I diabolici |
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Un film di Henri-Georges Clouzot.
Con Simone Signoret, Paul Meurisse, Charles Vanel, Vera Clouzot, Michel Serrault
Titolo originale Les diaboliques.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 110 min.
- Francia 1954.
MYMONETRO
I diabolici
valutazione media:
4,04
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Diabolicamentedi alessandro barattiFeedback: 0 |
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martedì 3 maggio 2005 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Crudeltà. Persecuzione. Annientamento. Questo l’universo morale dipinto da Clouzot. A tinte fosche, tragicamente, perché “un quadro è immancabilmente morale quando è tragico e quando riflette l’orrore delle cose che rappresenta”, come recita la lapidaria citazione in apertura di film. Nessuna parentesi rassicurante, nessuna pausa distensiva, nessuna vera tregua. Neanche quando la progressione drammatica sembra cedere il passo a soste ricreative: è umorismo che gronda malvagità, riso che si contrae in rictus, quello de I diabolici. Non diversamente va per i personaggi. Nel jeu de massacre triangolare messo in scena da Clouzot, i protagonisti sono divorati da sentimenti inconfessabili: avidità, gelosia e perfidia sono le scintille che infiammano i loro cuori, precipitandoli nell’abisso della colpa. E tutt’intorno un coro di personaggi minori abbrutiti dal cinismo, rosi dall’invidia, consumati dall’opportunismo. Perfino i bambini, piccoli mostri già esperti nell’arte della prevaricazione, gracchiano e malignano incessantemente, ostentando una ricchezza arrogante, proiezione di futuro potere.Un mondo senza scampo, nerissimo. Eppure, per essere realmente disturbante, I diabolici difetta di un ingrediente essenziale: la potenza visiva. Soprattutto quando, come in questo caso, la materia narrativa giunge da un testo letterario, la forza della pellicola dovrebbe scaturire dalla violenza affilata dello sguardo, dalla durezza tagliente dell’occhio. Invece Clouzot, oscillando tra l’Hitchcock di Rebecca e il Cukor di Angoscia (due modelli ultraclassici), si rifugia in uno stile palesemente convenzionale, costellato sì di riflessi e segnali sinistri, ma in fondo privo di autentica visionarietà. L’ambientazione claustrofobica e l’illuminazione contrastata, peraltro ineccepibili, non bastano a fare del collegio un campo di tensioni mentali e fratture scardinanti: l’angustia spaziale non evolve in angoscia e la suspense non sfugge all’impressione di artificio. Restano le prove maiuscole degli interpreti (la Signoret su tutti, ovviamente), una manciata di sequenze di buon artigianato, quasi tutte immerse nell’acqua, e una sobrietà esemplare nell’uso delle sottolineature musicali. Ma i modelli rimangono lontani, molto lontani. Diabolicamente.
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