writer58
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domenica 22 febbraio 2015
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je suis kidane...
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"Sfiancala, non ucciderla", questa è la frase di un gruppo di jihadisti che insegue una gazzella a bordo di un pick up nella savana del Mali. "Sfiancala, non ucciderla" appare come una metafora, è un'espressione che interpreta l'essenza stessa dello jihadismo, spesso forza d'occupazione che arriva da altri paesi, assoggetta intere comunità musulmane e impone una ideologia regressiva basata su una distorsione fondamentalista del Corano. E' proibita la musica, è proibito il fumo, il calcio, non si può stare seduti sulla soglia di casa, le donne devono portare velo integrale e guanti, è proibito conversare in gruppo per strada. Metafora parziale perché i fedeli non vengono soltanto sfiancati dalle proibizioni e dalle censure, ma vengono anche uccisi - la lapidazione della coppia non sposata-, frustati a sangue -i giovani che sfidano il divieto di fare musica-, violentati nelle loro tradizioni-le donne date in matrimonio forzosamente ai combattenti-.
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"Sfiancala, non ucciderla", questa è la frase di un gruppo di jihadisti che insegue una gazzella a bordo di un pick up nella savana del Mali. "Sfiancala, non ucciderla" appare come una metafora, è un'espressione che interpreta l'essenza stessa dello jihadismo, spesso forza d'occupazione che arriva da altri paesi, assoggetta intere comunità musulmane e impone una ideologia regressiva basata su una distorsione fondamentalista del Corano. E' proibita la musica, è proibito il fumo, il calcio, non si può stare seduti sulla soglia di casa, le donne devono portare velo integrale e guanti, è proibito conversare in gruppo per strada. Metafora parziale perché i fedeli non vengono soltanto sfiancati dalle proibizioni e dalle censure, ma vengono anche uccisi - la lapidazione della coppia non sposata-, frustati a sangue -i giovani che sfidano il divieto di fare musica-, violentati nelle loro tradizioni-le donne date in matrimonio forzosamente ai combattenti-.
Il film di Sissako -regista nato in Mauritania, vissuto in Mali e maturato artisticamente in Francia- ricostruisce in modo rigoroso e formalmente ineccepibile l'oppressione di una comunità soggetta alla shari'a nei pressi di Timbuktù, mitica città tuareg, crocevia dei sultanati che raggiunsero un elevatissimo grado di civilizzazione più di 600 anni fa. Lo fa mettendo a confronto l'ideologia totalitaria e violenta dei fondamentalisti con la spiritualità autentica dell'imam locale e soprattutto con l'affetto profondo di una famiglia che vive sotto una tenda tra le dune del deserto allevando una piccola mandria di mucche. Una delle mucche, portate ad abbeverarsi nel fiume, si impiglia nelle reti di un pescatore e viene uccisa. Kidane -così si chiama il capofamiglia- non accetta il sopruso e cercherà giustizia...
Qualcuno ha scritto che Timbuktù non è un film antiislsmico. La notazione è pienamente condivisibile. E' il fondamentalismo ad essere una pratica antireligiosa e disumana, mentre i membri della comunità vivono una spiritualità profonda e connaturata col loro modo di vivere, che convive con un ambiente maestoso e splendido, fotografato in modo magnifico.
Il film di Sissako sviluppa questa antinomia in modo intenso e fluido, con una grande padronanza tecnica ed espressiva, evitando di cadere in facili contrapposizioni pedagogiche. Gli jahidisti fumano di nascosto, parlano di calcio, applicano la legge coranica in modo ottuso e spietato, ma evitano gli eccessi degni di un film dell'orrore commessi dall'Isis. Assomigliano ai Talebani in Afganistan, ma ciò è forse ancora più inquietante, perché suggerisce che il fondamentalismo, nella sua pratica quotidiana, non ha bisogno di decapitare ostaggi o bruciare vivi i piloti, "si accontenta" di sottomettere le coscienze e la vita quotidiana delle comunità che opprime.
L'opera di Sissako mi è parsa dolorosamente splendida, intrisa di emozioni autentiche, di spiritualità che sembra nascere e levarsi dal cuore pulsante dell'Africa, dai suoi fiumi, dalle sue estensioni ondulate senza fine. Suggerisce che la lotta per liberarsi da oppressioni vecchie e nuove è complicata e lunga, ma indispensabile per recuperare dignità e una prospettiva di speranza.
