fabiofeli
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lunedì 17 febbraio 2020
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smaschero un assassino, se mi fissa negli occhi
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Dalle parti di una cittadina della Corea del Sud nel 1986 viene trovato in un canale lungo i campi coltivati il corpo di una giovane donna violentata ed uccisa. Un investigatore di nome Park (Song Kang-ho) e il suo collaboratore incolpano del delitto un ragazzo lento di comprendonio grazie a molteplici brutali interrogatori a suon di calci e ceffoni. L’investigatore si vanta di poter capire se un tizio è un assassino solo fissandolo negli occhi: una tecnica lombrosiana “avanzata”, non c’è che dire! I due fabbricano una falsa prova con una impronta di scarpe da tennis nel fango vicino a quello che credono sia il luogo di ritrovamento del cadavere, regalando poi le scarpe al malcapitato accusato.
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Dalle parti di una cittadina della Corea del Sud nel 1986 viene trovato in un canale lungo i campi coltivati il corpo di una giovane donna violentata ed uccisa. Un investigatore di nome Park (Song Kang-ho) e il suo collaboratore incolpano del delitto un ragazzo lento di comprendonio grazie a molteplici brutali interrogatori a suon di calci e ceffoni. L’investigatore si vanta di poter capire se un tizio è un assassino solo fissandolo negli occhi: una tecnica lombrosiana “avanzata”, non c’è che dire! I due fabbricano una falsa prova con una impronta di scarpe da tennis nel fango vicino a quello che credono sia il luogo di ritrovamento del cadavere, regalando poi le scarpe al malcapitato accusato. Ma da Seul giunge un altro investigatore, Seo Tae-yoon (Sang Kyung Kim), un po’ più esperto degli altri due: non crede alla colpa dell’incriminato che ritratta la confessione estorta, perché si susseguono sparizioni e uccisioni di “belle ragazze vestite di rosso nelle sere di pioggia”. Una ulteriore pista può essere fornita dalla concomitanza dei delitti con la trasmissione ad una radio locale di una certa canzone nelle sere di pioggia: va in carcere il giovane che ha telefonato alla radio per chiedere la messa in onda della canzone ed anche Seo Tae-yoon adotta le maniere forti per farlo confessare. Gli omicidi, però continuano … e quindi che fare? Presidiare l’ultimo luogo del delitto di notte? …
Bong Joon-ho con questa pellicola del 2003 - il suo secondo film su otto girati, doppiato e distribuito solo dopo il successo dell’ottavo, lo strepitoso Parasite nella sera degli Oscar 2020 - ha ottenuto importanti premi nel 2003 (Festival di San Sebastiano, Tokyo e Torino). La storia è ambientata in anni nei quali la Corea del Sud è ancora governata con un regime antidemocratico. Il regista ama il grottesco e, come in Parasite, in Memorie di un assassino si susseguono ripetuti colpi di scena, che rovesciano di continuo lo stato delle indagini: l’attenzione del pubblico si focalizza su ipotesi, verosimiglianze, indizi, dettagli, presto smentiti dai fatti. Chi dovrebbe vigilare sulla sicurezza mette in pericolo chi non c’entra e continua a lasciar libero chi delinque pur di assicurare all’opinione pubblica (che lo reclama ad ogni costo) un capro espiatorio. Oltre a seguire l’abusato “proverbio” di cinema e letteratura del giallo – l’assassino torna sempre nel luogo del delitto – gli incaricati delle indagini provano con la “magia”, quando non funzionano le false prove e le torture, alle quali non si sottrae neanche l’investigatore più colto e dotato di maggiori strumenti pur di fare in fretta. Dalla storia esce un ritratto di un mondo distopico sempre più “universale” e, purtroppo, con qualche somiglianza anche con il nostro: questo ci mette a disagio e ci induce alla riflessione. Tecnica cinematografica, fotografia, sceneggiatura e recitazione sono impeccabili e già mature in questo film girato da Bong all’età di 34 anni. L’umorismo della storia più che rammentare i film di Kitano (noto ed apprezzato regista giapponese) ci ricorda la raffinata opera Right now, Wrong then (Giusto prima, sbagliato dopo), di un altro autore sudcoreano, Hong Sang-soo, premiata al Festival di Locarno nel 2015. Memorie di un assassino è da vedere, apprezzare e consigliare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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flaw54
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domenica 16 febbraio 2020
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megli9 tacere....
