edmund
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giovedì 3 aprile 2025
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privato o pubblico?
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Stimato prof universitario vedovo e anche un po' "woke" in pieno climaterio virile affetto da un' irrimediabile senso di solitudine si mette in casa due clandestini e finisce per suonare il tamburo in metropolitana. Questo è ciò che verosimilmente scriverebbe un trumpista tipico americano o la sua versione d'accatto più casereccia de noantri.
Volendo invece approfondire moderatamente, direi che il film è tremendamente attuale e pone ben altre questioni.
Forse è vero, "Non possiamo accogliere tutti indiscriminatamente”. Sembra fin troppo giusto, molto ragionevole e imparziale al punto, ironia della sorte, da essere quasi “morale” pure.
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Stimato prof universitario vedovo e anche un po' "woke" in pieno climaterio virile affetto da un' irrimediabile senso di solitudine si mette in casa due clandestini e finisce per suonare il tamburo in metropolitana. Questo è ciò che verosimilmente scriverebbe un trumpista tipico americano o la sua versione d'accatto più casereccia de noantri.
Volendo invece approfondire moderatamente, direi che il film è tremendamente attuale e pone ben altre questioni.
Forse è vero, "Non possiamo accogliere tutti indiscriminatamente”. Sembra fin troppo giusto, molto ragionevole e imparziale al punto, ironia della sorte, da essere quasi “morale” pure.
Oppure il protagonista vuole chieder(si)ci se "sia meglio farsi ispirare dall’astrattezza metafisica della pietà o rassegnarsi all’apologia realista della crudeltà?
Oppure non è poi così vero che la faccenda "non riguarda il professore" come dice Mouna la madre di Tarek. Forse questa è una questione che riguarda ciascuno di noi!
Ogni persona nel suo piccolo privato è chiamato a prendere delle decisioni che non mancheranno di pesare sul resto della vita personale e possibilmente di quella altrui. Potrebbe darsi che il singolo diventi decisivo potenzialmente su convinzioni e comportamenti che hanno implicazioni più vaste a livello, sociale? La vita privata del singolo cittadino può avere un effetto dirompente sui costumi pubblici di un’intera comunità al punto da renderla “mostruosa”? Il prof Walter Vale non si è chiuso nel suo particolare “dolore privato”. Ma si è sentito chiamato ad un atto di responsabilità collettiva, in veste di partecipe integrante di una comunità più vasta che trascende la mera appartenenza territoriale. O forse un appello alle dinamiche del privato rischia di essere del tutto inutile e dannoso persino? E tuttavia, bisogna pur partire da qualche parte.
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sergiofi
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giovedì 2 agosto 2018
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storia di solitudini e tamburi
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“The visitor” si conferma un piccolo gioiello, anche rivisto a distanza di molti anni (è un film del 2007). Tom McCarthy (“Mosse vincenti” e “Spotlight”) dà vita con asciuttezza di toni, sullo sfondo di una New York lontana da triti stereotipi, a un contenitore di solitudini esistenziali. Uno spaccato di realtà metropolitana post 2001 in cui si incrociano i destini di un mesto professore che insegna nel Connecticut (l’intenso Richard Jenkins), una rifugiata siriana transfuga in Michigan (la luminosa Hiam Abbass) e una coppia di irregolari alla ricerca di un futuro (Haaz Sleiman e Danai Jekesai Gurira, molto in parte).
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“The visitor” si conferma un piccolo gioiello, anche rivisto a distanza di molti anni (è un film del 2007). Tom McCarthy (“Mosse vincenti” e “Spotlight”) dà vita con asciuttezza di toni, sullo sfondo di una New York lontana da triti stereotipi, a un contenitore di solitudini esistenziali. Uno spaccato di realtà metropolitana post 2001 in cui si incrociano i destini di un mesto professore che insegna nel Connecticut (l’intenso Richard Jenkins), una rifugiata siriana transfuga in Michigan (la luminosa Hiam Abbass) e una coppia di irregolari alla ricerca di un futuro (Haaz Sleiman e Danai Jekesai Gurira, molto in parte). Un melting pot al quale il mondo ha fatto ormai il callo.
