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great steven
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giovedì 11 maggio 2017
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una ventata di novità nel noir poliziesco.
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CHINATOWN (USA, 1974) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JACK NICHOLSON, FAYE DUNAWAY, JOHN HUSTON, BURT YOUNG, BRUCE GLOVER
Nell’assolata e deserta Los Angeles del 1937, al detective privato Jacob Gittes si rivolge una donna che si spaccia per la signora Muwlray, moglie del più importante proprietario idrogeologico della metropoli, chiedendogli di indagare su un suo presunto tradimento coniugale.
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CHINATOWN (USA, 1974) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da JACK NICHOLSON, FAYE DUNAWAY, JOHN HUSTON, BURT YOUNG, BRUCE GLOVER
Nell’assolata e deserta Los Angeles del 1937, al detective privato Jacob Gittes si rivolge una donna che si spaccia per la signora Muwlray, moglie del più importante proprietario idrogeologico della metropoli, chiedendogli di indagare su un suo presunto tradimento coniugale. Occupandosi di un caso assai (ma solo in apparenza) più banale dei suoi canoni abituali, Jake arriva invece a conoscere la vera Evelyne Muwlray (nata Cross; l’altra donna non era che una prostituta pagata da una fondazione di cui Jake conosce il losco presidente), dark lady in piena regola, che lo trascina nel vortice di uno scandalo pubblico di corruzione che ruota intorno alla morte di Hollis Muwlray, trovato annegato in un canale di scolo. Ma si tratta di un accidente o di un omicidio architettato? Jake non può saperlo fintantoché non raccoglie sufficienti prove che lo portano ad incontrare di persona il terribile Noah Cross, socio alla pari di Hollis nella gestione delle risorse idriche che approvvigionano la città del bene primario. I rischi dell’impresa non sono da sottovalutare: Jake viene ferito al naso da un ghignante sorvegliante nano, disvela la presenza di una misteriosa ragazzina che potrebbe esser stata l’amante di Hollis, depreda incartamenti dagli archivi catastali e fa luce, uno per uno, su tutti gli aspetti oscuri di una storia tanto misteriosa quanto potenzialmente esplosiva, con gli agricoltori degli aranceti che protestano per la scarsità idrica e i progettisti di una diga che, a parole, sostengono di ridare l’acqua alla città, ma poi la scaricano nell’oceano, favorendo la desertificazione e rimpinguando le proprie casse. Ma il bandolo della matassa sta tutto nell’animo della tormentata Evelyn: la signora Muwlray ha sempre creduto fino all’ultimo nelle integerrime intenzioni del marito, ma nulla poté fare per impedire al padre di assassinarlo… dopo che il pericolosissimo e pazzo capitalista ebbe concluso due affari che gli stavano particolarmente a cuore: sottrarre al socio tutti i segreti per l’ottimo funzionamento della ditta e violentare la figlia, dando così vita alla sua figlia-sorella, la ragazzina che si credeva la concubina del defunto Hollis. Nel mettere a nudo una situazione di corruzione così sfracellata e madornale e una vicenda privata tanto sconvolgente, Jake rischia l’arresto per favoreggiamento, sottrazione di prove ed estorsione, ed è pronto a farsi ammanettare dal suo ex collega Lou Escobar (importante fu il periodo di Jake Gittes come poliziotto a Chinatown, poi archiviato per delusioni professionali), ma accade l’irreparabile: Evelyne e Catherine (così si chiama la ragazzina) sono più che mai decise a varcare la frontiera e non tornar mai più negli Stati Uniti. Escobar spara un colpo, ma Jake lo neutralizza; non può invece farlo col suo collega Walsh, che ferisce a morte Evelyn. Ormai sconfitto e avendo veduto il frutto del suo duro (anche se non onesto fino in fondo) lavoro, a Jake viene concessa la libertà di tornarsene a casa e stendere un velo pietoso su Chinatown. Permeato di un umorismo caustico e al tempo stesso sardonico, ricco di trovate geniali (l’occhio della Dunaway di cui Nicholson si accorge un istante prima del loro unico rapporto amoroso e che poi sarà quello da cui oltrepasserà il proiettile letale) e giustamente proiettato verso un finale amaro e destabilizzante, fece, senza lasciarsi andare ad esercizi di nostalgica archeologia, scuola nella rivisitazione del cinema nero americano. È, in fin dei conti, un noir con tutte le carte in regola: l’investigatore privato ex poliziotto, cinico, disincantato ma tutto sommato