writer58
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domenica 27 novembre 2016
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il silenzio degli innocenti
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La guerra è finita da pochi mesi, lasciando paesi attoniti e un carico di rovine come se un gigantesco tsunami avesse sconvolto la superficie dell'Europa e l'avesse ridotta a una distesa di macerie umane e spirituali, a una landa irriconoscibile colma di predoni armati, violenza e arbitrio. Nel Dicembre del '45,la Polonia è una terra congelata, occupata militarmente dall'esercito russo, che si avvia ad essere uno dei pezzi dell'impero Sovietico. Un paese in cui gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti e il partito comunista sta per diventare l'architave dello stato,dopo aver messo fuorilegge le altre forze politiche. All'interno di questo scenario, opera un piccolo gruppo di militari e medici francesi della Croce Rossa che si dedica a curare i connazionali dispersi sul fronte orientale.
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La guerra è finita da pochi mesi, lasciando paesi attoniti e un carico di rovine come se un gigantesco tsunami avesse sconvolto la superficie dell'Europa e l'avesse ridotta a una distesa di macerie umane e spirituali, a una landa irriconoscibile colma di predoni armati, violenza e arbitrio. Nel Dicembre del '45,la Polonia è una terra congelata, occupata militarmente dall'esercito russo, che si avvia ad essere uno dei pezzi dell'impero Sovietico. Un paese in cui gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti e il partito comunista sta per diventare l'architave dello stato,dopo aver messo fuorilegge le altre forze politiche. All'interno di questo scenario, opera un piccolo gruppo di militari e medici francesi della Croce Rossa che si dedica a curare i connazionali dispersi sul fronte orientale. Un giorno si presenta una suora e implora i medici di aiutarla, altrimenti una donna morirà. Una dottoressa la segue e scopre la drammatica verità: nel convento diverse suore sono state violentate dai russi e stanno per partorire. L'evento va tenuto assolutamente segreto, altrimenti il convento potrebbe essere smembrato e le stesse suore sono restie a fasi visitare, il loro voto esclude la possibilità di mostrare il loro corpo e farsi toccare. Il medico (interpretato da una brava Lou de Laâge) si ritrova davanti a una situazione estremamente complicata e rischiosa: deve visitare il convento di nascosto, è vincolata dal segreto professionale e non può parlare con i suoi superiori, deve superare le resistenze della suore e della madre superiora, sfugge miracolosamente a uno stupro ad opera di un gruppo di soldati sovietici. Il film dipana queste vicende ispirandosi a eventi realmente accaduti, a un diario scritto da una dottoressa di stanza in quel periodo in Polonia. Il progresivo avvicinamento tra le suore e il giovane medico (toccante la scena delle religiose che l'abbracciano dopo che lei le ha salvate da un irruzione di uomini armati) costituisce il fulcro della pellicola, così come i temi della responsabilità e della fede messa a dura prova dalle violenze subite. Il conflitto tra essere madri ed essersi votate a Dio, la protezione del convento dallo scandalo che si traduce nell'infanticidio, l'antinomia tra fede e orrore, tra obbedienza e desiderio di assumere una nuova identità, tra gravidanza e negazione del corpo, tutti questi elementi sono dipanati da "Agnus dei" con un linguaggio scorrevole e fluido, con una narrazione "smorzata" che evita gli eccessi del grand guignol e della forzatura drammatizzante.
La protagonista è forse descritta in modo un po' idealizzato (ho trovato prescindibile la sua relazione con il collega medico, una concessione un po' di maniera che non aggiunge nulla alla forza del personaggio), la conclusione della pellicola risente di un approccio "a tesi" (il bene che trionfa sul male)e quindi indebolisce l'impianto complessivo. Tuttavia, "Agnus dei" rimane un esercizio filmico bello ed essenziale, scandito dalle preghiere delle suore, dai boschi gelati di una terra martoriata, dal dolore atroce che s'insinua in menti votate all'obbedienza e alla routine conventuale, dalla forza della vita che s'impone sulle pulsioni di morte e distruzione, dall'impegno civile di chi si sforza di ricostruire e rimuovere le rovine. Una proposta che lascia un messaggio di speranza all'interno di un panorama globale che tende ad assomigliare pericolosamente a quello di 70 anni fa.
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ashtray_bliss
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sabato 24 settembre 2016
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un'opera drammatica struggente ed incisiva.
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Les Innocents è un dramma struggente, intenso e scarno allo stesso tempo. Film d'autore impegnato e impegnativo, che mette in scena in modo perfettamente equilibrato e privo di moralismi, stereotipizzazioni o didascalie il doppio dramma post-bellico vissuto da sette suore d'un convento di clausura in Polonia le quali prima si vedono costrette a subire un orrore indicibile e poi a dover confrontarsi con le conseguenze. Situato all'interno di una maestosa e gelida foresta polacca, il convento si traformerà in luogo dell'orrore e del crimine dove gli innocenti, donne e bambini, sono quelli a pagarne le conseguenze. Anne Fontaine decide così di raccontare in modo audace ma delicato lo sconosciuto calvario di un gruppo di suore che dopo la fine della WWII hanno vissuto sulla loro pelle uno dei più efferati crimini, di guerra e non solo, per mano dei soldati dell'esercito russo.
