carloalberto
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venerdì 31 dicembre 2021
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da rivedere
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Film in gran parte autobiografico che prelude al nostalgico e malinconico Amarcord ed in cui Fellini rievoca il suo viaggio a Roma e le prime esperienze di vita nella capitale.
Le imponenti vestigia del passato sono mostrate a contrasto con la ridicola pantomima fascista dei fasti imperiali in una città abitata da un popolino ancora autentico, nella sua becera trivialità rimasto quello della Roma papalina.
La scena del ristorante all’aperto, con le famiglie che mangiano commentando i piatti tipici che offre l’ostessa, mentre un uomo grida inveendo verso la propria donna, affacciata ad un balcone, chiedendole di scendere, è semplicemente unica ed irripetibile, sembra la vita stessa in presa diretta, invece è una realtà trasfigurata dai ricordi di Fellini, fantasticamente ricreata per essere più vera della realtà stessa, vivificata dall’immaginario poetico dell’autore.
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Film in gran parte autobiografico che prelude al nostalgico e malinconico Amarcord ed in cui Fellini rievoca il suo viaggio a Roma e le prime esperienze di vita nella capitale.
Le imponenti vestigia del passato sono mostrate a contrasto con la ridicola pantomima fascista dei fasti imperiali in una città abitata da un popolino ancora autentico, nella sua becera trivialità rimasto quello della Roma papalina.
La scena del ristorante all’aperto, con le famiglie che mangiano commentando i piatti tipici che offre l’ostessa, mentre un uomo grida inveendo verso la propria donna, affacciata ad un balcone, chiedendole di scendere, è semplicemente unica ed irripetibile, sembra la vita stessa in presa diretta, invece è una realtà trasfigurata dai ricordi di Fellini, fantasticamente ricreata per essere più vera della realtà stessa, vivificata dall’immaginario poetico dell’autore.
Il passato si alterna al presente. Alle immagini anteguerra, che si chiudono con una gigantesca prostituta leonina, incarnazione suggestiva di Roma, che campeggia maestosa sullo sfondo di antiche rovine, si sostituiscono le riprese della troupe che filma la Roma del 1972, soffocata da un traffico caotico sotto la pioggia battente. Non c’è più l’anima popolare di un tempo, adesso ci sono le macchine. Il rumore dei motori e dei clacson sovrasta ogni cosa, tutto è svilito, infangato dagli schizzi sollevati dai camion nelle strade allagate del raccordo anulare.
Fellini si sente un uomo del passato catapultato in un futuro che non gli appartiene, che comprende ma non ama. Agli studenti contestatori che sul set gli domandano se sta girando l’ennesimo film convenzionale su Roma, senza parlare di fabbriche e di periferie, Fellini risponde che ognuno dovrebbe fare ciò che gli è più congeniale. A Fellini è congeniale sognare ad occhi aperti e far rivivere nel sogno filmico ciò che nella realtà non tornerà più. Eppure al poeta sognatore non manca l’attenzione al presente e a ciò che accade in quegli anni nella società italiana, che si rivela nella carica della celere, che, senza motivo apparente, randella i ragazzi sessantottini, rei con la loro sola presenza di disturbare la cena dei borghesi nei ristoranti all’aperto.
Visionaria ed onirica è la lunga sequenza fantasmagorica del defilé grottesco di modelli improbabili che indossano abiti talari, sfilando, al ritmo ipnotico delle musiche di Rota, al cospetto di suore e monsignori plaudenti, fino all’evocazione dello spettro papale, avvolto in mantelli fosforescenti di un verde brillante, che suscita l’entusiasmo parossistico degli spettatori. Il carro evanescente e funereo degli scheletri chiude la sfilata a rappresentare la morte di un’epoca che sopravvive a sé stessa trasformando le glorie del passato in farsa orripilante.