anche idealista e coraggioso; la femme fatale che manovra i fili di una vita dietro cui è però nascosto un dramma inconfessabile la cui venuta alla luce le provocherà un nuovo trauma ancora più sfibrante; il finanziere vegliardo che non si fa scrupoli né nell’incesto né nella rapida, violenta eliminazione fisica di un concorrente che ne sa più di lui in idrogeologia e dunque necessita delle sue conoscenze, una volta messe in pratica, per appropriarsi d’ogni cosa che rientri nel bacino d’utenza del suo mastodontico potere; l’agente promosso a tenente, che cova astio e insolenza nei riguardi del protagonista, ma pur essendo sempre sul punto di commettere una scorrettezza o un atto avventato contro di lui, glieli risparmia puntualmente dovendo ammettere a viva forza che l’ex collega aveva colto nel segno, svolgendo il proprio lavoro con un acume, una sfrontatezza e una perseveranza insospettabili, per quello che rimane comunque un subalterno. Nel grande labirinto di doppi giochi, servi del potere, raggiri, corruzioni dilaganti, bisogni disattesi e magnati spadroneggianti, è difficile individuare un vincitore. Il personaggio di Gittes viene sicuramente ripristinato, ma la sua riabilitazione è penalizzata dall’errore di credere eccessivamente nel suo idealismo, il che gli spiattella di fronte la realtà cruda dei fatti e non gli consente un pieno raggiungimento dell’utopia sperata. Nicholson se la cava benissimo finalmente in un ruolo meno psicopatico delle sue usuali corde, e lo affianca una Dunaway ormai fuori dall’aura di sex-symbol venticinquenne con la sua dama dell’aristocrazia che ostenta sicurezza e padronanza di sé per mascherare il dolore straziante che è pure personificato in carne e ossa dall’abuso paterno verso di lei. Polanski seppe scegliersi saggiamente un antagonista con connessi e controfiocchi come Huston: l’attore-regista si trasforma in un vecchio bue duro a crepare, un burattinaio malvagio e calcolatore che non si limita a bramare smaniosamente la pecunia, ma la ottiene sacrificando amici e nemici che gli capita di incontrare sul proprio percorso immancabilmente in salita e in divenire. E il quartiere cinese? È un topos in cui viene raccolto il lerciume morale che alberga negli animi dei personaggi, la fucina di espiazione dei vizi, della corruzione, del malessere, di quello stesso "mal di vivere" contro il quale si cerca affannosamente una ragione, un rimedio, un palliativo. A modo suo, è anche un’opera ecologica: il giardino dei Muwlray in cui l’acqua salata danneggia l’erba e in cui Gittes ritrova gli occhiali dell’uomo su cui indagava fanno riaffiorare il tema ambientalistico, e Los Angeles, città californiana stretta fra il Pacifico e la faglia di Sant’Andrea, non può certo dirsi nuova a questi scontri solitamente bilaterali di cultori dell’ambiente che muovono in una direzione o nell’altra, coi rispettivi propositi costruttivi o destrutturanti. Il vero eroe del film resta tuttavia Robert Towne, e una volta tanto un Oscar alla sceneggiatura è stato meritato senza strascichi né riserve: va tutto alla sua dovizia di particolari, al suo talento di narratore eccezionale e alla sua capacità di costruire intrecci che somigliano ad incastri societari, per come inscenano storie quanto mai formidabili e seducenti.
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l''uomodellasala
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giovedì 15 giugno 2017
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un capolavoro sottovalutato
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote.
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Roman ci regala uno dei film più belli della storia del cinema ma sconosciuto ai più. la trama non potrebbe essere più geniale, un neo-noir che parte da un piccolo mistero per poi finire in un complotto diabolico passando per tanti colpi di scena. l'apparato tecnico è formidabile, grazie a lui finiamo in ua San Francisco onirica e oscura: la fotografia è strraordinaria, la colonna sonora è formidabile e sopratutto le scenografie danno una ricostruzione perfetta. gli attori danno delle prove stupende: Nicholson meritava l'oscar, Fay non è da meno, Huston si trova perfettamente a suo agio nell'insolita veste di attore. il finale poi: qualcosa di scioccante, in cui i cattivi vincono e gli eroi tornano a casa a mani vuote. un omaggio al genere noir da guardare, con l'unico difetto di essere uscito nello stesso anno del Padrino-parte II, cosa che l'ha gettato ingiusatamente nell'ombra.