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Les Innocents è un dramma struggente, intenso e scarno allo stesso tempo. Film d'autore impegnato e impegnativo, che mette in scena in modo perfettamente equilibrato e privo di moralismi, stereotipizzazioni o didascalie il doppio dramma post-bellico vissuto da sette suore d'un convento di clausura in Polonia le quali prima si vedono costrette a subire un orrore indicibile e poi a dover confrontarsi con le conseguenze. Situato all'interno di una maestosa e gelida foresta polacca, il convento si traformerà in luogo dell'orrore e del crimine dove gli innocenti, donne e bambini, sono quelli a pagarne le conseguenze. Anne Fontaine decide così di raccontare in modo audace ma delicato lo sconosciuto calvario di un gruppo di suore che dopo la fine della WWII hanno vissuto sulla loro pelle uno dei più efferati crimini, di guerra e non solo, per mano dei soldati dell'esercito russo. Essi hanno violato non solo un luogo sacro come il monastero ma altresì hanno spezzato e infranto la sacralità del corpo femminile, dell'autodeterminazione, infangando quei volti quei corpi che avevano fatto voto di castità e che sceglievano di unirsi spiritualmente solo a Dio. In questo contesto di disperazione, dolore e vergogna una delle novizie deciderà di spezzare la catena del silenzio e chiedere aiuto ad un medico. Uscendo di nascosto dal convento e percorrendo a piedi innumerevoli chilometri nella foresta, circondata solo dalla natura più pura e incontaminata fatta di neve e freddo, riuscirà a raggiungere convincere una giovane dottoressa della CR francese, in missione per aiutare i superstiti, a seguirla nel convento. Inizialmente riluttante, Mathilde alla fine accetterà l'invito della religiosa e fra stupore e incredulità verrà a conoscienza che ben sette suore sono in stato avanzato di gravidanza. Avrà così inizio una vera e propria rivoluzione, rappresentata da questa giovane donna di formazione scientifica e distante dall'influenza religiosa, la quale decide di non sotrarsi dal seguire e aiutare queste giovani donne, vittime di violenze e prigioniere di un sistema morale e religioso rigido e inflessibile che impone la segretezza, il silenzio, il diniego del corpo e della meterialità ma anche il perdono per quegli atti barbari che hanno subito. Ma se inizialmente questo nucleo di donne si presenta come comprensibilmente titubante e diffidente col passare del tempo impareranno ad avere fiducia, stima e rispetto per questa coraggiosa dottoressa che si immerge in un mondo a lei completamente estraneo e lo fà con puro spirito umanitario, completamente disinteressata al guadagno economico, ponendo se stessa a rischi costanti.
Ma la pellicola riesce anche a focalizzare in modo cristallino, lucido e verosimile, senza mai calcare la mano o cadere in facili rappresentazioni stereotipate, nei dubbi e nelle ansie che attanagliano le protagoniste. Invase da sensi di colpa per aver partorito o per essersi affezionate ai neonati, insicure se accettare o rifiutare questo neo-ruolo di madri per il quale erano completamente impreparate e dubbiose se quanto hanno passato si concilia ancora con la loro fede. "Nella fede ci sono 23 ore di dubbi e 1 di certezze" pronuncierà ad un tratto Maria (Agata Buzek) rivolgendosi alla dottoressa. Ed infatti alcune di loro decideranno di tenere il bambino ed allontanarsi dal convento avendo ormai assunto un nuovo ruolo ed identità sociale, mentre altre accetteranno che i bimbi vengano prontamente allontanati da loro e dal convento, timorose di rendersi responsabili di uno scandalo senza precedenti. E quale sorte attende queste creature innocenti? La risposta al quesito è altrettanto insensata, dolorosa e tragica. I figli del peccato visti attravverso un'ottica morale eccesivamente ristretta sono considerati i diretti responsabili del aver portato sciagura nel convento e aver costetto queste donne alla dannazione. Ma la fede è più potente del dogma religioso, così come l'istinto materno prevale sulla chiamata spirituale.
La Fontaine indaga in modo schietto e pulito il doppio dramma vissuto dalle monache e valorizza il personaggio di Mathilde che in un periodo di instabilità e insicurezza rappresenta un'ancora di speranza per questo nucleo di donne provate e confuse. Les Innocents rappresenta così un ritratto delicato e coerente delle conseguenze pratiche e spirituali che scombussolano la routinaria vita monacale, e del peso che le scelte individuali delle donne avranno sulle loro stesse esistenze. Film poetico e ruvido allo stesso tempo costruito con una sceneggiatura che riesce sempe a mantenere l'alone di mistero che avvolge le storie delle protagoniste ed incuriosce, incentivando lo spettatore a proseguire nella visione. I personaggi poi sono ben delineati e rappresentati, la loro evoluzione risulta umana e verosimile, mente l'interpretazione degli attori è assolutamente eccellente. Bellissima e convincente Lou de Laage, drammatica e incisiva la brava Busek che torna a vestire i panni della monaca dopo il ruolo in Redemption accanto a Statham. Scenografia e fotografia di livello, particolarmente funzionale la scelta di adottare i colori base, bianco, nero, grigio e seppia per raccontare una storia d'epoca (non troppo lontana) che mette in evidenza il lato più oscuro e contemporaneamente quello più ottimista dell'animo umano. Un film di livello, insomma, personalmente uno dei migliori dell'anno. Incisivo, intenso, drammatico eppure ben equilibrato e scarno. Un film che indaga la storia, la religiosità, la morale ed etica laica in un incontro verosimile e affatto zuccheroso o forzato. Da non perdere, 4,5/5.
