo in cui è costruito, della narrazione non lineare del film, del personaggio controverso al centro della storia.
Michael Gordon Peterson, inglese di Luton, cresce in una famiglia medio-borghese, mostrando fin da piccolo un’aggressività fuori dal comune: quasi una forma congenita di affermazione personale, che sfoga ripetutamente contro compagni di scuola e insegnanti.
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E’ complicato parlare di “Bronson”, biopic di Nicolas Winding Refn (regista danese recentemente autore dell’eccellente “Drive”), a causa del modo in cui è costruito, della narrazione non lineare del film, del personaggio controverso al centro della storia.
Michael Gordon Peterson, inglese di Luton, cresce in una famiglia medio-borghese, mostrando fin da piccolo un’aggressività fuori dal comune: quasi una forma congenita di affermazione personale, che sfoga ripetutamente contro compagni di scuola e insegnanti.
Nel 1974, a ventidue anni, rapina un ufficio postale: per un bottino di poche sterline viene condannato a sette anni di carcere, lasciando soli la moglie e il figlio.
La prigione si dimostra subito un ambiente gradito a Peterson, folle ed egocentrico com’è nella sua ricerca della notorietà, e la farfalla della violenza esce definitivamente dal bozzolo: la sua furia esplode contro i malcapitati secondini, contro chiunque gli capiti appresso, diventando in fretta un idolo dei detenuti, e una caso di difficile gestione, tanto che non si contano i penitenziari in cui viene successivamente trasferito; a tal punto l’ospedale psichiatrico è una tappa obbligata, e nonostante l’overdose di farmaci cui viene sottoposto, Peterson trova comunque il modo di strangolare un paziente pedofilo che viene poi salvato per il rotto della cuffia.
Esce di galera dopo 14 anni, torna a Luton, dallo zio; qui incontra un ex detenuto di sua conoscenza, che lo introduce nel mondo della boxe clandestina: in tale contesto si trasforma in “Charles Bronson” -in onore del giustiziere della notte- e picchia selvaggiamente (e a mani nude) uno o più uomini, e persino cani di grossa taglia. Peterson, divenuto Bronson, s’innamora di una donna, ruba un anello per lei, e torna in carcere dopo 69 giorni di libertà; qui l’escalation di violenza è inarrestabile: Bronson prende ostaggi di ogni tipo, provoca rivolte (una delle quali conta 750.000 sterline di danni), cerca la rissa contro gruppi di guardie, senza mai trovare pace. E’ tuttora in carcere, dove ha già trascorso trenta anni in completo isolamento, ed è considerato “il prigioniero più violento della Gran Bretagna”.
Refn dipinge la biografia di Charlie Bronson in modo stravagante e originale: la vita del criminale segue binari sovrapposti, un saliscendi affrescato che mostra l’uomo in galera, nei brevi momenti di libertà, e in un palcoscenico in cui Bronson parla a una platea che non c’è -affascinante metafora del suo desiderio di fama- e la sua personalità si sdoppia in giochi visivi accattivanti. Il film è un quadro dove Charlie e i colori si mescolano in immagini di grande impatto; l’impostazione è pittorica, le pose in cui l’uomo si mostra sono fermi immagine che rimangono impressi nella memoria. Il ritratto di Refn riscatta Bronson e ne offre una prospettiva artistica in cui -dal mare della violenza- emerge la sensibilità di un uomo che è uno slogan, un’icona, un manifesto di se stesso.
Tom Hardy interpreta il personaggio con una maestria che impressiona e disorienta; l’eclettico (e un po’ matto) attore inglese dimostra doti fuori dal comune nell’immedesimarsi nei ruoli più disparati, di sapersi infilare abiti d’ogni sorta e colore, nonostante l’imponente fisicità che potrebbe limitarne l’espressività.
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paola di giuseppe
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sabato 11 giugno 2011
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bronson ce l'ha fatta
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I wanted always to be famous, e l’egocentrico Michael Peterson, in arte Bronson, sì proprio Charles, il giustiziere della notte suo idolo, ce l’ha fatta.
Dalla cella del carcere in cui sta scontando il trentacinquesimo anno di carcere, di cui trenta in isolamento, il prigioniero più famoso d’Inghilterra dovrà mandare un pensiero grato a Nicolas Winding Refn che l’ha consegnato alla storia del cinema con un biopic selvaggio, bello, audace, che tiene incollato allo schermo anche chi, come me, non predilige questo genere.