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Non ho parole per questo film. D'altra parte non c'è da meravigliarsi... È dello stesso regista di Parasite.oltrepassa il ridicolo. Basta così. Non merita altre parole
[+] boh!
(di giandomenico)
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ghisi grütter
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sabato 15 febbraio 2020
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né buoni né cattivi
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Il regista Bong Joo-ho è reduce da una incredibile vittoria agli Oscar 2020. Con “Parasite” ha ottenuto, infatti, quattro statuette: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura e miglior film internazionale. Per la prima volta nella storia degli Awards è stato premiato un film non di lingua inglese.
Il regista aveva già girato insieme al famoso attore coreano Song Kang-ho il suo secondo lungometraggio “Memorie di un assassino” del 2003.
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Il regista Bong Joo-ho è reduce da una incredibile vittoria agli Oscar 2020. Con “Parasite” ha ottenuto, infatti, quattro statuette: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura e miglior film internazionale. Per la prima volta nella storia degli Awards è stato premiato un film non di lingua inglese.
Il regista aveva già girato insieme al famoso attore coreano Song Kang-ho il suo secondo lungometraggio “Memorie di un assassino” del 2003. Mai proiettato in Italia, in questi giorni, l’hanno fatto uscire nelle sale cinematografiche.
“Memorie di un assassino” è un ottimo film, drammatico, ironico, divertente e a mio avviso - e non solo mio - ancora più bello di “Parasite”. È sicuramente meno costruito appositamente per fare effetto o per aderire a esplicitamente una posizione politica. È tratto da una pièce teatrale scritta da Kwang-lim Kim che a sua volta, si è ispirato a un capitolo di cronaca nera realmente avvenuta tra il 1986 e il 1991.
Siamo durante gli anni del regime militare di Chun Doo-hwan nel 1986, in un piccolo villaggio nella provincia del Gyeonggi, dove due investigatori Park Doo-man (interpretato da Song Kang-ho) e Cho Yong-koo (interpretato da Kim Roe-ha), sono sulle tracce di un serial killer che uccide delle giovani donne.
I metodi usati dai poliziotti sono piuttosto ruvidi, arrivano a torturare di volta in volta il sospetto malcapitato che, alla fine, confesserà anche se innocente. Date le difficoltà del caso, da Seul arriva il giovane detective Seo Tae-yoon (interpretato da Kim Sang-kyung), più istruito degli investigatori di provincia e dai metodi più razionali. Dotato di un notevole intuito logico, si contrappone ai modi rozzi degli altri due. In tal modo, smontate le accuse e le false confessioni, i tre iniziano a collaborare obtorto collo, così come ordinato dal Sergente capo di Polizia Shin Dong-chul (interpretato da Song Jae-ho).
Il film è quindi confezionato come un perfetto thriller. Gli indizi portano a identificare gli elementi costanti e i momenti in cui avvengono omicidi: sono durante la sera mentre cade la pioggia, la donna è vestita di rosso e la radio suona una certa particolare canzone, così come richiesta da un ascoltatore. Il regista inserisce tutti gli ingredienti classici per costruire una notevole suspense. Scene di ricerca dell’assassino, di scoperte e interrogatori si alternano a quelle di inseguimenti e di agguati in cui il volto del killer non è mai svelato. Liberato il primo sospettato, cioè un giovane ritardato con una guancia bruciata, viene individuato un altro indiziato: il ragazzo che richiedeva di ascoltare quella particolare canzone alla radio. Ma stavolta il giovane è un ex militare che vive lì da un anno - esattamente da quando sono iniziati gli omicidi - e non è propenso a confessare. Che fare? Si è riscontrato un campione di sperma sul vestito di una delle vittime ma, non essendoci ancora la possibilità del test in Corea, lo si invia negli Stati Uniti, assieme a un campione del sospettato. Ciò dovrebbe tagliare la testa a ogni dubbio e costituire la prova decisiva.