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samanta
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domenica 26 febbraio 2023
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manca l''acqua a los angeles
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E' un film uscito nel 1974che concerne un problema chhe scosse la Los Angeles degli anni '30 la mancanza di acqua in una città che era situata tra il mare e il deserto, figura centrale fu William Mulholland capo del Dipartimento acque pubbliche le cui soluzioni scontentarono gli agricoltori della contea che vedevano le acque di un invaso depauperate a danno delle loro colture. La regia è di Roman Polanski giovane ed affermato direttore (Rosemary Babie's), con questo film di gran successo fu lanciato nell'Olimpo di Hollywood, la sceneggiatura e il soggetto sono di Robert Thorpe uno dei più celebri sceneggiatori (Il socio, Mission Impossible) che ricevette l'Oscar, ebbe contrasti con Polanski che cambiò radicalmente il finale (la storia è ben raccontata da D.
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E' un film uscito nel 1974che concerne un problema chhe scosse la Los Angeles degli anni '30 la mancanza di acqua in una città che era situata tra il mare e il deserto, figura centrale fu William Mulholland capo del Dipartimento acque pubbliche le cui soluzioni scontentarono gli agricoltori della contea che vedevano le acque di un invaso depauperate a danno delle loro colture. La regia è di Roman Polanski giovane ed affermato direttore (Rosemary Babie's), con questo film di gran successo fu lanciato nell'Olimpo di Hollywood, la sceneggiatura e il soggetto sono di Robert Thorpe uno dei più celebri sceneggiatori (Il socio, Mission Impossible) che ricevette l'Oscar, ebbe contrasti con Polanski che cambiò radicalmente il finale (la storia è ben raccontata da D. Thomson ne La regola perfetta).
Jake Gittes (Jack Nicholson) un detective privato ex-poliziotto riceve la visita di una donna che si presenta come la moglie dell'ingegnere Mulwray (Daniel Zwerling) capo del Dipartimento dell'acqua di L.A. e vuole che accerti se il marito le è fedele. Jake lo pedina e comprende che l'uomo si oppone alla creazione di un bacino che impoverirebbe gli agricoltori, lo sorprende poi in compagnia di una giovane donna, fotografa la coppia ma le immagini finiscono su un giornale. Si presenta la vera moglie di Mulwaray Ewelyn Cross (Faye Dunaway) e poco dopo è trovato il cadavere dell'ingegnere annegato, Jake comprende dall'autopsia che è stato ucciso e comincia ad indagare. Si troverà in un vortice di corruzione il cui il "padrino" è un ricco speculatore Noah Cross (John Houston) padre di Evelyn torbido individuo coinvolto in delitti, incesti, scoprirà Katherine sorella di Evelyn ed in realtà sua figlia frutto della violenza di Noah. Il finale vede il corrutore impunito, Evelyn uccisa e Jake che si allontana solo.
La storia ricorda 2 film: Il mistero del Falco Maltese e Il grande sonno, dal primo l'espediente di una donna che dà false generalità per avviare l'indagine, dal secondo l'atmosfera di inganni, misteri, false piste e colpi di scena. D'altra parte Jake assomiglia a Spade o Marlowe ed è interpretato con grande abilità professionale da Jack Nicholson. Di suo Polansky ha introdotto un ritmo veloce e la trovata del finale che malgrado l'opposizione dei produttori e dello sceneggiatore provocò l'interesse del pubblico, lo stesso Thorpe (a cui fu dato l'Oscar!) che aveva congegnato un finale con la sconfitta del cattivo e la vittoria dei buoni, successivamente riconobbe di avere avuto torto. Sempre presente l'ossessione di Polansky per il sesso che si troverà anche nei suoi film successivi (come Luna di fiele), d'altra parte questo fu l'ultimo suo film in USA da cui dovette fuggire per lo stupro di una ragazzina di 13 anni. Il film dipinge una L.A. degli intrighi e della corruzione imperante negli anni '30 (vedi Babylon), sorretto da un'indubbia abilità tecnica del regista e da una buona recitazione degli interpreti: di Nicholson si è già detto, ma bravi anche gli altri protagonisti come Faye Dunaway e John Houston, padre boss e stupratore.
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tiamaster
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mercoledì 9 maggio 2012
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amarissimo capolavoro di polanski.
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Chinatown è uno di quei rari esempi di film,che dopo decenni,continua a comunicare come se fosse un film contemporaneo.Merito del grandissimo regista Roman Polanski,un caposaldo del cinema stesso,capace di regalare mille capolavori come "carnage","rosemary's baby" e molti altri che non starò qui a citare.Incredibile la forza narrativa ed espressiva del film,che colpisce lo spettatore con le sue atmosfere noir.Straordinaria quindi la sceneggiatura (premiata con l'oscar) capace di rivistare l'intero genere noir,e ricrearlo,infatti "chinatown" è quasi un genere a se stante,tanto è elevato,tanto è perfetto,tanto è,semplicemente CINEMA.
