Quando si sente il nome di Bertolucci, la prima persona che viene in mente e’ spesso Bernardo. Grandissimo regista, certo, eppure anche il fratello Giuseppe ci ha lasciato uno straordinario Berlinguer ti voglio bene. E come un buon vino che migliora col tempo, sembra proprio che adesso, una trentina d’anni dopo la sua uscita, il film sia arrivato al suo punto ottimale di maturazione. Con il filtro del tempo che ci mette alla giusta distanza dall’opera, ora questo film sembra fiorire sotto i nostri occhi. Finalmente possiamo rileggere i temi proposti e comprendere appieno questa magnifica rappresentazione, grossolana ma puntuale, di vita popolare e della sua ignorante saggezza.
Blasfemia, volgarita’, sessualita’ spinta, e’ vero. Temi scabrosi trattati con un linguaggio oltremodo scurrile, altrettanto vero. Pero’ tutto si interseca nel punto giusto, tra istinti bestiali, politica da bar e momenti di poesia campestre che disegnano un perfetto cerchio a delimitare un tipo di societa’ ormai defunta, ma forse meritervole di essere ricordata. Ricordata e capita.
Tutto permeato da una visione di rivoluzione di pancia, conservatrice e moderna allo stesso tempo, rozza perche’ non nasce nei salotti degli intellettuali, ma nasce da bisogni concreti di gente “vera”, e, proprio per questo, visione diretta e autentica.
Hanno aiutato anche grandi interpretazioni, soprattutto perche’ perfettamente centrate, come quelle del Benigni fresco e spontaneo dei primi tempi, di Carlo Monni, un Bozzone coi fiocchi e della madre Alida Valli.
E quell’“uomo moderno” che e’ Mario Cioni, figura da guardare e guardare e riguardare, perche’ troppo importante per essere compresa al primo sguardo. Statua d’Apollo dell’anno 1977, i balletti di Benigni plastico contraltare del marmo della storia antica.
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