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fabio_66
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martedì 22 novembre 2016
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bellissimo film
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Il soggetto è affascinante, non mi risulta che sia stato affrontato il tema della violenza sessuale subite da religiose, un argomento tabu che in zone di guerra purtroppo non è raro. La violenza è sempre un trauma per ogni donna, ma nel caso delle religiose si va a sommare al concetto di verginità al tempo particolarmente sentito, al peccato, al rifiuto di farsi visitare, alla rinuncia alla maternità, pronte ad un martirio "folle".
scriverci sopra una sceneggiatura che non fosse demagogica non era semplice: i tre personaggi principali, Matilde, la Badessa e Maria sono disegnate con delicatezza pur essendo in tre posizioni diametralmente opposte: il medico (il mondo esterno), la suora "all'antica", la suora "moderna"; nella relazione fra le tre, nella complessità dei singoli personaggi (specialmente suor Maria e la Badessa), la chiave di un piccolo miracolo.
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Il soggetto è affascinante, non mi risulta che sia stato affrontato il tema della violenza sessuale subite da religiose, un argomento tabu che in zone di guerra purtroppo non è raro. La violenza è sempre un trauma per ogni donna, ma nel caso delle religiose si va a sommare al concetto di verginità al tempo particolarmente sentito, al peccato, al rifiuto di farsi visitare, alla rinuncia alla maternità, pronte ad un martirio "folle".
scriverci sopra una sceneggiatura che non fosse demagogica non era semplice: i tre personaggi principali, Matilde, la Badessa e Maria sono disegnate con delicatezza pur essendo in tre posizioni diametralmente opposte: il medico (il mondo esterno), la suora "all'antica", la suora "moderna"; nella relazione fra le tre, nella complessità dei singoli personaggi (specialmente suor Maria e la Badessa), la chiave di un piccolo miracolo. La Badessa in particolare è una figura tragica a cavallo fra l'antico e il moderno, per seguire la propria concezione di difesa delle sue suore, con il peso della propria autorità, arriva a prendere su di sè tutto l'onere, risultando infine l'unica sconfitta, senza una speranza. Suor Maria viceversa ha un esercizio encomiabile dell'obbedienza cui affianca una sensibilità ed un affetto "caldo" verso le suore, quel calore che salverà lei e le suore. La dottoressa siamo noi, che guardiamo con occhi smarriti le dinamiche di un monastero di clausura, nei suoi occhi le mille domande del senso della vita claustrale.
Il film è sicuramente a bassa costo e trova i suoi punti di forza in un bel soggetto, una fantastica sceneggiatura e tre interpreti non di grido perfettamente calati nei personaggi. Una nota in più la dedico ad Agata Buzek (Suor Maria), un attrice di rara sensibilità.
Bella la fotografia in una natura innevata, gelida, sia nei boschi, nel monastero e nelle anime delle protagoniste. Alcune foto lasciano il segno nell'immaginario, su tutte la suora che cammina nella neve.
film assolutamente da vedere, purtroppo in pochissime sale.
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ninoraffa
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lunedì 31 luglio 2017
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il silenzio di dio
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Polonia, dicembre 1945. Manca tutto. Bande di piccoli orfani vivono d’espedienti sulla strada. In un convento di suore benedettine il passaggio dei liberatori russi ha fatto rimpiangere i nazisti e mezza dozzina di religiose adesso aspettano un bambino. Rischiano di essere cacciate con ignominia, respinte dalle loro famiglie d’origine e quindi destinate a morire di fame con i loro piccoli; lo stesso convento potrebbe essere chiuso per immoralità dal nuovo governo comunista ostile alla Chiesa. Stretta da queste necessità la Madre Superiora decide di fare partorire le consorelle in segreto, occupandosi poi personalmente di affidare i neonati a qualche famiglia disponibile.