Walter Vale trova il suo appartamento occupato dal siriano Tarek (estroverso suonatore di djambè) e dalla senegalese Zainab (che disegna bigiotteria). Una serie di circostanze lo porterà a incontrare Mouna, la madre di Tarek. Solo la vita di Walter riuscirà a raddrizzarsi, nel segno di un cambiamento guidato dalla musica. Tutti gli altri si vedranno costretti a rientrare, desolatamente, nei rispettivi ranghi.
Non c’è retorica consolatoria in quest’opera felice che non sembra voler affrontare il tema delle migrazioni, quanto lo straniamento dalla realtà che può infettare ogni umano di qualsiasi razza e colore. La via del riscatto è per qualcuno a portata di mano. Basta riuscire a cogliere l’attimo fuggente, che il fato ti offre talora su un piatto d’argento. Come nel caso di Walter che ritrova, tardivamente, la strada che aveva perduto.
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emanuele1968
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sabato 24 marzo 2018
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merita
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Visto venerdi in un cineforum qui in Brescia con dibattito dopo film, molto bello, questuomo che vive una vita ormai priva di stimoli e causa di un forzato viaggio di lavoro si trova inaspettatamente coinvolto ad aiutare e rimettersi in gioco. Un po mi sono rispecchiato in questo film, anche se i cambiamenti spavento, penso che il nosto tempo non vada sprecato, ho pure conosciuto una donna molto interessante. Bellissima serata.
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fausta rosa
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lunedì 18 gennaio 2016
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incrocio di vite
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Nel ritmo lento e monotono della vita del protagonista, Walter Vale, irrompono le vite del siriano Tarek e della sua ragazza africana Zainabab. Nasce un’amicizia profonda , vera,soprattutto con Tarek attraverso la musica, una relazione fatta di condivisione e di empatia nella quale ognuno regala all’altro qualcosa di sé. La tensione drammatica, che vede il richiamo alla morte , all’abbandono della propria terra , alla perdita di senso per il professor Vale conserva per tutto il film un tono controllato e per questo ancor più intenso. IIl dolore, l’amarezza, la rabbia sono contenuti e si risolvono negli sguardi, nei piccoli movimenti, in brevi frasi perché è il vissuto personale che affiora e fa da filo conduttore.
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Nel ritmo lento e monotono della vita del protagonista, Walter Vale, irrompono le vite del siriano Tarek e della sua ragazza africana Zainabab. Nasce un’amicizia profonda , vera,soprattutto con Tarek attraverso la musica, una relazione fatta di condivisione e di empatia nella quale ognuno regala all’altro qualcosa di sé. La tensione drammatica, che vede il richiamo alla morte , all’abbandono della propria terra , alla perdita di senso per il professor Vale conserva per tutto il film un tono controllato e per questo ancor più intenso. IIl dolore, l’amarezza, la rabbia sono contenuti e si risolvono negli sguardi, nei piccoli movimenti, in brevi frasi perché è il vissuto personale che affiora e fa da filo conduttore. L’arrivo di Mouna , la madre di Tarek, che da 5 giorni non ha notizie del figlio, arricchisce la trama di un altro tassello : un’altra vita che ha fatto l’esperienza del distacco, ma che riesce, con moderazione ad aprirsi all’altro, sia a Zainabab, sebbene rilevi che è proprio nera, sia a Walter da cui accetta l’invito a teatro e a cui confida il suo senso di colpa per il rimpatrio forzato del figlio. Un film delicato ed elegante che affronta con stile e completezza problematiche tanto psicologiche quanto civili, offrendo allo spettatore un esempio di integrazione attraverso la partecipazione l’uno alla vita dell’altro
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filippo catani
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lunedì 6 ottobre 2014
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aprire la mente
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Un professore di economia insegna ormai da anni in Connecticut. Vedovo e con il figlio a Londra, il professore vive una vita decisamente monotona. Tutto cambia quando l'uomo deve a malincuore partire per New York per un convegno e troverà il suo vecchio e a lungo disabitato appartamento abitato da una coppia di clandestini: lui siriano e lei senegalese.
Toccante e commovente questa pellicola che sa toccare diverse corde. Il tutto ruota attorno al protagonista che ormai da tempo non riesce più a dare un senso alla propria vita o quantomeno a viverla intensamente nonostante provi con insuccesso a suonare il piano. Sarà allora l'incontro con due clandestini ad aprirgli il cuore e la mente perchè fra i tre si instaura subito un rapporto di amicizia e complicità.