Il film termina con una banda rombante di motociclisti, che, da padrona, attraversa nella notte una Roma deserta, come in un surreale giro turistico. E’ la manifestazione simbolica dell’ultima profanazione della città, questa volta ad opera della modernità, già evocata nella sequenza del ritrovamento archeologico durante i lavori per la metropolitana. In quella sequenza, emblematicamente, lo splendore delle pitture murali svaniva, le figure di antichi romani così vivide e vive, avvolte in vesti dai colori sgargianti, si dissolvevano in polvere per effetto dell’aria penetrata dal muro squarciato dalla forza distruttiva della tecnologia ormai dominante, rappresentata dalle enormi macchine da scavo.
Dopo tante maldestre imitazioni dello stile di Fellini, da parte di modesti epigoni di successo del nostro tempo, rivedere Roma, dopo tanti anni, fa bene all’anima.
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eugen
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domenica 9 giugno 2024
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fellini onirico
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Sempre onirico, Felliini e tendente a leggere i sogni in chiave junghiana piu'che freudiana, anche in questo"ROma"del 1972, scritto con Bernardino Zapponi, che in varie sequenze(che spesso sono di per se'episodi)mostra l'Urbs, visto da un provinciale(Riminese), pero'di madre romnaa e approdato presto a Roma come vignettista e autore radiofonico, prima di diventare regista. Dal primo"episodio"che ci mostra la rravesata del Rubicone imposta da un prof.o preisde marcatamente fascista, pe randare appunto a Roma, all'arrivo di un ventenne o simili nella capitlae nella casa di un'affittacamere, con vari altri"flash"(potremmo parlare di fllahs onirici, non solo di"documentario onirico", scomponendo il"doc onirico"nelle sue microparti), con punti di forza come le sequenze nel teatrino del "varieta'"con Alvaro Vitali quasi esordiente quale balletino di tip-tap, con il fuggi-fuggi finale perche'suona l'alllarme causa bombardamento aereo(1943).
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Sempre onirico, Felliini e tendente a leggere i sogni in chiave junghiana piu'che freudiana, anche in questo"ROma"del 1972, scritto con Bernardino Zapponi, che in varie sequenze(che spesso sono di per se'episodi)mostra l'Urbs, visto da un provinciale(Riminese), pero'di madre romnaa e approdato presto a Roma come vignettista e autore radiofonico, prima di diventare regista. Dal primo"episodio"che ci mostra la rravesata del Rubicone imposta da un prof.o preisde marcatamente fascista, pe randare appunto a Roma, all'arrivo di un ventenne o simili nella capitlae nella casa di un'affittacamere, con vari altri"flash"(potremmo parlare di fllahs onirici, non solo di"documentario onirico", scomponendo il"doc onirico"nelle sue microparti), con punti di forza come le sequenze nel teatrino del "varieta'"con Alvaro Vitali quasi esordiente quale balletino di tip-tap, con il fuggi-fuggi finale perche'suona l'alllarme causa bombardamento aereo(1943). il"prima"della costruzione del me'tro romane, con lunghe seeuze notturne, il confronto tra bordelli popolari e "casini" di lusso, la festa de"Noantri a Trastevere, con l'appazizione di Anna Magnani, con un fallito tetnativo di intervista da parte dello stesso Felljni, Rsicopsrta ancora un avolta"sognata"dell'Urbs aeterna, in una choave al tempo stesso colta ma attenta al sentimneto popolare, non a caso apprezzatisismada da Pasolini, in una recensione apparsa ne"IL Tempo".. Quasi un riotrno al neorealismo quanto a scelta delle e degli interpreti, con l'ecezione di due soli nomi famosiI(Fallini stesso e la Magnani; appunto, dato che Alvaro Vitali all'epocaa non era cnosciuto, salvo che per partecipazioni nei film di Fellini stesso , "Satyricon"e"I clowns". ), mentre per il resto si affida a personaggi non precisamente molto coniisciuti, come nlle tradziione del neorealismo, di cui Fellini non e'mai stato un sostenitore diretto, pur avendo collaborato come sceneggiatore a s crivere insieme a registi neorealisti i gfilm in qqestione. Eugen
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francesco di benedetto
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mercoledì 17 maggio 2006
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2) l'alterità, la donna, il sesso in fellini
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...(segue dalla prima parte) Vorrei ora suggerire qualche spunto d’analisi su Roma, forse il film simbolo di questo atteggiamento propositivo e vitale di slancio ed immersione totale all’interno del reale, dell’altro da sè, di uno fra gli innumerevoli possibili mondi oggetto di sguardo e dunque di narrazione.