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Polonia, dicembre 1945. Manca tutto. Bande di piccoli orfani vivono d’espedienti sulla strada. In un convento di suore benedettine il passaggio dei liberatori russi ha fatto rimpiangere i nazisti e mezza dozzina di religiose adesso aspettano un bambino. Rischiano di essere cacciate con ignominia, respinte dalle loro famiglie d’origine e quindi destinate a morire di fame con i loro piccoli; lo stesso convento potrebbe essere chiuso per immoralità dal nuovo governo comunista ostile alla Chiesa. Stretta da queste necessità la Madre Superiora decide di fare partorire le consorelle in segreto, occupandosi poi personalmente di affidare i neonati a qualche famiglia disponibile. Almeno così fa credere inoltrandosi nel bosco innevato con i neonati dentro la cesta. Una delle puerpere sta male e una novizia di sua iniziativa, porta al convento una dottoressa della missione militare francese che salva donna e bambino praticando d’urgenza un taglio cesareo. Non è sua competenza curare i polacchi, deve nasconderlo ai superiori, ma da questo momento tornerà al convento molte volte…
Agnus Dei è un partita a quattro tra due suore polacche, una dottoressa straniera d’idee comuniste, e Qualcuno che non si vede perché potrebbe non esserci o essere diverso. Se Dio è buono, da dove viene il male? si era chiesto già S. Agostino. E davanti allo stupro personale e delle compagne, e alle ulteriori catastrofiche conseguenze, se lo chiedono la Madre Superiora e suor Maria, la sua assistente. Cristo è l’Agnus Dei, la Vittima che toglie i peccati dal mondo – così recita la liturgia –, ma ci sono vittime e sacrifici che sembrano soltanto moltiplicare il male. Le suore pregano in polacco e in latino ma non sentono risposte. E’ il Silenzio di Dio, che innanzi ai fatti più tragici può scardinare qualunque fede; quella sensazione di abbandono celeste patita anche da molti internati nei lager. Nel convento delle benedettine il Silenzio di Dio è anche fisico: manca il cappellano e non si celebra la Messa. In tutto il film non si vede l'Eucarestia. Soltanto qualche scarno Crocifisso.
La Madre Superiora (l’ottima e tormentata Agata Kulesza) affronta il male terreno all'unico livello che la sua coscienza riconosce vero, quello trascendente, confrontandosi direttamente con Dio. All'apparenza reagisce alla Sua assenza decidendo per Lui chi salvare (le monache) e chi sacrificare (i neonati), ma in realtà sfida Dio stesso, consegnandoGli i bambini sotto la Croce in mezzo alla foresta. Tu hai consentito questo male, Tu devi risolverlo. La sfida è totale. So, facendo così, di peccare, ma non voglio avere debiti. Ho già pagato col mio corpo, e pagherò ancora non curando l'infezione che mi consuma e soffrendo fino alla morte. Nel Vangelo è scritto: Voglio misericordia e non sacrificio. La tragica grandezza della Superiora, il desolato orgoglio, il perverso collasso della sua fede, sta nell'inversione di questi termini: è posseduta dal sacrificio e abbandonata dall'amore.
La più giovane suor Maria (Agata Buzek perfetta nel ruolo con la sua figura ieratica da dipinto fiammingo) è la positiva controparte della Badessa. Forse limita i danni della violenza subita (non solo quelli fisici) per essere stata, prima della vocazione spirituale, donna anche nel senso carnale del termine. Più compromessa col mondo, quindi anche più duttile e completa nell'affacciarsi sull'abisso tra Cielo e Terra. La sua perplessa Provvidenza, puntellata ogni giorno da un minuto di speranza in 24 ore di dubbio, attraversa illesa tutto il racconto.
Mathilde (un’efficace Lou de Laage) è il medico francese che porta nel convento la razionalità della scienza, e forse il suo credo comunista. Le suore, dopo una prima resistenza, finiscono per crederla inviata dalla Provvidenza, ma Anne Fontaine, che sembra adottare il suo punto di vista nel dare senso alla storia, non sembra convinta. In Agnus Dei, se Dio c'è, non è Padre (le figure maschili praticano un amore piuttosto basso e quasi mai consensuale), né Madre (non si dà risalto alla Madonna, come ci si potrebbe attendere in convento polacco). Mathilde-Fontaine crede meno al Cielo che alla Terra; ed in particolare crede alla donna su questa Terra. Alla donna che pratica una professione, che attraversa da sola in ambulanza la campagna infestata dalla soldataglia, che senza aspettative condivide il letto con un collega, libera per quanto possibile nello spirito e nel corpo, anche fuori dalle regole se pensa così sia giusto. Donna che sa, sceglie e rischia, senza che altri (terreno o celeste) la protegga; donna che sempre e comunque paga prezzi: anche Mathilde di ritorno dal convento subisce l’infame oltraggio dei soldati.
Donna prima di tutto, ma anche madre. In Two Mothers, Fontaine aveva affrontato, in chiave anche fisica, un testo di Doris Lessing sull’amore incrociato di due amiche per i rispettivi figli, ambientato sulle spiagge dell’Australia contemporanea; qui, in un contesto che non si può immaginare più diverso, rappresenta una carrellata di altri destini materni estremi. In generale la maternità-paradosso di donne che hanno fatto l’opposta scelta di castità e ritiro dal mondo, ma pure la maternità-evasione della novizia per caso che ormai pensa di mettere su casa col suo soldatino russo da cui si è sentita difesa, e la maternità-suicida della suora che si lancia nel vuoto intuendo l’uccisione del figlio, e la maternità-ricusata dell’altra che lascia il suo neonato al convento prendendo la via del mondo, fino alla maternità-assassina della Madre Superiora.