C’è una forza magnetica stranamente affascinante nei tagli di scena, nella composizione cromatica dei quadri, nel buio che avvolge il corpo, soprattutto il viso, di quest’uomo folle e razionale insieme, un concentrato di narcisismo e violenza allo stato così puro da diventare un prodotto d’arte, nulla che lo faccia somigliare ad uno psicopatico, nulla che susciti la ripugnanza che simili fenomeni in genere inducono, Bronson è una scultura vivente, una massa muscolare mossa da una determinazione selvaggia e irridente.
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I wanted always to be famous, e l’egocentrico Michael Peterson, in arte Bronson, sì proprio Charles, il giustiziere della notte suo idolo, ce l’ha fatta.
Dalla cella del carcere in cui sta scontando il trentacinquesimo anno di carcere, di cui trenta in isolamento, il prigioniero più famoso d’Inghilterra dovrà mandare un pensiero grato a Nicolas Winding Refn che l’ha consegnato alla storia del cinema con un biopic selvaggio, bello, audace, che tiene incollato allo schermo anche chi, come me, non predilige questo genere.
C’è una forza magnetica stranamente affascinante nei tagli di scena, nella composizione cromatica dei quadri, nel buio che avvolge il corpo, soprattutto il viso, di quest’uomo folle e razionale insieme, un concentrato di narcisismo e violenza allo stato così puro da diventare un prodotto d’arte, nulla che lo faccia somigliare ad uno psicopatico, nulla che susciti la ripugnanza che simili fenomeni in genere inducono, Bronson è una scultura vivente, una massa muscolare mossa da una determinazione selvaggia e irridente.
Non uccide, l’unico omicidio è in realtà una sua forma di giustizia privata a spese di un pedofilo, la sua anarchica violenza si alimenta di sé stessa, si idolatra e non conosce la misura che gli uomini vorrebbero imporgli.
Refn non sembra proporre scandagli psicologici né variazioni su temi sociali, siamo oltre, di Bronson lo interessa l'intensa fisicità, ne fa un oggetto d’arte che galleggia allo stato puro tra pittura (il Magritte vivente dell’ultima scena è un vero coup de théatre), musica (da Wagner a Verdi e altro, c’è un tappeto sonoro mirabolante steso come un drappo ai piedi di Bronson) e teatro espressionista in cui i monologhi di Bronson/Hardy si scatenano in un’enfasi stilistica alla Kokoschka che è un godimento per la vista e per l’udito.
Un’opera ad alto tasso di stilizzazione, enigmatica come sempre lo è l’arte, impreziosita da una recitazione di alto profilo, un Tom Hardy non da Oscar, di più.
Ci si chiede per quali inspiegabili ragioni sia stato distribuito a due anni dalla comparsa e si debba vederlo sul monitor di casa in un’anteprima di un sito web, ma si sa che a certe domande non c’è risposta.
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(di iankenobi)
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sabato 30 gennaio 2010
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estetica della violenza, e altro.
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Michael Peterson sente di avere una vocazione, delle doti particolari, e vuole diventare famoso. A diciassette anni, nel 1974, rapina un ufficio postale, viene arrestato, e da quel momento si afferma come il detenuto più violento del Regno Unito, col nome d’arte di Charlie Bronson. In cella, una delle sue performance preferite consiste nel sequestrare una persona, annichilirla semplicemente minacciando di farlo a pezzi, quindi farsi trovare dai secondini che arrivano per pestarlo completamente nudo e ricoperto da sostanze scivolose, in modo da poter fare più danni prima di essere bloccato. Le prigioni sono l'unico palcoscenico per le sue esibizioni, che lo portano a collezionare più di trent'anni di carcere, dei quali la maggior parte in isolamento, pur senza aver mai ucciso nessuno.
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Michael Peterson sente di avere una vocazione, delle doti particolari, e vuole diventare famoso. A diciassette anni, nel 1974, rapina un ufficio postale, viene arrestato, e da quel momento si afferma come il detenuto più violento del Regno Unito, col nome d’arte di Charlie Bronson. In cella, una delle sue performance preferite consiste nel sequestrare una persona, annichilirla semplicemente minacciando di farlo a pezzi, quindi farsi trovare dai secondini che arrivano per pestarlo completamente nudo e ricoperto da sostanze scivolose, in modo da poter fare più danni prima di essere bloccato. Le prigioni sono l'unico palcoscenico per le sue esibizioni, che lo portano a collezionare più di trent'anni di carcere, dei quali la maggior parte in isolamento, pur senza aver mai ucciso nessuno.
