Questa regista turca, in concorso anni fa al Festival di Berlino, sembra distante dalla vera o
presunt(uos?)a complessità di colleghi iraniani come Panahi. (Abbastanza)poco male, anche
se fosse cosi: non abbiamo solo bisogno di "cerchi" e "specchi", ma anche di questo
cinema arraffazzonato e/o simpatico su quel tipo di società. E poi anche uno come
Makmahlbaf, nel suo "silenzio", non mi pare abbia fatto di meglio- si veda la mia recensione.
Oltretutto, riflettendoci meglio, il disegno -in tutti i sensi - si presta, forse, ad una
Questa regista turca, in concorso anni fa al Festival di Berlino, sembra distante dalla vera o
presunt(uos?)a complessità di colleghi iraniani come Panahi. (Abbastanza)poco male, anche
se fosse cosi: non abbiamo solo bisogno di "cerchi" e "specchi", ma anche di questo
cinema arraffazzonato e/o simpatico su quel tipo di società. E poi anche uno come
Makmahlbaf, nel suo "silenzio", non mi pare abbia fatto di meglio- si veda la mia recensione.
Oltretutto, riflettendoci meglio, il disegno -in tutti i sensi - si presta, forse, ad una
maggiore complessità di quanto non appaia.
Se pensiamo ai cromatismi di questo film, infatti, e li associamo al titolo di cui è legittimo
fornire una doppia lettura -"geografica", ma al contempo ironica, di speranza ma al
contempo di delusione-, essi, associati ai primi piani sui volti dei protagonisti- sempre più
insistenti durante la narrazione- appaiono contrassegnare le tappe che attraversa il
protagonista, dapprima nelle sue traversie con la giustizia, poi quando un tragico
avvenimento sconvolgerà la loro vita.
Ognuna di queste tappe, allora, potrebbe sembrare una stazione nel "viaggio" che assume,
ancora di più una doppia valenza, quello di avvicinamento alla nuova realtà della capitale,
volto forse a concretizzare lo speranza; ed al contempo un altro, che implica di tornare
indietro geograficamente, e liberarsi di una parte di noi stessi.
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