andrea
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mercoledì 6 giugno 2001
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il cinema coraggioso di depp 2
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La solitudine di Raphael non è solo nella sofferenza nel non trovare aiuto nemmeno nella chiesa (con la quale nutre fin da subito un rapporto instabile/deformato/sbilanciato come confermano le inquadrature oblique che marcano il suo ingresso nell’edificio religioso) in quanto suicida ma anche e soprattutto nella sua impossibile spensieratezza che lo isola implacabilmente anche nei momenti di maggior serenità (apparente, almeno per lui) che culminano con la festa nella discarica, che è in realtà, ma solo per lui, una lugubre “festa” d’addio! Affascinante l’idea di mostrare il deserto come un “bacino” di grande ricchezza umana (espresso nell’umanità e nella vitalità della baraccopoli in cui Depp vive).
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La solitudine di Raphael non è solo nella sofferenza nel non trovare aiuto nemmeno nella chiesa (con la quale nutre fin da subito un rapporto instabile/deformato/sbilanciato come confermano le inquadrature oblique che marcano il suo ingresso nell’edificio religioso) in quanto suicida ma anche e soprattutto nella sua impossibile spensieratezza che lo isola implacabilmente anche nei momenti di maggior serenità (apparente, almeno per lui) che culminano con la festa nella discarica, che è in realtà, ma solo per lui, una lugubre “festa” d’addio! Affascinante l’idea di mostrare il deserto come un “bacino” di grande ricchezza umana (espresso nell’umanità e nella vitalità della baraccopoli in cui Depp vive). La coscienza di Raphael/Depp padre e marito è racchiusa nella puntualizzazione fatta al prete riguardo alla sua estrema scelta: “egli vende il suo corpo, non la sua anima”, anche se si è portati a sospettare che egli sia disposto a vendere anch’essa ad un’eventuale dottor Faust pur di dare una “sterzata” alla vita della sua famiglia. I pochi minuti che costituiscono l’apparizione di Brando sono divorati dall’Attore con quella sua prodigiosa naturalezza recitativa che non finisce mai di stupire anche il più insensibile degli spettatori. La notevole maturità registica di Depp è confermata in chiusura dalla sua capacità di scegliere l’unico finale possibile (dove il non-mostrare dimostra di possedere, come sempre se motivato artisticamente, una pregnanza molto superiore del mostrare) coerente anche con la scelta, rispettata per tutto il film, di non mostrare un secondo più del necessario la violenza (poiché essa aleggia, vive già di vita propria all’interno del film fin dalla [auto]violenza di cui è impregnata la scelta iniziale di Depp) nel quale lentamente ma inesorabilmente il sipario-saracinesca di un montacarichi chiudendosi “ingoia” il protagonista, lasciando lo schermo mortiferamente nero.
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andrea
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mercoledì 6 giugno 2001
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il cinema coraggioso di depp 1
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Dopo il grande “Albino alligator” (“Insoliti criminali”) di Spacey, anche Depp l’anno successivo esordisce nella regia (oltre ad essere attore protagonista e co-sceneggiatore) ed elabora in modo personalissimo il percorso verso l’autodistruzione già affrontato con il William Blake immerso nel riverberato bianco e nero del bellissimo “Dead man” di Jarmusch. Il sole eterno oppressore e la luna eterna suggeritrice punteggiano la storia e nella loro intensità luminosa gareggiano quasi con l’altrettanto sfolgorantemente dimessa regia e recitazione di Depp (accompagnate dalla raffinata e ipnotica musica di Iggy Pop [che compare per un attimo durante la festa]).
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Dopo il grande “Albino alligator” (“Insoliti criminali”) di Spacey, anche Depp l’anno successivo esordisce nella regia (oltre ad essere attore protagonista e co-sceneggiatore) ed elabora in modo personalissimo il percorso verso l’autodistruzione già affrontato con il William Blake immerso nel riverberato bianco e nero del bellissimo “Dead man” di Jarmusch. Il sole eterno oppressore e la luna eterna suggeritrice punteggiano la storia e nella loro intensità luminosa gareggiano quasi con l’altrettanto sfolgorantemente dimessa regia e recitazione di Depp (accompagnate dalla raffinata e ipnotica musica di Iggy Pop [che compare per un attimo durante la festa]). La riflessività trattenuta dello sguardo attoriale e registico di Depp gli permette di raggiungere un’intensità emotiva e, al tempo stesso, una capacità di far riflettere notevolissima. Depp regista-attore sa emozionarsi prima ancora di emozionare e attraverso quest’emozionalità sa raccontare, secondo i suoi tempi fisiologico-psichici, una storia estrema come la vita cui sono costretti i suoi protagonisti. Cinema il suo originalmente alternativo che non vuol essere underground, pop, psichedelico (come un’altra preziosa storia d’autodistruzione condotta con altri ritmi e altra acredine: “Trainspotting” di Boyle) ma, semplicemente, fuori da tutte le mode perciò rischioso (economicamente ma anche artisticamente) e che vuol essere ed è, in ultima istanza, solo suo. Questa non-impostazione quasi programmatica ricorda il cinema di Kusturica, ma qui si fermano i contatti tra i due. In un film tenuto in realtà sempre sul filo del rasoio giunge imprevedibile ma liberatoria e coerente (con la difesa-sacrificio del/per il proprio focolare domestic) la rasoiata di violenza contenuta (compressa verrebbe da dire) nella scena della vendetta omicida di Raphael (Depp) contro Luis (Guzman), che magicamente non toglie nulla alla delicatezza e all’intensità emozionale della pellicola. Le carezze sanno assumere (incarnare) una purezza potente che tocca corde quasi fetali nello spettatore e in questa prospettiva le mani si fanno veicolo d’amore ma anche di morte (lo schiaffo alla moglie di Raphael da parte di Luis che basterà a condannarlo, lo strangolamento di Luis e soprattutto il marchio bovino sulla mano di Depp da parte dell’innominato emissario dell’altrettanto indefinito futuro regista della sua atroce fine).
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