Traendo il suo film da una storia vera, che vede il legittimo protagonista ancora ingabbiato, Refn realizza il sogno di Peterson, gli dà fama, ma certamente non lo fa con un’opera semplicemente biografica: Bronson è un film dall’identità cinematografica molto particolare e spiccata, ed è su quella che Refn si concentra. I richiami ad Arancia Meccanica (fatte le dovute proporzioni) sono evidenti, nella costruzione degli spazi, geometrici e monocromatici, nell’uso del carrello, nel richiamo alle esecuzioni teatrali, e persino nel parlare strascicato di Tom Hardy, un tizio che sembra incredibile come possa essere contemporaneamente un ottimo attore e un uomo con la faccia e il corpo del Bronson del film. Le vicinanze al capolavoro di Kubrick, però, non infastidiscono, per la cura evidente che c’è nella costruzione, nella sua idea complessiva e nei dettagli, e per la rappresentazione grottesca delle aberrazioni sociali e individuali, che deriva da uno sguardo e un modo di rappresentare i fatti che sono doti reali.
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algernon
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venerdì 10 giugno 2011
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nome d'arte bronson
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Charles Bronson è il nome d'arte del galeotto inglese Michael Gordon Peterson, ispirato al giustiziere per antonomasia, l'attore Charles Bronson, che in realtà era di origini lituane e si chiamava Charles Dennis Buchinsky. un nome d'arte al quadrato dunque. il Bronson di questo film è un narcisista violento, che già da adolescente picchiava i compagni e voleva assolutamente mettersi in mostra. incarcerato per una rapina, ha proseguito ed accresciuto il suo comportamento violento all'interno delle carceri, al punto di esservi trattenuto senza una prevedibile data di uscita. il film ci mostra tutto questo, e ci mostra il singolare personaggio, violento ma signorile, brutale ma artista, selvaggio ma intelligente.
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Charles Bronson è il nome d'arte del galeotto inglese Michael Gordon Peterson, ispirato al giustiziere per antonomasia, l'attore Charles Bronson, che in realtà era di origini lituane e si chiamava Charles Dennis Buchinsky. un nome d'arte al quadrato dunque. il Bronson di questo film è un narcisista violento, che già da adolescente picchiava i compagni e voleva assolutamente mettersi in mostra. incarcerato per una rapina, ha proseguito ed accresciuto il suo comportamento violento all'interno delle carceri, al punto di esservi trattenuto senza una prevedibile data di uscita. il film ci mostra tutto questo, e ci mostra il singolare personaggio, violento ma signorile, brutale ma artista, selvaggio ma intelligente. ottima regia molto dinamica, che rende particolarmente spettacolari le scene violente, pur senza esagerare col sangue. bravissimo l'attore Tom Hardy. consigliabile
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kyashan
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mercoledì 26 dicembre 2012
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bronson: omaggio a kubrick
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Definito da alcuni "A Clockwork Orange for the 21st Century", Bronson è in effetti un film dal forte impatto per lo spettatore, dove gli omaggi al capolavoro di Kubrick non sono poi così velati. Anche qui il tema portante è quello della violenza: una violenza non del tutto fine a se stessa, compiuta da tale Michael Peterson (in arte Charles Bronson) ormai noto come il detenuto più violento d’Inghilterra. Il film ripercorre la sua vita, a partire dall’infanzia sino alla sua prima carcerazione, all’età di 22 anni per una piccola rapina a un ufficio postale. Da cui il racconto di una vita avente come paradigma la violenza: contro i secondini e gli altri carcerati diventa l'unico strumento di un piacere auto-distruttivo e masochista, causa di anni e anni di carcere, dei quali oltre trenta in completo isolamento.
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Definito da alcuni "A Clockwork Orange for the 21st Century", Bronson è in effetti un film dal forte impatto per lo spettatore, dove gli omaggi al capolavoro di Kubrick non sono poi così velati. Anche qui il tema portante è quello della violenza: una violenza non del tutto fine a se stessa, compiuta da tale Michael Peterson (in arte Charles Bronson) ormai noto come il detenuto più violento d’Inghilterra. Il film ripercorre la sua vita, a partire dall’infanzia sino alla sua prima carcerazione, all’età di 22 anni per una piccola rapina a un ufficio postale. Da cui il racconto di una vita avente come paradigma la violenza: contro i secondini e gli altri carcerati diventa l'unico strumento di un piacere auto-distruttivo e masochista, causa di anni e anni di carcere, dei quali oltre trenta in completo isolamento. La bellezza di questo film sta comunque nel non concentrarsi unicamente sull’aspetto della violenza, ma nel cercare una introspezione psicologica del protagonista: Bronson, a uno sguardo più attento, risulta essere un uomo fortemente egocentrico, narcisista, assetato della fama che, è innegabile, le sue azioni gli hanno dato. Le scelte di Winding Refn sono assai riuscite: le inquadrature, la scenografia, la musica classica che accompagna i momenti di estrema violenza (e qui c’è il tocco, la teatralità che riporta al Beethoven tanto amato da Kubrick) rendono il film esteticamente impeccabile, il tutto consolidato da una sceneggiatura ben scritta che dà all’opera un ritmo incalzante. Superlativa poi l’interpretazione di Thomas Hardy, premiato come migliore attore ai British Independent Film Awards.