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Chinatown è uno di quei rari esempi di film,che dopo decenni,continua a comunicare come se fosse un film contemporaneo.Merito del grandissimo regista Roman Polanski,un caposaldo del cinema stesso,capace di regalare mille capolavori come "carnage","rosemary's baby" e molti altri che non starò qui a citare.Incredibile la forza narrativa ed espressiva del film,che colpisce lo spettatore con le sue atmosfere noir.Straordinaria quindi la sceneggiatura (premiata con l'oscar) capace di rivistare l'intero genere noir,e ricrearlo,infatti "chinatown" è quasi un genere a se stante,tanto è elevato,tanto è perfetto,tanto è,semplicemente CINEMA.Straordinario jack nicholson e faye dunaway.Capolavoro del regista è uno dei capolavori del cinema (se volete vedere altri capolavori assoluti gurdate i sette samurai,il settimo sigilli,schindler's list,forrest gump,a qualcuno piace caldo,un americano a parigi,ben-hur e into the wild,metropolis,m il mostro di dusseldorf,il silenzio degli innocenti,apocalypse now e il padrino).Meraviglioso.
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marco michielis
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lunedì 5 settembre 2011
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chinatown: dove l'ingiustizia diventa realtà
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Guardare un film come Chinatown è per certi versi un'impresa: credo sia una delle pellicole in cui la macchina da presa segue maggiormente il protagonista. In pratica non se ne separà mai, e, se è anche vero che ciò si ritrova in parecchi film gialli, è altrettanto vero che Polanski dimostra un'attenzione quasi morbosa nei confronti del suo Jack Gittes. E, del resto, avendo a disposizione un attore del calibro di Nicholson, quale regista non l'avrebbe fatto? Basterebbe guardare unicamente l'evolversi della sua espressione facciale per capire a che punto sono arrivate le indagini! Semplicemente il migliore. Come lui, si dimostra un asso nel suo mestiere il suo personaggio, Gittes, astuto, implacabile e soprattutto sfacciato, capace com'è di mettere in pratica una serie infinita di geniali trucchi del mestiere.
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Guardare un film come Chinatown è per certi versi un'impresa: credo sia una delle pellicole in cui la macchina da presa segue maggiormente il protagonista. In pratica non se ne separà mai, e, se è anche vero che ciò si ritrova in parecchi film gialli, è altrettanto vero che Polanski dimostra un'attenzione quasi morbosa nei confronti del suo Jack Gittes. E, del resto, avendo a disposizione un attore del calibro di Nicholson, quale regista non l'avrebbe fatto? Basterebbe guardare unicamente l'evolversi della sua espressione facciale per capire a che punto sono arrivate le indagini! Semplicemente il migliore. Come lui, si dimostra un asso nel suo mestiere il suo personaggio, Gittes, astuto, implacabile e soprattutto sfacciato, capace com'è di mettere in pratica una serie infinita di geniali trucchi del mestiere. Pure Gittes è, tra l'altro, attore: l'ex poliziotto è in grado di passare in men che non si dica dal ruolo di amorevole marito a quello di feroce lottatore per difendere la propria vita e quella della signora Mulray. Già, la signora Mulray. Uno dei personaggi più intriganti e misteriosi della storia del cinema, a parer mio; seguendo passo per passo le indagini di Gittes, possiamo renderci conto di quanto sia faticoso svolgere questo compito con una partner che non fa altro che mentire, raccontare storie e mentire ancora. E' per questo che la violenza che un esasperato Nicholson usa su di lei ci appare, sul momento, più che giustificabile e condivisibile. Ma solo sul momento: immediatamete dopo Evelyn rivelerà a noi e all'investigatore la sconcertante verità sul suo passato ( "e' mia figlia, mia sorella, mia figlia!": terribile). Noin si può che provare pietà per una creatura coine lei, e disgusto per un mostro qual è suo padre. Disgusto che si allarga pure alla polizia venduta e corrotta dai potenti della città, a cui importano unicamente i propri interessi. La vicenda si concluderà a Chinatown, lì dov'era iniziata la carriera di Gittes e dove lui stesso aveva avuto la sua prima e forse unica delusione, legata ad una donna. E l'ingiustizia trionfa, il colpevole rimane in libertà e si prende pure il premio (la figlia nata dall'orrido incesto). Il nostro sguardo incredulo trova un'efficace corrispettivo in quello di Jack; occhi allucinati e bocca spalancata. Non possiamo lascir perdere un simile crimine, no: neanche se commesso a Chinatown.
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[+] pardon
(di marco michielis)
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