Del male possiamo conoscere solo questa dimensione, ed è quindi qui che va combattuto. Il lieto fine inventato da Mathilde – che la Madre Superiora, avvinta nella sua battaglia metafisica, non poteva immaginare – consiste nell'accogliere i trovatelli del circondario nel convento, giustificando così la presenza dei neonati e salvando l'onore delle suore. Una foto finale ritrae madri e figli insieme sotto il portico.
Film femminile nel miglior senso del termine, Agnus Dei è molte cose insieme: sensibilità e sospensione rispetto agli eventi che ci sovrastano, ricerca di senso, sofferenza e perdita, ma soprattutto speranza nelle condizioni più avverse. Un messaggio positivo sulla vita senza retorica o romanticismi. Ogni salvezza è precaria, ma rimane l'unica possibilità che può accadere di guadagnarsi. Perché le donne sono realiste, oltre che coraggiose.
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giusy paesano j.
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sabato 3 dicembre 2016
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un film puro e misericordioso
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Si sarebbe potuto cadere nel facile didascalismo o nella retorica che spesso accompagnano i racconti legati all' universo femminile nel mettere in scena la storia realmente accaduta nella Polonia del '45 di un gruppo di religiose benedettine violate e ingravidate da un manipolo di soldati russi ma Anne Fontaine riesce a superare l' ostacolo costruendo un film per nulla retorico e rigorosissimo.
C'è qualcosa nei gesti e nel cuore delle donne che nonostante tutto le accomuna e le rende non a caso sorelle-anche in senso laico e indipendentemente dalla propria appartenenza o vocazione- ed è il fatto di poter essere madri.Ogni donna puo' dare la vita per quanto nello specifico questa sia il frutto di una violazione e non preveda possibilita’ di scelta.
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Si sarebbe potuto cadere nel facile didascalismo o nella retorica che spesso accompagnano i racconti legati all' universo femminile nel mettere in scena la storia realmente accaduta nella Polonia del '45 di un gruppo di religiose benedettine violate e ingravidate da un manipolo di soldati russi ma Anne Fontaine riesce a superare l' ostacolo costruendo un film per nulla retorico e rigorosissimo.
C'è qualcosa nei gesti e nel cuore delle donne che nonostante tutto le accomuna e le rende non a caso sorelle-anche in senso laico e indipendentemente dalla propria appartenenza o vocazione- ed è il fatto di poter essere madri.Ogni donna puo' dare la vita per quanto nello specifico questa sia il frutto di una violazione e non preveda possibilita’ di scelta.Ma nonostante la brutalita’ subita questo film si fa emblema di ogni gesto solidale praticato a favore delle donne nei confronti di altre donne, gesti che sarebbe davvero bello poter vedere attuarsi anche nell' oggi.Les innocentes- questo il titolo originale ed emblematico-affonda radici e sguardo in ogni innocenza violata di cui,nonostante la ferocia ,rimane il bagliore.Un film che in taluni momenti mi ha commossa-e avevo le lagrime agli occhi-perché è il coraggio delle donne a commuoverci-o dovrebbe-e ci commuove il loro darsi totalmente come la giovane donna medico protagonista che si immola per una causa più grande che è quella della responsabilita’ che si deve ad ogni “ sorella” abusata.Les innocentes è un film di sguardi di pensieri sottaciuti di contrasti di afasie di grandi conflitti e dilemmi ed è brava la Fontaine a non indulgere alla spettacolarizzazione dell' Orrore-(che verosimilmente avrebbe portato in sala molti più spettatori)-accennandolo appena-per costruire un dramma esistenziale solo in apparenza storicizzabile e più che mai attuale che si muove tra dogma e solidarieta', ragione morale e ritorno alla vita.E misericordia.Quella misericordia laica che quando esiste è bella e sembra non appartenerci più.Nel microcosmo claustrofobico abitato dalle religiose e nel tempo filmico scandito dai salmi e dalle urla dei parti consumati nel segreto delle celle riesce ad entrare la luce,quella della Fede e della solidarietà -che è fede laica-Una Fede di certo in crisi dopo l' affronto subito e che non sembra poter guarire.E' piuttosto la Vita-e la sua accettazione- a lenire.Ed è la gioia.Ogni cosa è illuminata e questo è un film pieno di luce ( la luce dei visi affranti e dei paesaggi innevati-seppur impervi-ammantati di candore).Les innocentes o se preferite Agnus Dei è un racconto privo di orpelli che porta in scena anche la paura di un gruppo di donne indifese nonostante la propria professione di fede senza enfatizzarla né sminuirla divenendo con cio' pietoso e mai spudorato.Così come le sue religiose Anne Fontaine sembra avere un cuore più grande dell' odio germinato nella violenza più bieca,più grande della rabbia che le violenze producono,un cuore che ascolta il mondo femminile e lo comprende mettendone in scena i turbamenti, le ansie,i dilemmi,le nudita',sperando e credendo fortemente nelle donne nelle loro invocazioni e determinazioni.Anne Fontaine ama i propri personaggi e ce li affida così come sono:essenziali pur nel dolore, puri come quella neve che non si scioglie e illumina.