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ultimoinquisitore
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giovedì 9 febbraio 2012
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il nuovo mood del cinema
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Charles Bronson, nome d'arte di Michael Peterson, è il ricercato più famoso e pericoloso d'Inghilterra.
Queto film è un'opera d'arte sinfonica che esalta il suo protagonista mettendone in luce gli aspetti egocentrici e allo stesso tempo umili che lo hanno spinto tutta la vita a voler diventare famoso. Ma per i suoi eccessi di prepotenza verso i secondini, in contrasto con lo smisurato amore della madre, vivrà la maggior parte dei suoi anni in galera e in isolamento.
Il regista analizza ogni momento della vita di Bronson mettendolo letteralmente a nudo di fronte ad ambienti e situazioni che sono davvero lontane, ma che il protagonista riesce comunque a dominare e a riempire con la sua massa,la sua bestialità ma anche con la sua vocazione per le arti: il personaggio recita sul palcoscenico di un teatro, fa il comico, canta e dipinge.
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Charles Bronson, nome d'arte di Michael Peterson, è il ricercato più famoso e pericoloso d'Inghilterra.
Queto film è un'opera d'arte sinfonica che esalta il suo protagonista mettendone in luce gli aspetti egocentrici e allo stesso tempo umili che lo hanno spinto tutta la vita a voler diventare famoso. Ma per i suoi eccessi di prepotenza verso i secondini, in contrasto con lo smisurato amore della madre, vivrà la maggior parte dei suoi anni in galera e in isolamento.
Il regista analizza ogni momento della vita di Bronson mettendolo letteralmente a nudo di fronte ad ambienti e situazioni che sono davvero lontane, ma che il protagonista riesce comunque a dominare e a riempire con la sua massa,la sua bestialità ma anche con la sua vocazione per le arti: il personaggio recita sul palcoscenico di un teatro, fa il comico, canta e dipinge.
Il tutto è gestito alla perfezione, partendo da una regia demiurgica pesata al grammo, ai colori perfetti, un montaggio duro ma funzionale (lo rivedremo in Drive) e una splendida colonna sonora (!!). Tom Hardy è favoloso e si rivela una promessa.
Il film è uscito nelle sale maledettamente di nascosto, ed è parecchio sconosciuto!!!
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angelo umana
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sabato 11 giugno 2011
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vita da star segregata
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Violenza come modo di comunicare, i pugni come mezzo di espressione o risolutori di ingiustizie: Michael Gordon Peterson, soprannominato Charlie Bronson (lui si sarebbe voluto chiamare Charlton Eston), esiste davvero. E’ il detenuto più cattivo delle carceri britanniche, dove peraltro dal 1974 (aveva 22 anni) ha passato tutta la vita, con soli 69 giorni di libertà. La violenza è stata il suo modo di protestare, di comunicare disaccordo col mondo da quando era bambino, poveri professori e poi poveri secondini!
L’energia nel tempo si è canalizzata verso le arti, l’altra parte di sé: nella realtà il detenuto ha scritto 13 libri, oltre ai dipinti, produzioni apprezzate, ma l’espressione positiva veniva spesso interrotta da scoppi di violenza.
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Violenza come modo di comunicare, i pugni come mezzo di espressione o risolutori di ingiustizie: Michael Gordon Peterson, soprannominato Charlie Bronson (lui si sarebbe voluto chiamare Charlton Eston), esiste davvero. E’ il detenuto più cattivo delle carceri britanniche, dove peraltro dal 1974 (aveva 22 anni) ha passato tutta la vita, con soli 69 giorni di libertà. La violenza è stata il suo modo di protestare, di comunicare disaccordo col mondo da quando era bambino, poveri professori e poi poveri secondini!
L’energia nel tempo si è canalizzata verso le arti, l’altra parte di sé: nella realtà il detenuto ha scritto 13 libri, oltre ai dipinti, produzioni apprezzate, ma l’espressione positiva veniva spesso interrotta da scoppi di violenza. Si parla di lui anche come prigioniero che gode di qualche privilegio, forse perché artista o per l’"anzianità di servizio"; ora chiede di essere liberato perché è un altro uomo e perché in fondo non ha mai ammazzato nessuno. I pugni sono stati il suo modo di esistere e affermarsi, la prigione l’ha considerata “il posto dove mettere in mostra il mio talento”. E’ una star ciò che lui voleva essere, “I always wanted to be famous” viene detto, da qui deriva la scelta del soprannome. E’ uomo da record terribili: 120 carceri diverse, 30 anni in celle d’isolamento.
