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sabato 25 maggio 2024
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si all’ eutanasia .
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Non posso accettare che ci siano delle persone e delle leggi che intralciano il tuo voler porte fine alla propria vita se questa non ti aggrada più .
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lore64
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venerdì 6 aprile 2018
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immonda schifezza
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Perfetto esemplare di arte degenerata, che in una società degna di questo nome andrebbe compensato col rogo della pellicola e il manicomio pel regista. Invece di raccontare una storia il film, perfettamente in linea colla tendenza dell'epoca, ci propina un'ammuina di sporiferi quadretti di vita quotidiana senza il minimo tentativo di approfondire la natura della malattia, la possibilità di un percorso riabilitativo, ma anche, più semplicemente, la personalità del malato e i suoi sentimenti dinanzi alla tragedia che va vivendo. Una e dico una volta il protagonista dice di voler morire dopodiché pare aver superato subitamente e per incanto ogni dubbio e ogni tormento, e il film diventa tutto (e soltanto) uno sfarfallamento (come dice il titolo) - di una noia e di una prolissità allucinanti - di pensieri e situazioni in libertà prive di qualsiasi nesso logico appena sostenuto.
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Perfetto esemplare di arte degenerata, che in una società degna di questo nome andrebbe compensato col rogo della pellicola e il manicomio pel regista. Invece di raccontare una storia il film, perfettamente in linea colla tendenza dell'epoca, ci propina un'ammuina di sporiferi quadretti di vita quotidiana senza il minimo tentativo di approfondire la natura della malattia, la possibilità di un percorso riabilitativo, ma anche, più semplicemente, la personalità del malato e i suoi sentimenti dinanzi alla tragedia che va vivendo. Una e dico una volta il protagonista dice di voler morire dopodiché pare aver superato subitamente e per incanto ogni dubbio e ogni tormento, e il film diventa tutto (e soltanto) uno sfarfallamento (come dice il titolo) - di una noia e di una prolissità allucinanti - di pensieri e situazioni in libertà prive di qualsiasi nesso logico appena sostenuto.
Per la verità un tema forte dal film emerge e come. L'arte degenerata non racconta, non interessa e non ci presenta nulla di bello, ma qualcosa lo sa far bene, e cioè ungere il posteriore ai pregiudizi che scuola e media di regime quotidianamente inculcano nei poveri cervelli del gregge: mi riferisco alla ripugnante religione umanista e alla grottesca attribuzione di valore intrinseco alla vita umana, procedenti in linea diretta dalla superstizione giudaica. Anziché guardare pieno di spregio al vile attaccamento del protagonista ai miserabili brandelli di vita lasciatigli dal destino, e costruire il film su una virile esaltazione del suicidio e della morte cercata in coscienza e dignità di spirito, il regista lo trasforma in una melensa quanto servile apologia del vago spiritualismo cristianeggiante assurto a nucleo metafisico di questa società in pieno e meritato corso di decadenza. Con sette miliardi di capi presenti sul pianeta la vita umana è la merce a più basso costo presente nell'universo.
"Lo scafandro e la farfalla" è uno spregevole connubio di arte à la page e di mitologemi di regime, da buttare nel cestino alla prim(issim)a occasione.
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great steven
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martedì 10 maggio 2016
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troppo sopravvalutato: è la noia a prevalere.
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LO SCAFANDRO E LA FARFALLA (FR/USA, 2007) diretto da JULIAN SCHNABEL. Interpretato da MATHIEU AMALRIC, PATRICK CHESNAIS, EMMANUELLE SEIGNER, MARIE-JOSéE CROZE, ANNE CONSIGNY, NIELS ARESTRUP, MAX VON SYDOW, EMMA DE CAUNES
Jean-Dominique Bauby è uno stimato giornalista e padre di famiglia che lavora per la rivista Elle. Un giorno, mentre percorre in automobile una strada di campagna con uno dei figli, accusa un malore. Si risveglia dopo un lungo coma in un letto d’ospedale, e scopre una sconvolgente verità: un ictus gli ha paralizzato completamente il corpo e ha scollegato il suo cervello dal sistema nervoso centrale.
