riccardo-87
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martedì 5 gennaio 2010
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amare significa non dover mai dire "mi dispiace"
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Credo proprio che stavolta il film gridi vendetta nei confronti di una critica spietata e a mio avviso totalmente fuori luogo: l’idea del film non è affatto banale e la sua realizzazione, per quanto non perfetta, sicuramente non è da condannare. “Love story” si propone infatti di affrontare almeno due tra i temi più importanti che permeano una adeguata riflessione sulla vita: il primo è l’idiozia dei genitori quando si mettono in mezzo tra due giovani e tentano di minare un rapporto– si potrebbe citare a confronto, anche se con le dovute distanze, “Match Point” di Woody Allen, in cui Tom Hewett (Matthew Goode), lascia la fidanzata Nola Rice (Scarlett Johansson), principalmente a causa dei genitori, ed in particolare della madre; emblematico in tal senso è il discorso che Tom fa a Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyers): “continuo a ripetermi che la causa non è mia madre ma sai com’è.
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Credo proprio che stavolta il film gridi vendetta nei confronti di una critica spietata e a mio avviso totalmente fuori luogo: l’idea del film non è affatto banale e la sua realizzazione, per quanto non perfetta, sicuramente non è da condannare. “Love story” si propone infatti di affrontare almeno due tra i temi più importanti che permeano una adeguata riflessione sulla vita: il primo è l’idiozia dei genitori quando si mettono in mezzo tra due giovani e tentano di minare un rapporto– si potrebbe citare a confronto, anche se con le dovute distanze, “Match Point” di Woody Allen, in cui Tom Hewett (Matthew Goode), lascia la fidanzata Nola Rice (Scarlett Johansson), principalmente a causa dei genitori, ed in particolare della madre; emblematico in tal senso è il discorso che Tom fa a Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyers): “continuo a ripetermi che la causa non è mia madre ma sai com’è.. con questa nuova va d’accordo.. in casa c’è un clima più sereno..”; certo in “Love Story” il legame che unisce i due è molto più profondo, però credo che non sia scontato affatto il risultato di una pressione, o comunque del giudizio, che i genitori hanno su un rapporto tra due ragazzi. L’altro argomento centrale è la malattia di lei, e la vicinanza nella malattia di due persone – in “Will Hunting, genio ribelle” Robin Williams dice “ho molto di cui rammaricarmi, ma non mi rammarico di un solo giorno passato insieme a le; (…) non mi rammarico dei due anni in cui ho dovuto rinunciare all’assistentato per la sua malattia (…)”. Questi sono temi centrali della vita a cui una coppia può andare incontro– e credo sia meno raro di quanto si pensi. “Love story” li affronta in tutta la loro drammaticità, in tutta la loro concretezza. Anche la celebre frase “amare significa non dover mai dire mi dispiace”, non è solo una frase ad effetto, come qualcuno può insinuare, invece è intrisa di significato: se uno ama, e ama profondamente, non può in fondo al cuor suo rammaricarsi e dispiacersi perché sa di aver dato tutto quello che era in suo potere all’amata- o all’amato- in ogni circostanza; certo si può dispiacere magari di aver fatto una scelta sbagliata in una data situazione, ma se ha scelto con il cuore, per quanto dolore possa provare per il suo errore, è un errore fatto con il cuore e non lo potrà tormentare nel profondo di sé stesso. In conclusione ritengo “Love story” un film assolutamente da vedere, sul quale soffermarsi a riflettere per cogliere la la profondità del suo messaggio.
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[+] amare significa non dover mai dire "mi dispiace"
(di angelo campanile)
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katia
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venerdì 13 ottobre 2006
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love story
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è davvero un film stupendo, pieno di emozioni che oscillano tra la felicità e la tristezza fino ad arrivare al dolore che la perdita di una persona cara ed indispensabile può provocare. Il film rende perfettamente l'idea di come dovrebbe essere il vero amore, e penso debba essere un esempio per tutti quelli che sono convinti di amare perfettamente, me compresa, perché a volte l'amore che proviamo per qualcuno è contaminato dal'amor proprio e si trasforma in egoismo e possessione.Il film è molto romantico e facilmente raggiunge il cuore delle persone.
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chriss
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giovedì 12 agosto 2010
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"non è tante altre cose..."
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Jenny Cavalleri è appena morta sul letto d' ospedale e ad Oliver Barret non resta che tornare al pattinaggio su ghiaccio. Quel posto gli ricorda tante cose. Forse uno dei loro primi appuntamenti è avvenuto sul ghiaccio: già, per una partita di hockey. Proprio come all' inizio del film, fa ritorno in quell' angolino di mondo con tutti i suoi pensieri. In quel frangente dirà: "Che cosa si può dire di una ragazza morta a 25 anni? che era bella? che era intelligente? che amava Mozart e Bach? i Beatles? e me?... Si vede che è distrutto, almeno interiormente, perché esteriormente non versa una lacrima. Jenny non voleva vederlo così, nemmeno su quel letto ormai diventato una tomba.