In attesa dei risultati del test, gli investigatori lo tengono sotto controllo. Ma i tre detective sono in continuo conflitto tra loro e spesso - tra il grottesco e la commedia - litigano proprio quando sembrano essere vicinissimi alla soluzione del caso.
Non voglio rivelare di più della trama per non fare spoiling di questo film che presenta un finale amaro ma significativo. Straordinaria interpretazione di Song Kang-ho (lo stesso del padre della famiglia povera in “Parasite”) che apre e chiude il film, diciassette anni dopo gli assassini.
In questo lungometraggio Bong Joon-ho ha usato un fatto di cronaca per creare un dipinto variegato sulla razza umana, sulle sue perversioni e sulla sua diffusa tendenza alla violenza. «Hai visto la faccia di quel signore? Mi dici com'era?» chiede Park Doo-man a una bambina, che così risponde: «Non so... era una faccia comune. Insomma... una faccia normale».
Il paesaggio è quello rurale dove è inserita l’industria, così come mostrato anche in “Burning” del 2018 da Lee Chang-dong, un altro regista coreano impegnato che è stato anche Ministro della cultura. Quello che Bong Joo-ho rappresenta è un paese che marcia a fatica verso il benessere, sullo sfondo c’è il regime agli sgoccioli, gli abusi ai detenuti, le proteste e le manifestazioni studentesche che catalizzano tutti gli sforzi militari.
I colori della pellicola sono quelli del grano, le tinte luminose della campagna si contrappongono al grigiore e allo squallore degli edifici, della stazione fatiscente di polizia, della scuola, della fabbrica, degli interni delle abitazioni.
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andrej
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giovedì 2 marzo 2017
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un ottimo thriller psicologico
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Ottimo thriller coreano, molto diverso da altri (per esempio i famosi "No mercy" e "I saw the devil"): meno ricco di azione, assai piu' lento, psicologico, riflessivo. Potrebbe sembrare persino troppo lento se ci si aspettasse un classico action movie, ma e' comunque un film estremamente ben fatto e che dunque non delude e non annoia, se lo si sa apprezzare nelle sue indubbie e molte qualita' : l'approfondimento psicologico dei personaggi, le atmosfere, la sottile e sempre presente suspense, l'ottima regia e interpretazione. Superlativo l'attore Song Kang Ho nel ruolo del detective Park. Film consigliatissimo a chi apprezza i thriller di qualita', meno indicato per gli amanti dell'azione pura.
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Ottimo thriller coreano, molto diverso da altri (per esempio i famosi "No mercy" e "I saw the devil"): meno ricco di azione, assai piu' lento, psicologico, riflessivo. Potrebbe sembrare persino troppo lento se ci si aspettasse un classico action movie, ma e' comunque un film estremamente ben fatto e che dunque non delude e non annoia, se lo si sa apprezzare nelle sue indubbie e molte qualita' : l'approfondimento psicologico dei personaggi, le atmosfere, la sottile e sempre presente suspense, l'ottima regia e interpretazione. Superlativo l'attore Song Kang Ho nel ruolo del detective Park. Film consigliatissimo a chi apprezza i thriller di qualita', meno indicato per gli amanti dell'azione pura.
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nerazzurro
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lunedì 5 ottobre 2015
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un thriller da antologia
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La storia di uno tra i più efferati e folli killer che terrorizzò la korea in un film realizzato magistralmente. Da vedere
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dandy
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venerdì 12 agosto 2011
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memories of greatness.