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flyanto
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martedì 6 dicembre 2016
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il profondo contrasto tra fede e realtà
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Ritorna nelle sale cinematografiche con una nuova storia di donne Anne Fontaine. "Agnus Dei", questo è il titolo della sua ultima opera, si presenta subito come una pellicola altamente drammatica e di un contenuto più serio rispetto agli altri suoi precedenti lavori, quali, per esempio, "Il Mio Migliore Incubo" e "Gemma Bovery".
Ambientato in Polonia nel 1945, appena dopo l'avvento dell'esercito russo durante il secondo conflitto mondiale, "Agnus Dei" racconta la storia (peraltro realmente accaduta e descritta nel diario pubblicato dal reale medico donna) di una giovane dottoressa francese che opera presso la Croce Rossa del suo Paese in Polonia.
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Ritorna nelle sale cinematografiche con una nuova storia di donne Anne Fontaine. "Agnus Dei", questo è il titolo della sua ultima opera, si presenta subito come una pellicola altamente drammatica e di un contenuto più serio rispetto agli altri suoi precedenti lavori, quali, per esempio, "Il Mio Migliore Incubo" e "Gemma Bovery".
Ambientato in Polonia nel 1945, appena dopo l'avvento dell'esercito russo durante il secondo conflitto mondiale, "Agnus Dei" racconta la storia (peraltro realmente accaduta e descritta nel diario pubblicato dal reale medico donna) di una giovane dottoressa francese che opera presso la Croce Rossa del suo Paese in Polonia. Venendo un giorno convocata da una suora, ella si reca al convento di questa e scopre una realtà sconvolgente in quanto deve aiutare a partorire una sposa di Cristo rimasta incinta dalla violenza dei soldati russi che invasero il convento. Ma, purtroppo, altre suore sono state ingravidate in seguito alla suddetta violenza collettiva ed il problema maggiore consiste nel non fare assolutamente trapelare all'esterno, per lo scandalo, il terribile accaduto. Cosicchè la giovane dottoressa deve svolgere la propria azione di aiuto di nascosto dai suoi colleghi e dividendosi tra l'ambulatorio dove lavora ed il suddetto convento. Man mano che passano le settimane la protagonista riuscirà ad aiutare le suore a partorire non senza però mettere in discussione sia la sua che quella delle sorelle stesse Fede.
Al ritratto, ripeto, rigido ed ironico della protagonista de "Il Mio Migliore Incubo" od a quello scanzonatorio di Gemma Bovery, eroina annoiata moderna, subentra in "Agnus Dei" quello più profondo e reale della dottoressa protagonista "complice" delle religiose presso cui presta soccorso: un ritratto di donna vera che, sebbene conosca gli orrori della guerra, mai sino al punto di quando entra in contatto con il mondo del convento e religioso in generale e la grandezza di questo film sta proprio in questo "iter" di scoperta che coinvolge anche la propria persona interiormente ed ancora di più quella delle suore. Da qui nasce (e magnificamente rappresentata dalla Fontaine) tutta la problematica concernente la dicotomia tra Fede e religione a cui bisogna obbedire ciecamente e la dura realtà dei avvenimenti che accadono, il più delle volte in netto contrasto con le prime. E, mentre la dottoressa accetta con professionale raziocinio gli eventi, per le suore, invece, si manifesta un differente comportamento: chi ciecamente rifiuta e rinnega quanto accaduto, quasi fosse mai avvenuto e continuando a seguire imperterrite i principi e le regole che la religione cristiana e la loro scelta di vita loro impone,e chi, invece, comincia a mettere in discussione la Fede e loro stessa reale vocazione, arrivando, alcune, addirittura a dimettersi dalla propria assoluta scelta di vita ed accettare appieno la propria natura di donna. Pertanto i ritratti femminili descritti dalla Fontaine sono molteplici (dalla dottoressa alla suora con cui instaura un rapporto di complicità e rispetto reciproco, sino a quelle più giovani ingenue e sensibili ed alla Madre Superiora che sin dall'inizio spicca su tutte come una persona quanto mai rigida ed intransigente per ciò che riguarda le regole.
Ottima la recitazione di tutte le attrici, da noi poco note in quanto per lo più polacche ed, in aggiunta, è da menzionare anche colui che impersona il collega/amante della dottoressa protagonista per la sua amara "ironia" mista ad un necessario e professionale pragmatismo che manifesta un'altra condizione esistenziale, quale quella di essere un ebreo scampato allo sterminio.
Insomma, altamente consigliabile a chi piacciono i ritratti intensi di donne.
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lbavassano
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domenica 4 dicembre 2016
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sulla soglia del capolavoro
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La bellezza rigorosa delle immagini, statuaria, straordinaria, è sicuramente il merito maggiore del film di Anne Fontaine. Un rigore che è anche il tono giusto della narrazione, quasi costantemente tenuto, trattenuto, il tono proprio per raccontare un frammento di orrore estratto dall'orrore immane della guerra, giustamente assolutizzato, con qualche improvviso slancio, umanissimo e mistico, l'abbraccio, il bosco, capace di scuoterci. Estremamente intense le protagoniste "conventuali", perfette nel bene e nel male. Sulla soglia del capolavoro.