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m.barenghi
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lunedì 16 febbraio 2015
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film di disperata bellezza
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Timbuctu, Mali. Le truppe jihadiste aprono il film con l'inseguimento, a suon di jeep e kalashnikov, di una gazzella in fuga: dovrà essere sfiancata, ma NON uccisa. Questo è l'incipit di una storia corale, di una tristezza disperata, in cui viene inscenato soprattutto il potere e la sua perversione. Chi decide della vita o della morte altrui non è migliore di chi muore o viene umiliato; e non è nemmeno in possesso di una religiosità più fervente: è solo in possesso di un mitra, grazie al quale fa valere una propria visione del mondo. Si badi bene! non necessariamente in sintonia con i dettami della religione che proclama di difendere e far rispettare.
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Timbuctu, Mali. Le truppe jihadiste aprono il film con l'inseguimento, a suon di jeep e kalashnikov, di una gazzella in fuga: dovrà essere sfiancata, ma NON uccisa. Questo è l'incipit di una storia corale, di una tristezza disperata, in cui viene inscenato soprattutto il potere e la sua perversione. Chi decide della vita o della morte altrui non è migliore di chi muore o viene umiliato; e non è nemmeno in possesso di una religiosità più fervente: è solo in possesso di un mitra, grazie al quale fa valere una propria visione del mondo. Si badi bene! non necessariamente in sintonia con i dettami della religione che proclama di difendere e far rispettare. In questa visione solo a lui è consentito, per millantato diritto, quello che agli altri è vietato a suon di punizioni corporali (dolorosamente in crescendo lungo l'arco del film, quasi che il lasciare a costoro carta bianca costituisca di per sè una garanzia di futuro inasprimento). Ma chi "somministra" agli indifesi questa giustizia, può però permettersi tutte le deroghe alle regole imposte agli altri: dal fumo al tifo calcistico, dal sesso mercenario all'appropriazione indebita di figlie altrui. Solo la musica non viene praticata, ma questo è per mancanza di fantasia. Sembra di vedere i nostri parlamentari che penalizzano le droghe anche leggere, e poi tirano di coca più di Diego Armando, che, a proposito di calcio faceva sparire le righe di fondo campo.
E di calcio si parla anche in questo film, con una delle sequenze più straordinarie del cinema di questi ultimi anni: una partita di football immaginaria, giocata senza palla, come l'incontro di tennis del finale di "Blow-up" (ma più poetico, grazie alla coralità e la grazia dei movimenti dei suoi interpreti). Parimenti memorabile è la sequenza di poco successiva che chiude l'episodio della rissa al fiume: un campo lungo apertissimo in cui i due contendenti si muovono in successione alle estremita di una lunga linea che si viene formando nel letto del fiume: fotograficamente impeccabile!!
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filippo catani
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lunedì 16 febbraio 2015
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un film onesto e coraggioso
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Timbuctu. Mali. Milizie di estremisti arrivano nella tranquilla cittadina africana e impongono alla popolazione delle leggi severissime. Il tutto porterà con se tragiche conseguenze anche se tutti non sono disposti ad accettare le nuove regole.
Sissako parte da fatti realmente accaduti per costruire un'opera cinematografica ai limiti del documentario. Il regista africano infatti regala allo spettatore il ritratto complesso della situazione in cui si trovano tanti paesi africani. Certo da una parte ci sono i miliziani fondamentalisti ma dall'altra parte c'è chi non si piega ad una visione religiosa così radicale (ad esempio l'Imam). Allo stesso tempo anche all'interno dekl gruppo armato non tutti sono così convinti della bontà del proprio operato (vedi il caso dell'ex rapper) o così ligi alla linea dura (vedi il miliziano che fuma).
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Timbuctu. Mali. Milizie di estremisti arrivano nella tranquilla cittadina africana e impongono alla popolazione delle leggi severissime. Il tutto porterà con se tragiche conseguenze anche se tutti non sono disposti ad accettare le nuove regole.
Sissako parte da fatti realmente accaduti per costruire un'opera cinematografica ai limiti del documentario. Il regista africano infatti regala allo spettatore il ritratto complesso della situazione in cui si trovano tanti paesi africani. Certo da una parte ci sono i miliziani fondamentalisti ma dall'altra parte c'è chi non si piega ad una visione religiosa così radicale (ad esempio l'Imam). Allo stesso tempo anche all'interno dekl gruppo armato non tutti sono così convinti della bontà del proprio operato (vedi il caso dell'ex rapper) o così ligi alla linea dura (vedi il miliziano che fuma). La pellicola getta uno sguardo disperato sulla situazione di precarietà che imperversa in queste zone dove la differenza tra ricchezza e miseria può essere rappresentata dal possesso di una mucca. Il film si potrebbe reggere in piedi tutto in un'unica e straziante quanto lirica scena che dovrebbe entrare di diritto tra le sequenze cult del cinema. A seguito del divieto di poter giocare a calcio, un gruppo di ragazzini inscena una partita di calcio senza usare il pallone correndo e mimando le azioni di gioco fermandosi poi a fingere di fare stretching una volta arrivati i miliziani per un controllo. Ovviamente i processi sono velocissimi e le punizioni esemplari che vanno dalle frustate per aver fatto o ascoltato musica fino alla lapidazione per gli adulteri. Un film che si inserisce pienamente di diritto nella corsa all'Oscar e che entra a gamba tesa all'interno dei dibattiti sollevati dagli ultimi fatti di cronaca.