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LO SCAFANDRO E LA FARFALLA (FR/USA, 2007) diretto da JULIAN SCHNABEL. Interpretato da MATHIEU AMALRIC, PATRICK CHESNAIS, EMMANUELLE SEIGNER, MARIE-JOSéE CROZE, ANNE CONSIGNY, NIELS ARESTRUP, MAX VON SYDOW, EMMA DE CAUNES
Jean-Dominique Bauby è uno stimato giornalista e padre di famiglia che lavora per la rivista Elle. Un giorno, mentre percorre in automobile una strada di campagna con uno dei figli, accusa un malore. Si risveglia dopo un lungo coma in un letto d’ospedale, e scopre una sconvolgente verità: un ictus gli ha paralizzato completamente il corpo e ha scollegato il suo cervello dal sistema nervoso centrale. Benché Jean-Do (come lo chiamano affettuosamente amici e conoscenti) riesca ad udire una sorta di voce interiore nella sua mente, capisce ben presto che non è più in grado di esprimersi verbalmente e farsi dunque comprendere a parole dai suoi interlocutori. L’ictus gli ha anche annullato la funzionalità dell’occhio destro, quindi non gli resta che quello sinistro per poter, con estrema lentezza, riagguantare un contatto col mondo. Dinanzi a domande precise, ivi comprese la scelta delle lettere dell’alfabeto ordinate tramite un’apposita sequenza, può sbattere la palpebra funzionante per le risposte affermative e sbatterla due volte per quelle negative. Attraverso questo sistema comunicativo stentato, ma che dà comunque i suoi frutti, l’ex giornalista scrive la sua autobiografia, nella quale racconta tutti gli eventi che hanno preceduto la malattia. Bauby morirà dieci giorni dopo la pubblicazione del libro. La memoria e l’immaginazione del protagonista rivivono nelle rievocazioni che egli compie nei momenti di maggiore scoramento, scoramento che lo attanaglia quando crede di non poter proseguire, ma che viene puntualmente superato con una forza d’animo fomentata da un non comune coraggio. Fra le sue fervide e abbondanti rimembranze, trovano posto gli eventi più allegri del suo passato, le cose che avrebbe voluto fare, le persone che trascurò e a cui avrebbe desiderato dedicare una fetta più ampia di tempo, fino al rapporto conflittuale col padre sfociato in un brusco litigio. Una pioggia di riconoscimenti ha premiato questo adattamento cinematografico dell’omonima autobiografia di Bauby, uscita nel 1997, fra i quali i più importanti son sicuramente il Golden Globe per il miglior film straniero e il premio per la migliore regia al Festival di Cannes. A mio giudizio, sono eccessivi. Il film ha un andamento ondivago che spesso travalica nel noioso, addirittura con qualche involontaria ma consistente scivolata nell’autocommiserazione, e il tutto non produce un messaggio di speranza come probabilmente si aspettava il regista Schnabel. Al contrario, si ha l’idea di aver a che fare con un prodotto che mescola una noia schopenhaueriana ad un idealismo di matrice hegeliana, senza però il risultato di una filosofia esistenziale che ne esca fuori e insegni qualcosa di significativo ad uno spettatore assetato di verità e conoscenza. Certi passaggi appaiono ridicoli e imbarazzanti, benché l’interpretazione accorata e saggia di Amalric riesca almeno in parte a risollevare l’opera dagli screzi che avvengono inavvertitamente fra la sua componente ricostruttiva, l’origine letteraria e il bisogno di comunicare una morale importante al pubblico. Morale che però si trasforma in moralismo, o peggio, in una caricatura di un uomo veramente vissuto che ha perso tutto quanto era fondamentale per lui (la sua salute, la sua autonomia) e adesso è vittima delle sue limitazioni. Per quanto tuttavia Jean-Do riesca, seppur con una fatica tanto accentuata quanto ammirevole, ad aggrapparsi ad un disperatissimo spiraglio per rimanere collegato con la realtà e le altre persone, la sua lotta sembra già persa in partenza, almeno per come il film di Schnabel la raffigura: si ha insomma l’impressione che i personaggi che interagiscono con lui desiderino inconsapevolmente da parte sua un affaticamento che non può dare, oppure, cosa che non cambia il discorso di fondo, un ottimismo sfegatato che non servirà a nulla in quanto il suo destino è già clinicamente segnato. Clinicamente ma anche psicologicamente. La ricchezza del film, tutto