Anche libero va bene |
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Un film di Kim Rossi Stuart.
Con Kim Rossi Stuart, Barbora Bobulova, Alessandro Morace, Marta Nobili.
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Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 108 min.
- Italia 2006.
- 01 Distribution
uscita venerdì 5 maggio 2006.
MYMONETRO
Anche libero va bene ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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IN EQUILIBRIO SUI TETTI DEL MONDO
di a.l.Feedback: 0 |
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lunedì 15 maggio 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Kim Rossi Stuart, uno dei volti più espressivi del cinema italiano, con la modestia doverosa del principiante preparato, esordisce dietro la macchina da presa inserendosi in uno dei filoni più fecondi e felici della tradizione nazionale, quello dell’infanzia negata come termometro di una società iniqua, e rendendo particolare omaggio a uno dei suoi archetipi nobili “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica. Il film infatti, voluto a Cannes dai responsabili della “Quinzaine des Réalisateurs”, recupera rivitalizzandolo uno schema narrativo sempre attuale: si lavano i panni sporchi alla finestra e il dramma familiare spietatamente sviscerato consente di allargare lo sguardo alla città intera. La vicenda sugli schermi è stata vista mille volte con varianti e toni diversi: una madre inquieta abbandona marito e due figli, un padre fragile li fa crescere fra difficoltà innumerevoli e un domani forse la famiglia dimezzata riuscirà a trovare un suo equilibrio tramite la maturità forzata del bambino/giudice costretto per difendere la sua infanzia a mostrarsi e a diventare adulto. La novità sta però altrove ovvero in uno stile di regia severo e per questo rigorosamente asettico nel trasformare le pareti domestiche di un alloggio piccolo borghese romano nella cassa di risonanza esplosiva delle tensioni sociali. In altre parole esattamente come “Ladri di biciclette” negli anni del dopoguerra, “Anche libero va bene”, a una lettura meno superficiale, è un ritratto sfumato ed indiretto dell’Italia di oggi: il traffico perenne è rumore invasivo, perenne sullo sfondo, ed è metafora efficace di una comunità-automa umanamente indifferente ai bisogni dei singoli. L’undicenne Tommaso, nella sua miracolosa e precoce lucidità (anche interpretativa nel bambino attore per caso Alessandro Morace), sa che gli euri vanno contati uno per uno ed intuisce, confrontando casa sua con quella del suo amichetto benestante, che da una parte stanno i ricchi e felici e dall’altra i poveri ed infelici, anche se nella omologazione dominante abitano lo stesso condominio e frequentano le stesse scuole. E la miseria oggi è precisamente la precarietà economica ed esistenziale illustrata dalla pellicola: è la frustrazione della professionalità o del talento, è il giovane laureato, decorosamente vestito. nel call center, è la crudele costrizione ad inquadrare la parte anteriore di un’automobile al posto del muso di un cammello in cambio di un pezzo di pane. I genitori di Tommaso sono anime sprovvedute in fuga, ciascuna a modo loro, da una periferia del mondo desolata; entrambi sopravvivono evadendo ma lo fanno egoisticamente e a questo punto il lungometraggio da dramma sociale diventa etico, lasciando erompere dal fondo oscuro della storia l’atto di accusa nei confronti dell’esasperato e confuso egocentrismo oggi generalizzato: fino a che punto si deve essere liberi, se la nostra libertà lede i diritti altrui? E’ giusto, per inseguire la propria vocazione, abbandonare i figli o non ascoltarli? Il cerchio si apre e si chiude sull’anomalia delle personalità devianti del film che estremizzano tragicamente la prosaica banalità della prassi quotidiana che ha le radici nobili nel “particulare” di guicciardiana memoria. Ma il ruolo da libero ha senso solo se si fa gioco di squadra; la regola vale per tutti, anche per chi intende far cinema con sentimenti autentici. Peccato però sia la saggezza degli emarginati di quelli che camminano in precario equilibrio sui tetti.
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