Questo film ne fa uno spettacolo, le scene sono impeccabili e ben studiate: memorabile quella nel manicomio criminale – è stato anche là - dove tutti gli ospiti sono rappresentati in un open space pieno di luce, ognuno passa il tempo come vuole, sembra uno spaccato di società (mi piacerebbe conoscere il nome della canzone che accompagna la scena, qualcuno sa dirmelo?). Vengono in mente le parole di “Sognando” (Don Backy): “me ne sto qui seduto e assente in questo posto allucinante, un’ombra chiara mi attraversa la mente”.
C’è come un vuoto nel film: manca completamente un qualsiasi approfondimento di perché Michael è diventato il terribile Bronson. Forse i genitori troppo inglesi e compassati? Non c’è menzione di alcun “deficit di accudimento” (per citare la “psichiatra” Margherita Buy in Habemus Papam). E’ inverosimile ma il regista dice di non aver mai conosciuto né Michael né la sua famiglia e che non voleva fare una biografia. Dunque è solo spettacolo, Bronson sulla scena di un teatro, come spesso appare raccontandosi a un pubblico anonimo, un film solo come celebrazione?. Manca davvero però la spiegazione di questa turba comportamentale, eppure vi sono piccolissime scene della sua vita fino a 22 anni, c’è una moglie e un bambino, c’è sua mamma che lo protegge e giustifica, cose buttate lì e non approfondite, ed accenna pure al suo non sapersi rapportare col mondo nei 69 giorni di libertà. Qui è la contraddizione, la parte non raccontata.
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[+] canzone
(di eles )
[ - ] canzone
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biso 93
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venerdì 29 aprile 2016
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ego e megalomania
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Bronson e' un film particolare, un biopic difficile da trasportare su pellicola..ma il risultato e' senza dubbio positivo, grazie anche ad una brillante interpretazione di Tom Hardy. N.W.Refn utilizza tutta.la sua abilita' registica nelle inquadrature e nelle immagini e scava nel personaggio di Michael Petersen, strizzando nuovamente l'occhio a Kubrick. Il film non segue un filo temporale continuo ma ripercorre tratti ed episodi rilevanti di una vita al limite, di una persona disturbata e disturbante, violenta ma non maniaca, se non di se stessa e per questo corrosiva e autodistruttiva. Film che convince
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dandy
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sabato 1 febbraio 2014
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l'ottusità criminale.
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Partendo dalla vita di Michael Peterson,il più violento prigioniero inglese(oltre trent'anni passati in carcere),il film di Refn è stato applaudito dalla critica e nei festival che hanno favorito la conoscenza internazionale del regista danese.E' sempre un bene quando questo accade a un regista degno di interesse(spesso e volentieri accade il contrario)ma in questo caso la csa è sopravvalutata.La storia procede sempre sopra le righe,tra sprazzi pulp e parentesi surreali dove Bronson si rivolge allo spettatore truccato come un artista di vaudeville.Tutti meccanismi troppo abusati negli ultimi anni,che Refn non ripropone con lo stile dei precedenti film di ben altro spessore (come la trilogia di "The Pusher").
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Partendo dalla vita di Michael Peterson,il più violento prigioniero inglese(oltre trent'anni passati in carcere),il film di Refn è stato applaudito dalla critica e nei festival che hanno favorito la conoscenza internazionale del regista danese.E' sempre un bene quando questo accade a un regista degno di interesse(spesso e volentieri accade il contrario)ma in questo caso la csa è sopravvalutata.La storia procede sempre sopra le righe,tra sprazzi pulp e parentesi surreali dove Bronson si rivolge allo spettatore truccato come un artista di vaudeville.Tutti meccanismi troppo abusati negli ultimi anni,che Refn non ripropone con lo stile dei precedenti film di ben altro spessore (come la trilogia di "The Pusher").La violenza è estetizzata in modo abilmente astratto(con rimandi ad "Arancia meccanica"),ma è il personaggio a funzionare poco.Troppo monocorde,nonostante la buona prova di Hary,perchè la sua rabbia possa diventare metafora di una società intrisa di violenza e non girare a vuoto.E anche la vicenda,per quanto stilisticamente virtuosa,diventa ripetitiva.Assai più intrigante l'australiano "Chopper".
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