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Jenny Cavalleri è appena morta sul letto d' ospedale e ad Oliver Barret non resta che tornare al pattinaggio su ghiaccio. Quel posto gli ricorda tante cose. Forse uno dei loro primi appuntamenti è avvenuto sul ghiaccio: già, per una partita di hockey. Proprio come all' inizio del film, fa ritorno in quell' angolino di mondo con tutti i suoi pensieri. In quel frangente dirà: "Che cosa si può dire di una ragazza morta a 25 anni? che era bella? che era intelligente? che amava Mozart e Bach? i Beatles? e me?... Si vede che è distrutto, almeno interiormente, perché esteriormente non versa una lacrima. Jenny non voleva vederlo così, nemmeno su quel letto ormai diventato una tomba. Lei rideva e scherzava, anche in punto di morte: una dimostrazione di grandissima dignità. Oliver, intanto, è ancora lì a guardare il campo. C' è silenzio intorno. La neve non cade, ma è come se fosse appena caduta sul suo cuore: Jenny non c' è più! La ragazza che sorrideva, che lo punzecchiava, che lo sfotteva a causa del rango sociale, si è spenta tra le sue braccia. Non sono serviti i 5000 dollari che ha chiesto cortesemente ad un padre che non capiva quanto grande ed importante fosse il loro amore. Un padre, dicevo, unicamente interessato alla laurea in legge del figlio e che non chiama Jenny per nome ( la chiama "lei" ). Un padre stupido, insomma, che soffoca il figlio col suo esempio. Un padre talmente ottuso che dirà: "Jenny non è tante altre cose", riferendosi ironicamente al fatto che non è del suo stesso rango sociale. Oppure: "Se la sposi adesso non ti darò più neanche la possibilità di respirare". Oliver ci soffre per questo e deciderà di dividersi dai suoi genitori. Sposerà Jenny, ma non in Chiesa. I due ragazzi non credono in Dio. Jenny stessa dirà: "Non esiste un altro mondo più bello di questo". Gli sposini andranno a stare in un piccolo appartamento con il solo stipendio di lei: 3000 dollari all' anno che poi diventeranno 3500. Pur di sposarsi con Oliver, la ragazza ha rinunciato al suo sogno: una borsa di studio a Parigi. Oliver, invece, senza l' appoggio del padre, diventerà presto un avvocato. Tra un pò avrà un lavoro, un' altra casa e soprattutto il suo grande amore. Il quale, purtroppo, non può avere figli in quanto affetta da leucemia. Gli rimane poco da vivere e poco vivrà. Cosa si può fare per lei? Nulla. La morte non ha fretta, ma vuoleJenny con sé, il grande amore di Oliver. La morte vuole spazzar via tutti i loro sogni, i loro progetti per il futuro. Anche la speranza di avere un figlio. La morte vuol portarsi via la ragazza che, sulla soglia di casa, dirà qualcosa per cui varrà la pena esser ricordato codesto film: " Amare significa non dover mai dire mi dispiace". Ogni altro commento al film mi sembra superfluo. Chriss...
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elgatoloco
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giovedì 26 aprile 2018
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a suo modo un classico
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QESTO"Love Story"(1970), di Arthur Hiller, dal cult-book e best-seller omonimo di Erich Segal, ha vari difetti(il cliché della"distinzione sociale" è decisamente più adatto agli anni Cinquanta o comunque all'immediato Dopoguerra che all'inizio dei Seventies, ma anche il tema di fondo-malattia incurabile della ragazza-non è certo nuovo e rimonta al romanticismo francese, certo contesualizzato in modo diverso, certe scene sono larmoyantes, senz'altro, l'"amare vuol dire non dover dire"mi dispiace""è roba da cioccolatini, con tutto il rispetto...), ma in complesso il film è ben realizzato(Hiller, come accorto tecnico della regia non ne sbaglia una), la situazione, nella sua semplicità, più che convincente, la situazione della love story nella sua essenzialitò non fa una piega e probabilmente vale tuttora quanto diceva-cantava Vinicius De Moraes contro i detrattori del fim"Ti piace "Love Story", poi dici ch'è brutto", ossia chi piange durante il film poi si vergogna di ammetterlo e allora si trincera dietro cririche speciose e si barrica dietro scuse per nascondere il sentimento.