Ludica quanto penetrante esplorazione della capitale, con la libertà e la curiosità dell’osservatore, tuffo nelle strade e negli interni per carpirne le meraviglie più nascoste, l’opera appare oggi fra le più moderne di Fellini per la prospettiva storico-impressionistica in cui ci viene presentata la città, quasi un museo antropologico e dell’immaginario (Roma antica imperiale, “la grande madre-puttana” (cit.
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...(segue dalla prima parte) Vorrei ora suggerire qualche spunto d’analisi su Roma, forse il film simbolo di questo atteggiamento propositivo e vitale di slancio ed immersione totale all’interno del reale, dell’altro da sè, di uno fra gli innumerevoli possibili mondi oggetto di sguardo e dunque di narrazione.
Ludica quanto penetrante esplorazione della capitale, con la libertà e la curiosità dell’osservatore, tuffo nelle strade e negli interni per carpirne le meraviglie più nascoste, l’opera appare oggi fra le più moderne di Fellini per la prospettiva storico-impressionistica in cui ci viene presentata la città, quasi un museo antropologico e dell’immaginario (Roma antica imperiale, “la grande madre-puttana” (cit.), il Vaticano, la truculenza popolare, il traffico caotico, l’osteria, ecc.) cui poter fare ancora visita senza che l’incanto sia mutato. Ed è forse qui che l’immagine del femminile come mondo “altro”, sconfinato e misterioso, veicolo di estasi e di trascendenza ma anche di consumazione delle energie individuali fino allo sfiancamento e all’autodistruzione, sembra comporsi nel quadro più felice, vitale e liberatorio. Mi riferisco in particolare alla visita ai due bordelli la cui franchezza e fisicità della rappresentazione potrebbero infastidire certi spettatori delicati. Personalmente al contrario, lo spettacolo di quelle immense prostitute mascherate, iperespressive, conturbanti creature di carne provenienti da un altro pianeta, darebbe finalmente l’impressione di una piena e salutare accettazione dell’alterità depurata dall’inferno della più irrequieta autobiografia, come se l’autore non vi entrasse in tutta la sua contrastata soggettività, rimanendo semplicemente stupito, basito, innamorato a contemplare...
Significativo poi il notturno finale, dove tutta la follia di quelle bande di motorini intente a girovagare vorticosamente intorno ai monumenti del centro storico, si comunica all’occhio partecipe della macchina da presa, anch’essa impazzita e contagiata dal movimento. La sequenza si potrebbe leggere ancora una volta come contrapposizione vecchio-nuovo in una notte-futuro che avanza e che tutto avvolge, dai connotati (triviali: si veda la copiosità dei motorini e l’impressione grottesca di cafoneria esibita generale) di movimento meccanico e fagocitante (la strada, l’asfalto, la città bruciati, consumati dal motore e dalle ruote dei veicoli che li attraversano) e di spersonalizzazione (i volti dei motociclisti non affatto distinguibili), dove rimangono come interrogativi lanciati nel vuoto e poli arcani di richiamo, le statue lasciateci da tempi ignoti. Pazzesco davvero, straniante e ammaliante questo connubio! Dunque la notte classicamente intesa come perdita di orientamento e incubo (futuribile) cui è impossibile resistere, ma anche notte come spunto per una dilatazione temporale sensoriale e immissione estatica nel fuori-tempo
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francesco di benedetto
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mercoledì 17 maggio 2006
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1) l'alterità, la donna, il sesso in fellini
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Mai come in Fellini ho visto rappresentata in maniera così viscerale e conturbante la pulsione erotica maschile nei confronti della donna. Mi riferisco anche ai disegni. Per fare un esempio Casanova è stato considerato un film squisitamente cerebrale in relazione alla presa di distanza critica e demistificatoria dell’autore nei confronti del protagonista; prescindendo però dall’universo sessuale meramente asettico e meccanicistico del personaggio concreto l’atteggiamento dell’autore nell’esplorazione del femminile mi sembra di segno del tutto opposto; e il film diventa allora un viaggio nel sesso, un viaggio all’interno del corpo, fra tessuti, umori e micro-particelle organiche in perenne, sfibrante movimento; un viaggio nella donna, all’interno della donna la cui immagine così autenticamente intima, profonda e viscerale potrà anche repellere per l’estremità e la forza delle tinte.