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flyanto
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mercoledì 18 febbraio 2015
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le assurde leggi in nome della jihad
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Film documentario in cui si presentano le leggi islamiche rigorose e quanto mai assurde che gli abitanti, in questo caso, del Mali sono costretti ad osservare senza mai osare ribellarvisi.
In questa pellicola che funge in pratica da documentario e da denuncia di una situazione esistenziale purtroppo assai estesa tra le popolazioni di religione islamica strettamente osservanti vengono evidenziate le molteplici assurdità in cui gli individui sono costretti a vivere e rigorosamente ad osservare senza mai ribellarsi se non incorrere in una severa e, in molti casi, mortale condanna. Pertanto si apprende che in certe terre è severamente vietato, per esempio, giocare al pallone (e straziante e penosa è la scena che ritrae dei giovani che mimano alla perfezione il gioco del calcio con una palla immaginaria), o fare musica e cantare dentro le proprie abitazioni, non solo fuori, o indossare dei guanti od altri indumenti che coprano completamente ogni minima parte del corpo nel corso dello svolgimento del proprio lavoro, oltre alle limitazioni di ogni genere riservate per lo più al genere femminile, tenuto in assai scarsa considerazione, e molto altro ancora.
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Film documentario in cui si presentano le leggi islamiche rigorose e quanto mai assurde che gli abitanti, in questo caso, del Mali sono costretti ad osservare senza mai osare ribellarvisi.
In questa pellicola che funge in pratica da documentario e da denuncia di una situazione esistenziale purtroppo assai estesa tra le popolazioni di religione islamica strettamente osservanti vengono evidenziate le molteplici assurdità in cui gli individui sono costretti a vivere e rigorosamente ad osservare senza mai ribellarsi se non incorrere in una severa e, in molti casi, mortale condanna. Pertanto si apprende che in certe terre è severamente vietato, per esempio, giocare al pallone (e straziante e penosa è la scena che ritrae dei giovani che mimano alla perfezione il gioco del calcio con una palla immaginaria), o fare musica e cantare dentro le proprie abitazioni, non solo fuori, o indossare dei guanti od altri indumenti che coprano completamente ogni minima parte del corpo nel corso dello svolgimento del proprio lavoro, oltre alle limitazioni di ogni genere riservate per lo più al genere femminile, tenuto in assai scarsa considerazione, e molto altro ancora....
Un film costruito da belle e suggestive immagini magnificamente riprese da una splendida fotografia e profondo nel suo contenuto che, sebbene non costituisca affatto ormai una novità per lo spettatore che, comunque, apprende molti aspetti non del tutto conosciuti od immaginati, lo induce a riflettere su una certa forma di dittatura e di sopruso giustificati solo ed erroneamente da una guerra santa quanto mai assurda e sicuramente stravolgente i principi stessi del Corano.
Estremamente interessante.
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dariobottos
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giovedì 5 luglio 2018
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"accade ciò che deve accadere"
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Un film molto elegante, condotto con stile cinematografico maturo dagli evidenti influssi europei (nel gioco senza pallone si intravede per esempio Antonioni), ma con il sentimento e la sensibilità di un africano che ama la sua terra, e ne documenta con dolore lo snaturamento sotto i colpi degli eventi. Gli eventi prendono corpo nell'arrivo di una brigata dell'Isis a Timbuktu, leggendaria città tuaregh nel deserto del Mali, antico centro carovaniero che conobbe tempi gloriosi. La gloria di un tempo è come rimasta addosso agli abitanti attuali del villaggio che vivono con dignità e gioia le loro giornate all'ombra di una vita sociale serena ancorchè dura, e una vita religiosa sincera sotto la guida di un imam saggio e misericordioso.