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QESTO"Love Story"(1970), di Arthur Hiller, dal cult-book e best-seller omonimo di Erich Segal, ha vari difetti(il cliché della"distinzione sociale" è decisamente più adatto agli anni Cinquanta o comunque all'immediato Dopoguerra che all'inizio dei Seventies, ma anche il tema di fondo-malattia incurabile della ragazza-non è certo nuovo e rimonta al romanticismo francese, certo contesualizzato in modo diverso, certe scene sono larmoyantes, senz'altro, l'"amare vuol dire non dover dire"mi dispiace""è roba da cioccolatini, con tutto il rispetto...), ma in complesso il film è ben realizzato(Hiller, come accorto tecnico della regia non ne sbaglia una), la situazione, nella sua semplicità, più che convincente, la situazione della love story nella sua essenzialitò non fa una piega e probabilmente vale tuttora quanto diceva-cantava Vinicius De Moraes contro i detrattori del fim"Ti piace "Love Story", poi dici ch'è brutto", ossia chi piange durante il film poi si vergogna di ammetterlo e allora si trincera dietro cririche speciose e si barrica dietro scuse per nascondere il sentimento.dove non dovremmo trascurare altre due considerazioni:A)il film esce in piena epoca di contestazione, attuata, per motivi diversi, sia negli USA sia in Europa, dunque i"puri e duri"avranno infierito contro libri e film chiamandoli"paccottiglia reazionaria"e simili, mentre i "bravi boys and girls"avranno avuto paura della libertà dei due innamorati; B)per rincorrere il successo si poteva farne due hippies, cosa che regista e produttori(ma anche il romanziere e dnque soggettista del film Segal si sono ben guardati dal fare, con notevole coraggio, non"cavalcando la tigre". Benissimo. Per il resto Ryan O'Neal e Ali Mc Grav sono bravissimi, come John Marley(l'adorabile papà di lei)e Ray Milland, il papà"cattivo"(vilain)di lui... El Gato
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elgatoloco
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venerdì 3 gennaio 2020
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comunque un film-chiave, nel bene e nel male
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Da un romanzo di Erich Segal, questo"Love Story", 197o, di Arthur Hiller. Parlarne o meglio tornare a parlarne(sono recidico)è sempre pericoloso, in quanto ci si espone a impressioni, sentimenti, valutazioni contrastanti, da parte di noi stessi, dove la positività è controbilanciata dalle tante critiche che al film si protrebbero fare e che sono state già ampiamente riportate in tante recensioni e in tanti commenti. Certo che, in ogni caso, in un'epoca di slogan tendenti a ricondurre tutto al "politico", compresi amore, malattia, malattia mortale non nel senso kierkegaardiano ma in quello comune del termine, "love Story"aveva fatto bvreccia, ossia aveva apperto spiragli, venendo aspramnete ciriticato da parte di perosne che, magari appena un decennio dopo, avrebbero apiamente recuperato non il film o il libro(non banale)da cui è tratto, ma quei sentimenti, quei"valori"(se vogliamo usare il temrine)che precedentemente avevano "buttato fuori dalla porta"-ecco allora che la ciritica poetica di Vinicius de Moraes è pià che condivisibile.
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Da un romanzo di Erich Segal, questo"Love Story", 197o, di Arthur Hiller. Parlarne o meglio tornare a parlarne(sono recidico)è sempre pericoloso, in quanto ci si espone a impressioni, sentimenti, valutazioni contrastanti, da parte di noi stessi, dove la positività è controbilanciata dalle tante critiche che al film si protrebbero fare e che sono state già ampiamente riportate in tante recensioni e in tanti commenti. Certo che, in ogni caso, in un'epoca di slogan tendenti a ricondurre tutto al "politico", compresi amore, malattia, malattia mortale non nel senso kierkegaardiano ma in quello comune del termine, "love Story"aveva fatto bvreccia, ossia aveva apperto spiragli, venendo aspramnete ciriticato da parte di perosne che, magari appena un decennio dopo, avrebbero apiamente recuperato non il film o il libro(non banale)da cui è tratto, ma quei sentimenti, quei"valori"(se vogliamo usare il temrine)che precedentemente avevano "buttato fuori dalla porta"-ecco allora che la ciritica poetica di Vinicius de Moraes è pià che condivisibile. Peronsalmente, ricordo che ll'epoca, da studente liceale, non sentivo se non commenti di studenti più grandi e considerati più"avveduti"e, nel clime aopra citato, m'ero rifiutato di vederlo o comunque non ero andato a vederlo, de fato. IN segutio l'avrei visto e credo che il giudizio fosse simile s quelloe espresso qui e anche, precedentemente, quasi due anni fa... Di Aliv Mc Grwaw e Ryan O'Neal difficle dire male, idem(anzi a fortiori, in quanto si tratta di due cult-actors)di Ray Milland e John Marley; Tommy Lee Jones, all'epoca, era un esordiente, almeno credo sia così. El Gato
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