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Un professore di economia insegna ormai da anni in Connecticut. Vedovo e con il figlio a Londra, il professore vive una vita decisamente monotona. Tutto cambia quando l'uomo deve a malincuore partire per New York per un convegno e troverà il suo vecchio e a lungo disabitato appartamento abitato da una coppia di clandestini: lui siriano e lei senegalese.
Toccante e commovente questa pellicola che sa toccare diverse corde. Il tutto ruota attorno al protagonista che ormai da tempo non riesce più a dare un senso alla propria vita o quantomeno a viverla intensamente nonostante provi con insuccesso a suonare il piano. Sarà allora l'incontro con due clandestini ad aprirgli il cuore e la mente perchè fra i tre si instaura subito un rapporto di amicizia e complicità. Purtroppo però, specialmente dopo l'11 settembre, gli USA hanno alzato il livello della paura e abbassato quello della tolleranza. Ecco allora che per Tarek si aprono le porte di un centro che altro non è se non l'anticamera dell'espulsione. E' quì che entrerà in scena il personaggio della madre di Tarek che riuscirà di nuovo a fare provare delle emozioni intense al professore. Una storia bella ricca di musica e ottimi dialoghi che parla a tutti coloro che hanno la voglia e il coraggio di aprire la propria mente verso il diverso da se. Ottima la prova dell'intero cast in cui spicca però la prestazione di Jenkins.
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rita branca
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lunedì 7 luglio 2014
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“non è mai troppo tardi” di rita branca
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L’ospite inatteso (The Visitor) (2007) film di Thomas McCarthy con Richard Jenkins, Haaz Sleiman, Danai Gurira, Hiam Abbass, Marian Seldes, Maggie Moore, Michael Cumpsty
Interessante studio di un personaggio, Walter Vale, un odioso e rigido professore universitario, collega algido e poco disponibile che si trasforma, grazie agli incontri giusti, in una creatura deliziosa, capace di entrare in empatia con altre e di dare loro una mano.
La metamorfosi comincia, quando, costretto a recarsi a New York per sostituire una collega in un convegno in cui deve presentare un articolo, trova il suo appartamento occupato da una giovane coppia di immigrati senza permesso di soggiorno, Tarik e Zainab che per poco non gliele suonano, convinti si tratti di un malvivente.
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L’ospite inatteso (The Visitor) (2007) film di Thomas McCarthy con Richard Jenkins, Haaz Sleiman, Danai Gurira, Hiam Abbass, Marian Seldes, Maggie Moore, Michael Cumpsty
Interessante studio di un personaggio, Walter Vale, un odioso e rigido professore universitario, collega algido e poco disponibile che si trasforma, grazie agli incontri giusti, in una creatura deliziosa, capace di entrare in empatia con altre e di dare loro una mano.
La metamorfosi comincia, quando, costretto a recarsi a New York per sostituire una collega in un convegno in cui deve presentare un articolo, trova il suo appartamento occupato da una giovane coppia di immigrati senza permesso di soggiorno, Tarik e Zainab che per poco non gliele suonano, convinti si tratti di un malvivente. E’ questo shock iniziale a scalfire la crosta di egoismo che lo ha avvolto fino a quel momento ed a guarire da quella specie di peste fatta di egoismo e pregiudizi che viene attaccata progressivamente dal contatto del bello che queste creature, ottusamente perseguitate e ciecamente maltrattate nell’America ferita dalla caduta delle Twin Tower, emanano.
Un evento drammatico fa entrare in scena Mouna, un altro delicato e pur intenso personaggio, la madre del giovane Tarik, che completa la rinascita di Walter Vale.
Molto piacevole!
Rita Branca
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mareincrespato70
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lunedì 23 giugno 2014
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l'amicizia nella solitudine contemporanea
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Un professore universitario di successo, ma insoddisfatto e perso nella sua anomia quotidiana nonostante il suo benessere; la Siria che riscalda il cuore del Connecticut; la musica come ancoraggio all'umano troppo umano; l'amicizia che arriva, inattesa, come ospite a New York; l'America che fa i conti con se stessa e la sua accoglienza, tra nuove paure e opportunità (troppo?) condizionate.
Noi, il Senegal, e quello che dobbiamo diventare...