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Mai come in Fellini ho visto rappresentata in maniera così viscerale e conturbante la pulsione erotica maschile nei confronti della donna. Mi riferisco anche ai disegni. Per fare un esempio Casanova è stato considerato un film squisitamente cerebrale in relazione alla presa di distanza critica e demistificatoria dell’autore nei confronti del protagonista; prescindendo però dall’universo sessuale meramente asettico e meccanicistico del personaggio concreto l’atteggiamento dell’autore nell’esplorazione del femminile mi sembra di segno del tutto opposto; e il film diventa allora un viaggio nel sesso, un viaggio all’interno del corpo, fra tessuti, umori e micro-particelle organiche in perenne, sfibrante movimento; un viaggio nella donna, all’interno della donna la cui immagine così autenticamente intima, profonda e viscerale potrà anche repellere per l’estremità e la forza delle tinte. Perchè escludere la dimensione più direttamente sessuale dall’universo felliniano? E aggiungo, a costo di cadere nel banale e nel già sentito, dimensione che costituisce il centro nevralgico e simbolico nella poetica felliniana o comunque la scintilla salutifera di catarsi: lo stupore, l’emozione, il desiderio viscerale e triviale di fusione e al contempo lo sguardo satirico e penetrante di fronte all’altro da sè, così imponente e pregnante nella nostra esperienza individuale da rischiare anche di esserne travolti.
Nella diversità dunque, nella bellezza, nel mistero, nel vigore espressivo, nei richiami del mondo che ci circonda l’autore pare trovare la valvola più significativa di salvezza dai propri demoni interiori: la possibilità di convogliare la propria irrequietudine, questo surplus di energie altrimenti rinserrato corrosivamente dentro di sè, verso l’esterno, sublimandolo in sentimento d’amore e d’ironia, vissuti ed esperiti anche e soprattutto tramite le pulsioni primarie della propria corporeità. Potrà poi infastidire o intimorire l’immaginario di quei donnoni; io preferisco invece leggerlo come Truffaut come “esaltazione” energica e incontenibile “della vita” da parte di un artista innamorato di una vita che ci possa coinvolgere in tutta la sua irrefrenabile e inesauribile dirompenza espressiva.
Vorrei poi spendere due parole sulla supposta chiave onirica di leggere detta alterità; sento personalmente l’autore così immerso nella concretezza dell’esperienza da comunicare, da risultare tutt’altro che “sognatore”; le sue opere conservano qualcosa in più e qualcosa in meno rispetto ai sogni che siamo abituati a fare; innanzitutto c’è lo spettacolo, l’ipertrofia, la celebrazione, l’apoteosi dello spettacolo, questo rendere spumeggiante tutto il mondo rappresentato, questo travolgerci nello stupore, costringerci al magone, lasciarci a bocca aperta nel presentarlo; questo senso di costruzione e di artificio, di forzatura della realtà delle nostre percezioni più immediate nel senso di un eccesso di stimolazione del proprio corpo; i sogni cui siamo abituati potranno pure stupirci razionalmente a posteriori ma, vivendoli, scorrono molto più naturalmente e si colorano di routine; d’altro lato quel senso pacato e rigenerante di abbandono, di rilassamento fisico-muscolare che si esperimenta dormendo e dunque sognando si rintraccerà a fatica nei film dell’autore, carichi tutti di tensioni atte a destarci, sconvolgerci, farci vivere l’esperienza filmica assaporandone goccia dopo goccia, fino ad esaurimento di ogni energia. (continua nella seconda parte)
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