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La bellezza rigorosa delle immagini, statuaria, straordinaria, è sicuramente il merito maggiore del film di Anne Fontaine. Un rigore che è anche il tono giusto della narrazione, quasi costantemente tenuto, trattenuto, il tono proprio per raccontare un frammento di orrore estratto dall'orrore immane della guerra, giustamente assolutizzato, con qualche improvviso slancio, umanissimo e mistico, l'abbraccio, il bosco, capace di scuoterci. Estremamente intense le protagoniste "conventuali", perfette nel bene e nel male. Sulla soglia del capolavoro. Qualche sbavatura di troppo però, a mio parere, in quella che invece dovrebbe essere la Protagonista, e troppo pacificatorio, consolatorio, il finale rispetto a quella dimensione tragica che è il meglio, l'ottimo, del film.
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lbavassano
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martedì 14 febbraio 2017
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uno dei film migliori del 2016
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Rivisto, "Agnus Dei" di Anne Fontaine si conferma un ottimo film, uno dei migliori fra quelli che ho visto lo scorso anno, per la straordinaria bellezza delle immagini innanzitutto, sia negli interni conventuali che negli esterni innevati abbacinanti che nei primi piani dei volti, immagini che non hanno nulla di esornativo però, ma nella loro intensità perfettamente aderenti alla durezza di una storia in cui orrore si somma ad orrore, con una nota di speranza nel finale che non nega come tutto ciò sia accaduto, possa tornare ad accadere, sia in effetti tornato ad accadere. Un ottimo film anche per la giusta distanza che la regista riesce a mantenere nei confronti di una materia difficile, senza cadere in facili condanne, in ancor più facili pietismi accattivanti.
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lunedì 1 maggio 2017
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dramma, dolore e rinascita in un convento polacco
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Dicembre 1945.
Nella Polonia devastata dalla guerra e dall’avanzata dei russi, in un piccolo convento benedettino, si consuma un dramma vergognoso e infame: lo stupro di diverse suore ad opera di soldati nazisti prima e di sovietici dopo.
Persa la dignità della castità, il giovane medico della croce rossa francese, Madeleine Pauliac, cercherà di ricucire segretamente e senza che i suoi responsabili vengano a sapere nulla, quelle ferite straziate nel corpo delle ancelle di Cristo, aiutandole a partorire e in qualche modo a permetterle di rinascere da quella cieca violenza sulle ceneri di uno spirito su cui lenta si posa la parola del signore.
Anne Fontaine (Coco Chanel, Gemma Bovary) si dimostra una regista capace di guardare al mondo femminile con una grazia e una leggerezza notevole.
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Dicembre 1945.
Nella Polonia devastata dalla guerra e dall’avanzata dei russi, in un piccolo convento benedettino, si consuma un dramma vergognoso e infame: lo stupro di diverse suore ad opera di soldati nazisti prima e di sovietici dopo.
Persa la dignità della castità, il giovane medico della croce rossa francese, Madeleine Pauliac, cercherà di ricucire segretamente e senza che i suoi responsabili vengano a sapere nulla, quelle ferite straziate nel corpo delle ancelle di Cristo, aiutandole a partorire e in qualche modo a permetterle di rinascere da quella cieca violenza sulle ceneri di uno spirito su cui lenta si posa la parola del signore.
Anne Fontaine (Coco Chanel, Gemma Bovary) si dimostra una regista capace di guardare al mondo femminile con una grazia e una leggerezza notevole. Vomitata da uno stupro che il suo figlio adottivo ha subito, la pellicola Agnus Dei, rappresenta una testimonianza drammatica di un’introspezione psicologica che consuma carne e spirito.
Maternità, il senso di una fede che vacilla, il terrore di uno spauracchio che sono stati gli eserciti nazisti e russi, l’abuso in ogni sua forma, quello di una violenza e una visione mai retorica tra un mondo dicotomicamente spezzato tra la violenza perpetrata dal maschio bruto dalla figura sprezzantemente medioevale e quello di un’umanità femminile repressa, sono i temi fondanti della pellicola ambientata in un territorio gelido (ben reso dalla nitida fotografia) e anaffettivo dove la trasgressione è fonte di rassegnazione e dubbio amletico.
Nella sequenza di un cammino verso l’orrore, dove una nuova vita è scandita con tensione dal grido violento delle suore partorienti, si colloca il processo di formazione della protagonista Madeleine laica e “comunista”, alla cristianità, alla rottura del precostituito delle rigide regole gerarchiche di un convento, dove gli empi grembi è meglio che siano nascosti, taciuti per evitare la vergogna perché tutto deve rimanere sepolto e segreto. E mentre fuori sferza il vento dell’anarchia e della guerra, in un luogo riparato e apparentemente avulso da questo, con immagini scarne nei contenuti, Agnus Dei esaspera il dramma di un ossimoro, un contrasto che si fa lacerazione fra fede, maternità, dignità ed infine coscienza.
