Racconto d'autunno |
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Un film di Eric Rohmer.
Con Beatrice Romand, Marie Rivière, Alain Libolt, Charlotte Véry, Frederic Van Den Driessche.
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Titolo originale Conte d'automne.
Commedia,
durata 111 min.
- Francia 1998.
- Sony Pictures Italia
uscita mercoledì 23 settembre 1998.
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Irene Bignardi
La Repubblica
Con Racconto d'autunno, uscito dalla cinquantacinquesima Mostra del cinema con un'Osella per la miglior sceneggiatura e, in alternativa a Gatto nero gatto bianco di Kusturica, l'etichetta di Leone mancato (vabbe', Rohmer ne aveva avuto un altro, con Il raggio verde, ma il suo nuovo film è meglio), il regista francese chiude il suo ineguale ciclo dei Racconti delle quattro stagioni: e poiché non è obbligatorio dirsi rohmeriani, vorrei ricordare la pochezza di Racconto d'inverno (1991), e la grazia fragile ma un po' ripetitiva di Racconto di primavera (1990) e di Racconto d'estate (1996), con il loro ameno cicaleccio borghese. Ma Racconto d'autunno (autunno perché, ha dichiarato Rohmer, gli piaceva l'idea della vendemmia, autunno anche, e lo dico con un certo disappunto personale, perché questa è la metafora tipica per la mezza età dei quaranta-cinquantenni del film) è più solido, cattivello (come è spesso il regista, che ha il gusto di un entomologo più che la tenerezza di un poeta), garbatamente satirico, spesso molto divertente: una commedia des moeurs, per dirla alla francese, un gioco sui costumi amorosi. La commedia - che discende dritta dritta dalla tradizione francese nutrita di intrighi sentimentali alla Beaumarchais - ha il suo clou nel corso di una festa di matrimonio dove le posizioni dei personaggi si definiscono e si complicano con un effetto comico spesso irresistibile - beninteso, sempre rohmerianamente parlando, e cioè con un bizzarra recitazione che simula la naturalezza ma è piacevolmente artificiale, con una impaginazione impeccabile e campiture di colore elegantissime, con un'impercettibile rigidezza di snodi, quasi un atto che si succede a un atto, che è un marchio di stile, con dialoghi allegramente banali, che sembrano rubati al volo in un salotto o a una conversazione tra amiche al telefono. Resta una curiosità, circa il sentimento di Rohmer nei confronti dei suoi personaggi. Truffaut li amava, i protagonisti della sua commedia umana, ne era intenerito. La sensazione davanti all'ironia rohmeriana è che il grande vecchio del cinema francese guardi tutto dall'alto, con l'atteggiamento di chi studia delle divertenti formiche, senza mai un briciolo di adesione.
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