sommato grossolano e deludente, sta però nei contributi tecnici: al montaggio meraviglioso di Juliette Wefling, si abbina la splendida fotografia di Janusz Kaminski. Entrambi ricevettero una candidatura all’Oscar. L’accompagnamento delle sequenze più agresti e intimiste col celeberrimo brano francese La mer è una delle poche scelte azzeccate che questo dramma cinematografico di serie B è riuscito a portare in campo, ma galleggia su un mare di remissività e poca audacia di osare. La prova di M. Amalric rimane ciononostante un motivo valido per guardarlo, ma anche von Sydow brilla nel dare corpo e voce al suo spigoloso genitore. La malattia di cui il protagonista ha sofferto, e che l’ha condotto ad una lenta morte per deperimento inesorabile, è la cosiddetta sindrome locked-in.
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darkovic
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domenica 13 settembre 2015
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intenso e sconvolgente
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inquietantei,ntenso e sconvolgente,bellissimo
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il befe
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martedì 10 marzo 2015
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ce ne fossero
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il befe
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martedì 10 marzo 2015
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capolavoro
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em.ina
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lunedì 29 ottobre 2012
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capolavoro schnabel
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sublime introspezione attraverso l'affresco di una vita distrutta.
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queen251
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sabato 11 agosto 2012
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rivivere i momenti salienti della propria vita
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e potersi raccontare sorretto dall'immaginazione e dalla memoria sempre vivi, in un corpo ormai morto, ad eccezione di uno spiraglio che fa da tramite tra lui ed il mondo esterno. Il film non scade mai nella retorica o nella banalità. Brani del libro che è riuscito a realizzare battendo le ciglia anzichè i tasti di una macchina da scrivere, accompagnano lo spettatore per tutta la durata del film. Mi ha sorpreso che mai, nemmeno una volta, abbia inveito contro il fato crudele, ed anzi abbia esosortato coloro "che si muovono" a credere che "anche l'immobilità possa essere fonte di gioia".
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e potersi raccontare sorretto dall'immaginazione e dalla memoria sempre vivi, in un corpo ormai morto, ad eccezione di uno spiraglio che fa da tramite tra lui ed il mondo esterno. Il film non scade mai nella retorica o nella banalità. Brani del libro che è riuscito a realizzare battendo le ciglia anzichè i tasti di una macchina da scrivere, accompagnano lo spettatore per tutta la durata del film. Mi ha sorpreso che mai, nemmeno una volta, abbia inveito contro il fato crudele, ed anzi abbia esosortato coloro "che si muovono" a credere che "anche l'immobilità possa essere fonte di gioia".
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gabriellaprezioso
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mercoledì 21 marzo 2012
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scafandri e farfalle
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Mi sono trovata catturata dai pensieri di Jean-Do, nel buio della mia stanza ascoltavo ciò che gli altri non udivano, ho guardato il mondo anche io come lo vedeva lui, come nei sogni, quando parli e nessuno ti sente. L'immaginazione e la memoria sono davvero poche delle cose che salvano in qualunque caso, quello che desidereremmo fare e non abbiamo fatto e soprattutto potremmo non fare mai perchè va al di là delle nostre reali possibilità contingenti, e quello che ab fatto, quello che da sapore a giorni diversi, una nota di colore nei momenti bui, la testimonianza di esserci.