Grazie a Sky ho potuto, in ritardo rispetto alla sua uscita, godere della visione di questo splendido film del 2007. Opera seconda del regista Thomas McCarthy, “L'ospite inatteso” è un altissimo esempio di cinema impegnato, civile, che riscalda il cuore e fa riflettere le nostri menti, un viaggio che ti costringe a fare i “giusti” conti con la globalizzazione contemporanea, senza pietismi, senza manicheismi, ma con la profonda complessità che attraversa le nostre vite e i nostri giorni.
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Un professore universitario di successo, ma insoddisfatto e perso nella sua anomia quotidiana nonostante il suo benessere; la Siria che riscalda il cuore del Connecticut; la musica come ancoraggio all'umano troppo umano; l'amicizia che arriva, inattesa, come ospite a New York; l'America che fa i conti con se stessa e la sua accoglienza, tra nuove paure e opportunità (troppo?) condizionate.
Noi, il Senegal, e quello che dobbiamo diventare...
Grazie a Sky ho potuto, in ritardo rispetto alla sua uscita, godere della visione di questo splendido film del 2007. Opera seconda del regista Thomas McCarthy, “L'ospite inatteso” è un altissimo esempio di cinema impegnato, civile, che riscalda il cuore e fa riflettere le nostri menti, un viaggio che ti costringe a fare i “giusti” conti con la globalizzazione contemporanea, senza pietismi, senza manicheismi, ma con la profonda complessità che attraversa le nostre vite e i nostri giorni.
Arricchiscono il film una sceneggiatura di notevole livello, all'altezza del grande cinema d'autore, e dialoghi sorprendenti per la loro bellezza, efficacia priva di retorica, sorrisi misurati, nonostante tutto.
Straordinaria prova dell'attore protagonista Richard Jenkins, ma sugli scudi anche tutti gli altri attori: la famosa attice palestinese Hiam Abbass, ma anche il “percussionista-jazz” Haaz Sleiman con il suo sorriso gentile e la dolcemente malinconica attrice africana Danai Jekesai Gurira.
McCarthy parla di noi e del nostro prossimo, quand'anche proveniente da terre lontane, sicuramente contemporaneo della nostra quotidianità affannata, dove il turbo-capitalismo ha l'obiettivo (sempre sottilmente dichiarato) di “decidere” anche il nostro tempo libero, anche gli spazi del disimpegno, perchè la precarietà altrui deve poter giustificare l'assurdo smisurato benessere di altri.
La musica accompagna questa moderna, dolente, parabola dolente, dove l'amicizia inaspettata diventata la salvezza per se stesso e per gli altri (?), dentro i furiosi ingranaggi di Tempi forse troppo moderni...che dispensano crudeltà.
Un film che esalta ancora una volta la filosofia cinematografica statuntitense figlia del Sundance Festival, irrinunciabile alimento per il cinema contemporaneo di qualità.
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luigi chierico
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mercoledì 14 maggio 2014
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un inatteso bel film
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Ecco un tanto atteso buon regista,ottimo sceneggiatore carico di umanità e semplicità:Thomas McCarthy.Se ne sentiva il bisogno da parte di chi guardando indietro vede il cinema americano,per citarne almeno uno:Elia Kazan senza tralasciare tantissimi altri,tutti improvvisamente venuti a mancare.I loro film non muoiono mai e così L’ospite inatteso rimarrà sempre attuale e vero.
Ho visto finalmente una storia toccante quanto reale, narrata in un ambiente che ci mostra un America che non sembra l’America dai lussuosi e grandi appartamenti,dalle ville immerse in magnifici giardini,dove il verde dei prati e le grandi strade servono ad illudere lo spettatore:qui è tutto così bello e perfetto. No c’è un’ America più vera,della vita comune,di un’abitazione modesta di un professore universitario,non di un modesto impiegato o di un emerito sconosciuto,c’è il rigore inflessibile del rispetto delle leggi soprattutto nei confronti di chi,da immigrato,non ha tutte le carte in regola,una vera persecuzione che stupisce anche l’americano benpensante.
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Ecco un tanto atteso buon regista,ottimo sceneggiatore carico di umanità e semplicità:Thomas McCarthy.Se ne sentiva il bisogno da parte di chi guardando indietro vede il cinema americano,per citarne almeno uno:Elia Kazan senza tralasciare tantissimi altri,tutti improvvisamente venuti a mancare.I loro film non muoiono mai e così L’ospite inatteso rimarrà sempre attuale e vero.