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Quattro anni prima di "Zodiac",un altro viaggio nel disastroso passato di un paese povero e ingenuo(e decisamente peggiorato oggi),dove le istituzioni erano repressive e spregiudicate,dove il maschilismo imperava e gli USA erano visti con invidia.Il male che lo colpisce è un male che travolge ogni cosa,compresi i protagonisti(perdenti e tutt'altro che "buoni poliziotti" intrepidi che salvano gli innocenti),destinati a fallire già dall' inizio.Mirabile nel mostrarne la maturazione lenta e incerta,e l'illustrazione dei fatti,il film tratto dal libro"Come and see me" di Kim Kwangrim,e ispirato a una storia vera,è più di un semplice thriller-poliziesco.
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Quattro anni prima di "Zodiac",un altro viaggio nel disastroso passato di un paese povero e ingenuo(e decisamente peggiorato oggi),dove le istituzioni erano repressive e spregiudicate,dove il maschilismo imperava e gli USA erano visti con invidia.Il male che lo colpisce è un male che travolge ogni cosa,compresi i protagonisti(perdenti e tutt'altro che "buoni poliziotti" intrepidi che salvano gli innocenti),destinati a fallire già dall' inizio.Mirabile nel mostrarne la maturazione lenta e incerta,e l'illustrazione dei fatti,il film tratto dal libro"Come and see me" di Kim Kwangrim,e ispirato a una storia vera,è più di un semplice thriller-poliziesco.Ad anni luce da qualsiasi prodottino analogo e scontato girato in America.Il disagio trasmesso è autentico,e la tensione,a tratti,insostenibile malgrado le violenza sia assai esigua.Lo spettatore occidentale può trovare spiazzanti alcuni bruschi cambi di tono,e c'è qualche coincidenza o semplificazione di troppo,ma la lucidità amara e il controllo tecnico sono impressionanti(mirabile l'uso abbondante del piano-sequenza).Memorabile il confronto finale a tre nel tunnel.Senza esagerazione,una delle colonne portabti del cinema sudcoreano del 2000.Malgrado il premio del pubblico al Torino Film Festival,da noi è circolato solo in dvd è con anni di ritardo.Imperdibile per chi ama il cinema coreano e anche per chi una volta tanto vuole vedersi un film davvero degno di questa definizione.
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molenga
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mercoledì 20 luglio 2011
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inadeguatezza
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nella provincia coreana degli anni'ottanta, quando anche la parte meridionale della penisola era sottoposta ad un regime autoritario, un serial killer uccide donne dopo averle violentate: la polizia locale si rivela subito inadeguata, cerca subito tra i disadattati della prefettura e cerca di estrapolare confessioni con la violenza; anche un detective della grande seoul, venuto a dar man forte, si allinea quasi subito ai metodi dei suoi colleghi di campagna: il colpevole non viene fuori....o sì?
Forte condanna di Bong al regime di polizia e alla natura pavida di chi è abituato a vivere nella paura, film ben recitato, ottima fotografia, musiche e atmosfere d'impatto.
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donniedarko
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lunedì 29 dicembre 2008
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dalla corea un film da prendere come esempio
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Il magnifico dialogo conclusivo tra l' ex-ispettore di polizia e una bambina è sicuramente il miglior modo in cui si potesse concludere un film a dir poco perfetto diretto da un Bong Joon-Ho straordinariamente ispirato.
Il film è basato sulla storia vera di un serial killer che sconvolse la Corea del Sud, violentando e uccidendo 10 donne tra il 1986 e il 1991.
La sceneggiatura sontuosa riesce con geniali trovate a coinvolgere completamente lo spettatore, che si immedesima con gli stessi occhi dei protagonisti, sconvolti e impotenti davanti alla realtà.
L'ambientazione fredda e cupa si fa carico di un realismo quasi gotico.
Angosciante,inquietante,visionario,drammatico e commovente, "Memories of murder" non vuole essere un film presuntuoso ma rimane senza dubbio la migliore espressione di un cinema che purtroppo in occidente è destinato a rimanere in buona parte sconosciuto.
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