Una coscienza che è quella comune di visi senza trucco, priva di effetti speciali, uniforme e conforme al blocco di sorelle che inizialmente simili a loro stesse, come panzer sotto gravide stoffe morbide, acquisiranno una precisa identità grazie al giovane medico che in qualche modo ne curerà le ferite di “guerra” facendole brillare di luce propria, restituendole una dignità perduta in un finale messaggio di speranza buonista ma necessario.
Capace di rompere ogni barriera e travalicare il dolore del conflitto e le ferite che le donne, in senso lato, hanno dovuto subire nel corso dei secoli, Agnus Dei -come lo definì il Vaticano- è un film terapeutico, capace di aiutare a curare le ferite ma anche a lasciar riflettere noi spettatori sul dolore subito e sulla violenza che imberbe ancora oggi, purtroppo, si paventa nell’orrida forma dello stupro e in extrema ratio del femminicidio.
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martedì 29 novembre 2016
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i drammi oscuri della guerra
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Polonia 1945, il paese sotto il controllo sovietico, clima desolato e violento della smobilitazione post bellica. Una giovane suora in un gelido paesaggio innevato corre pazzamente a cercare l’aiuto di un medico, un medico che non deve essere né russo, né polacco... Dopo un primo infastidito diniego, mossa alla fine dall’inerme disperazione e dall’incrollabile attesa della suora, una giovane dottoressa della Croce rossa francese (Mathilde, impersonata da una brava Lou de Laâge) accetta di intervenire e scopre un dramma: il convento in cui viene introdotta ha subito ripetute incursioni dei soldati russi, che non hanno esitato a violentare ripetutamente le suore.
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Polonia 1945, il paese sotto il controllo sovietico, clima desolato e violento della smobilitazione post bellica. Una giovane suora in un gelido paesaggio innevato corre pazzamente a cercare l’aiuto di un medico, un medico che non deve essere né russo, né polacco... Dopo un primo infastidito diniego, mossa alla fine dall’inerme disperazione e dall’incrollabile attesa della suora, una giovane dottoressa della Croce rossa francese (Mathilde, impersonata da una brava Lou de Laâge) accetta di intervenire e scopre un dramma: il convento in cui viene introdotta ha subito ripetute incursioni dei soldati russi, che non hanno esitato a violentare ripetutamente le suore. Sette di loro sono in stato avanzato di gravidanza, una gravidanza vissuta in totale segretezza, con un senso orribile di sofferenza, vergogna, totale rifiuto. Una di loro è in quel momento in travaglio, soffrendo terribilmente per un parto podalico che non si risolve naturalmente. E’ quello che ha spinto la giovane consorella a rompere la severissima consegna del silenzio e a scappare per cercare aiuto, di nascosto e contro le decisioni della madre badessa, ferocemente chiusa nella difesa dell’onore del convento anche a costo della morte della partoriente e del neonato. Il film ruota intorno alle dinamiche scatenate da questa rottura iniziale, dall’incontro tra lo spirito laico di Mathilde (ispirata al personaggio realmente esistito di Madeleine Pauliac, come assolutamente veritiero e non isolato è l’evento che dà origine al film) e quello religioso delle suore, sconvolte dall’abuso subito e ancora di più, se possibile, dalle sue conseguenze, dal prepotente crescere della vita su un atto di violenza che si vorrebbe solo rimuovere per sempre. La regista e le protagoniste disegnano con grande forza espressiva le sofferenze, i conflitti, la tempesta psicologica scatenata in tutte, Mathilde compresa, da questa vicenda. Alle immagini reiterate delle suore in coro nella nuda cappella, un’icona collettiva di astratta pace che annega ogni individualità e tormento nella ritualità del canto ieratico, si alternano, nell’oscurità delle celle e dei bui corridoi, l’affollarsi delle nere cappe, lo smarrimento inerme, gli scatti improvvisi, le convulsioni espressive, il masochista autocontrollo di coloro alle quali è negato poter elaborare e persino verbalizzare il trauma. Nuova violenza che cresce sulla violenza. Ai lineamenti taglienti della monaca Maria, la mediatrice tra Mathilde e la badessa, (un’ottima Agata Buzek), irremovibile ma poi anche flessibile, si oppongono i lineamenti morbidi della silenziosa Mathilde, flessibile ma poi anche irremovibile, che mai fa dichiarazioni di principio, e che non condivide, ma cerca di capire, non accetta, ma cerca di rendere accettabile il suo aiuto. Sono due intelligenze mai veramente in lotta, anche se espressione di due mondi antitetici. Il ponte che gradualmente si crea tra di loro sulla base di un approccio puramente e semplicemente umano, spoglio di dogmi come di ideologie, renderà possibile un’elaborazione collettiva del trauma e alla fine una imprevista, un po’ improbabile composizione del dramma. Che però non disturba, nella sua funzione di necessarissima e artisticamente vera catarsi. Assecondando la sensibilità psicanalitica della regista, la fotografia gioca sul contrasto tra toni algidi azzurrini e variazioni di bianco alla Dreyer e Vermeer da una parte, e densi scuri da mondo del subconscio dall’altra. Ottima recitazione.
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