Ho visto finalmente una storia toccante quanto reale, narrata in un ambiente che ci mostra un America che non sembra l’America dai lussuosi e grandi appartamenti,dalle ville immerse in magnifici giardini,dove il verde dei prati e le grandi strade servono ad illudere lo spettatore:qui è tutto così bello e perfetto. No c’è un’ America più vera,della vita comune,di un’abitazione modesta di un professore universitario,non di un modesto impiegato o di un emerito sconosciuto,c’è il rigore inflessibile del rispetto delle leggi soprattutto nei confronti di chi,da immigrato,non ha tutte le carte in regola,una vera persecuzione che stupisce anche l’americano benpensante.
Vi sono le strade ed i colori che ricordano i sobborghi dei nostri paesi,da quelli francesi a quelli italiani e spagnoli.
Un mondo vero,reale fatto di uomini normali che vivono la quotidianità in armonia con se stessi.
Ed è in questa atmosfera che raccogliamo con stupore la generosità del professor Walter Vale(Richard Jenkins)nell’ospitare una coppia di sconosciuti:Tarek Khalil e la sua compagna Zainab.La sua non è generosità ma umanità,quella che sta venendo a mancare all’intera Umanità,sono le braccia aperte all’uomo straniero,a chi ha bisogno d’amore e di comprensione più ancora che di aiuto. Il protagonista è il primo ad avere bisogno d’affetto e d’amicizia,vive isolato dentro,fuori dal mondo,nessuno lo chiamo,non si incontra con nessuno,disdegna il suo lavoro che non lo appaga,come a tantissimi!
L’incontro inatteso con la coppia è motivo di prendere consapevolezza che siamo tutti uguali a dispetto di chi ci vede sempre diversi,che il rispetto del prossimo conduce all’amicizia e poi all’affetto.Tarek e Zainab in una specie di globalizzazione ricevono ed offrono dando a Walter un diverso senso della vita,ci si può stare a pranzo e fare colazione insieme,si può imparare a suonare il djembe,tamburo battuto con le mani,ed andare a far musica di percussione tra la gente di colore,ed infine trovare rifugio alla solitudine che crea freddo e silenzio.La solitudine che si incontra anche quando si è tra la folla,in un mondo diverso che ti ignora,tra gente che non parla la tua lingua,quella del cuore perché è quella la lingua universale.Walter resterà vicino al suo ospite inatteso ma non più ignoto,ne conoscerà la madre Mouna Khalil(Hiam Abbass),condividerà anche con lei il suo modesto appartamento ma soprattutto il suo dolore,la sua tristezza ed il suo pianto.In un momento sublime le loro braccia e le loro mani si intrecceranno quasi a legarsi,è solo un messaggio: procediamo a mani unite, in armonia,aiutiamoci l’un l’altro,non facciamoci del male.L’ America è come la Siria”dirà in senso negativo Muana perché la società fatta di leggi e di politica è fredda, distaccata, spesso disumana ed è per questo che Terek si chiederà perché ce l’hanno tanto con lui che non ha fatto niente;
”Non ho forse anche io il diritto di vivere la mia vita e suonare il djembe?”.
Ottima prestazione di Richard Jenkins,taciturno ma espressivo,quel che conta è quel che si fa e non quel che si dice. chigi.chibar22@libero.it
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francesco2
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lunedì 21 aprile 2014
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la delusione -relativamente- inattesa
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Spiace scriverlo, ma questo "Ospite inatteso" si presenta come un modesto film per animi progressisti ed aperti alla tolleranza -E' detto senza alcuna ironia-, ed in effetti lo è. Sul piano dell'immigrazione dei nuovi poveri verso le nostre coste e/o dell'amicizia che instauriamo con loro, era ben più efficace il francese "Welcome". Se poi ci interessa l'incontro tra due solitudini, alle prse magari entrambi con il lutto (Dolore personale), e con i problemi veri o presunti generati dal terrorismo -Dolore collettivo, legato soprattutto ad avvenimenti traumatici come l'11 Settembre- verrebbe voglia, di fronte a film come questo, di rivalutare il modesto "London River".