Non ho piu dormito tutta la notte, ho guardato la mia camera come non l'avevo mai vista, ho cambiato il posto dove dormo solitamente per vedere se a destra si scorgesse qualcosa di diverso, ed era diverso, anche solo per il fatto che la luce dell'abat-jour allungava ombre diverse.
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Mi sono trovata catturata dai pensieri di Jean-Do, nel buio della mia stanza ascoltavo ciò che gli altri non udivano, ho guardato il mondo anche io come lo vedeva lui, come nei sogni, quando parli e nessuno ti sente. L'immaginazione e la memoria sono davvero poche delle cose che salvano in qualunque caso, quello che desidereremmo fare e non abbiamo fatto e soprattutto potremmo non fare mai perchè va al di là delle nostre reali possibilità contingenti, e quello che ab fatto, quello che da sapore a giorni diversi, una nota di colore nei momenti bui, la testimonianza di esserci.
Non ho piu dormito tutta la notte, ho guardato la mia camera come non l'avevo mai vista, ho cambiato il posto dove dormo solitamente per vedere se a destra si scorgesse qualcosa di diverso, ed era diverso, anche solo per il fatto che la luce dell'abat-jour allungava ombre diverse. Tutti un po' imprigionati in uno scafandro abbiamo ali di farfalla, forse per volare potrei provare a chiudere un occhio..
Grazie
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intra
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giovedì 5 gennaio 2012
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liberta interiore
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Jean-Do, redattore capo della prestigiosa rivista Elle, colpito da un ictus a soli 42 anni, rimane paralizzato dalla testa ai piedi, e incapace di comunicare con il mondo esterno, pur conservando una mente lucida. Solo la palpebra del suo occhio sinistro riesce ancora a muoversi. Da questo battito di ciglia riparte la rinascita del protagonista che, a poco a poco , si lascia alle spalle la disperazione e l'autocommiserazione, scoprendo che se pur prigioniero di un corpo immobile, e' ancora libero di ricordare e di immaginare; a tal punto che, grazie al suo occhio sinistro, riesce a dettare lettera per lettera, parola per parola, la sua autobiografia. Un film coinvolgente,sconvolgente, ma soprattutto poetico e originale per come e' stato trattato il tema della malattia, non assomiglia a nessuno dei film "ospedalieri" fatti fino ad oggi.
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Jean-Do, redattore capo della prestigiosa rivista Elle, colpito da un ictus a soli 42 anni, rimane paralizzato dalla testa ai piedi, e incapace di comunicare con il mondo esterno, pur conservando una mente lucida. Solo la palpebra del suo occhio sinistro riesce ancora a muoversi. Da questo battito di ciglia riparte la rinascita del protagonista che, a poco a poco , si lascia alle spalle la disperazione e l'autocommiserazione, scoprendo che se pur prigioniero di un corpo immobile, e' ancora libero di ricordare e di immaginare; a tal punto che, grazie al suo occhio sinistro, riesce a dettare lettera per lettera, parola per parola, la sua autobiografia. Un film coinvolgente,sconvolgente, ma soprattutto poetico e originale per come e' stato trattato il tema della malattia, non assomiglia a nessuno dei film "ospedalieri" fatti fino ad oggi. Inoltre interessante il progressivo delinearsi di una nuova vita, non solo possibile, ma piu' profonda e ricca di significati rispetto a quella che Jean-Do aveva vissuto precedentemente. Un incredibile inno alla vita, vista e vissuta attraverso quell'occhio capace di esprimere tutta la profonda essenza di un uomo cosi' umiliato e imprigionato, ma libero come una farfalla...
Anita Intra
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