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Spiace scriverlo, ma questo "Ospite inatteso" si presenta come un modesto film per animi progressisti ed aperti alla tolleranza -E' detto senza alcuna ironia-, ed in effetti lo è. Sul piano dell'immigrazione dei nuovi poveri verso le nostre coste e/o dell'amicizia che instauriamo con loro, era ben più efficace il francese "Welcome". Se poi ci interessa l'incontro tra due solitudini, alle prse magari entrambi con il lutto (Dolore personale), e con i problemi veri o presunti generati dal terrorismo -Dolore collettivo, legato soprattutto ad avvenimenti traumatici come l'11 Settembre- verrebbe voglia, di fronte a film come questo, di rivalutare il modesto "London River".
Se il ritratto della "Madre-voraggio" ci può affascinare, ma viene analizzato(?) senza fantasia e profondità......beh, di cinquantenni disincantati, nel cinema stelle e strisce, cominciano ad essercene troppi, ed i due giovani extracomunitari appaiono figurine abbozzate.
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marica romolini
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venerdì 26 ottobre 2012
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le note dell'altro
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Walter Vale è un docente di economia che da anni ricicla stancamente lo stesso corso, ha de facto abbandonato la ricerca (l’autorialità dei suoi libri, così come della vita che conduce, è solo fittizia), ‘subisce’ lezioni di piano in memoria del tempo che fu, senza che quella musica in quattro tempi più gli appartenga davvero. Tornato a New York per una conferenza, scopre che il suo appartamento è abitato da una giovane coppia di clandestini. Gli ospiti inattesi cambieranno l’atteggiamento del professore, che, a ritmo di djembé, reimpara ad aprirsi all’Altro e ad amare.
Un film pieno di incontri: tra lo statunitense Walter e il siriano Tarek (ma, prima ancora, in un implicito avantesto, tra questo e la senegalese Zainab), tra Walter e Mouna, tra Mouna e Zainab, tra un’America teorica studiata nelle aule universitarie e l’America reale post 11 settembre, con rigide leggi sull’immigrazione scaturite da quella paura del diverso-da-sé che qui si tenta di superare.
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Walter Vale è un docente di economia che da anni ricicla stancamente lo stesso corso, ha de facto abbandonato la ricerca (l’autorialità dei suoi libri, così come della vita che conduce, è solo fittizia), ‘subisce’ lezioni di piano in memoria del tempo che fu, senza che quella musica in quattro tempi più gli appartenga davvero. Tornato a New York per una conferenza, scopre che il suo appartamento è abitato da una giovane coppia di clandestini. Gli ospiti inattesi cambieranno l’atteggiamento del professore, che, a ritmo di djembé, reimpara ad aprirsi all’Altro e ad amare.
Un film pieno di incontri: tra lo statunitense Walter e il siriano Tarek (ma, prima ancora, in un implicito avantesto, tra questo e la senegalese Zainab), tra Walter e Mouna, tra Mouna e Zainab, tra un’America teorica studiata nelle aule universitarie e l’America reale post 11 settembre, con rigide leggi sull’immigrazione scaturite da quella paura del diverso-da-sé che qui si tenta di superare.
Trait d’unionla musica, che, da espediente di scontro (la scena iniziale è un capolavoro retorico di abilissima perfidia, in cui l’insegnante di piano e Walter si sfidano a colpi di fioretto verbale, ferendosi nella salvaguardia dell’etichetta), diventa occasione di scambio (il tamburo di Tarek), comunicazione tra culture diverse, tra uno spazio patrio e il non-luogo del centro di detenzione.
Il raccordo tra le due, uniche scene nella casa di Walter nel Connecticut esplicita il passaggio da una fase ancora di attaccamento, alla buon’anima della moglie pianista, a una di rinnovata disponibilità al flusso vitale. È a questo punto che può realizzarsi l’Aufhebung, che la musica classica, le note dell’amore possono rientrare nella vita di Walter, rivisitate in chiave presente tramite Mouna, con la quale il professore si reca a Broadway per vedere The Phantom of the Opera.
L’accordo tra il ritmo dell’io e del non-io è mutato. E se il tempo resta qualcosa di inevitabilmente soggettivo (l’«ora araba» di Tarek, incorreggibilmente in ritardo con la compagna: Bergson batte definitivamente Kant!), l’incontro tra solitudini non resta semplicemente a galla sul piano dell’estemporaneo. Non si richiude nel nulla, ma permette a uno Walter furibondo davanti allo sportello del centro di detenzione di urlare che «voi non potete trattarci in questo modo». Dove in quel ci il muro della (in)differenza è abbattuto.
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