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Un film molto elegante, condotto con stile cinematografico maturo dagli evidenti influssi europei (nel gioco senza pallone si intravede per esempio Antonioni), ma con il sentimento e la sensibilità di un africano che ama la sua terra, e ne documenta con dolore lo snaturamento sotto i colpi degli eventi. Gli eventi prendono corpo nell'arrivo di una brigata dell'Isis a Timbuktu, leggendaria città tuaregh nel deserto del Mali, antico centro carovaniero che conobbe tempi gloriosi. La gloria di un tempo è come rimasta addosso agli abitanti attuali del villaggio che vivono con dignità e gioia le loro giornate all'ombra di una vita sociale serena ancorchè dura, e una vita religiosa sincera sotto la guida di un imam saggio e misericordioso. La brigata prende possesso della zona e impone con cieco rigore e intransigenza quella che considerano la vera legge islamica (shari'a) alla comunità. Come in tutti i fanatismi, il capo e i suoi gregari si arrogano il diritto di interpretare nel modo corretto la volontà divina applicandola con spietatezza anche su loro confratelli di fede, che secoli di civiltà e di scambi culturali hanno mantenuto aperti al mondo e tolleranti, quasi ultimi eredi di quell'Islam che fu faro di civiltà durante i secoli bui del medioevo europeo. I "nuovi" musulmani, mercenari senza terra che simulano una tradizione nella interpretazione letterale e ottusa del Corano, a poco a poco spengono i colori e la poesia di quel mondo, così ben rappresentati in quest'opera. C'è un bel dialogo tra l'imam del villaggio e il responsabile del gruppo, nel qiuale emergono due visioni ben differenti della religione e della jihad, la lotta che ogni musulmano deve intraprendere contro "il male": per il primo è una lotta interiore, contro quella parte negativa che ogni uomo possiede; per il secondo è una lotta armata contro tutti i "nemici" dell'Islam interni ed esterni. Ed è noto quanto ogni religione metta in prima fila tra i suoi "nemici" prima gli eretici e poi gli infedeli, donde l'accanimento, fino alla soppressione violenta, contro le presunte deviazioni dalla retta via. Il buon Islam è incarnato dagli abitanti eredi di quel glorioso passato: anche di fronte ad una morte ingiusta (per l'osservatore imparziale) c'è un tentativo di comprensione religiosa, di far rientrare gli eventi in quel flusso fatalistico delle cose - così alieno ormai dalla mentalità occidentale - per il quale accade sempre ciò che "deve" accadere, ciò che - è scritto - dovrà accadere: inshallah.
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fabiofeli
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martedì 24 febbraio 2015
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cantare è civiltà
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Siamo nel Mali, un luogo nel quale gli idiomi locali si mescolano con quelli importati dall’Europa in una babele decifrabile solo con gli interpreti. Le immagini aprono e chiudono con una gazzella che corre all’impazzata e non sa dove andare per sfuggire a un destino segnato. Come l’animale, folle di paura, corrono la bambina sola al mondo, il ragazzo che guarda le mucche della famiglia di lei, il giovane con la moto, i truci miliziani della jihad che aspirano a imporre militarmente un assurdo, disordinato, insensato “ordine”, che riecheggia sinistramente fascismo e nazismo. Dove vanno, che destino avranno non si sa: di sicuro si perderanno nel deserto di morbide dune di sabbia, se non ci sarà qualcuno che indichi loro una via di uscita per raggiungere la realtà.
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Siamo nel Mali, un luogo nel quale gli idiomi locali si mescolano con quelli importati dall’Europa in una babele decifrabile solo con gli interpreti. Le immagini aprono e chiudono con una gazzella che corre all’impazzata e non sa dove andare per sfuggire a un destino segnato. Come l’animale, folle di paura, corrono la bambina sola al mondo, il ragazzo che guarda le mucche della famiglia di lei, il giovane con la moto, i truci miliziani della jihad che aspirano a imporre militarmente un assurdo, disordinato, insensato “ordine”, che riecheggia sinistramente fascismo e nazismo. Dove vanno, che destino avranno non si sa: di sicuro si perderanno nel deserto di morbide dune di sabbia, se non ci sarà qualcuno che indichi loro una via di uscita per raggiungere la realtà. Certo non servirà coprire il capo delle donne, o i piedi e le loro gambe con le calze, le loro mani con i guanti anche quando vendono il pesce, farle sposare con l’uso della forza anche se non vogliono; né ha senso vietare di cantare, di ridere, perfino di giocare al calcio. Quelli che vogliono imporre queste idiozie come false verità del Corano si fanno propaganda con giornalisti in cerca di scoop, oppure con video di rapper, “pentiti” ma nemmeno tanto. Ma cantare non è stata una delle prime, se non la prima espressione artistica dell’uomo? I jihadisti, da parte loro, violano i dettami della religione islamica, invadendo la moschea con scarponi militari ed armi automatiche in un memorabile piano sequenza: l’iman dagli occhi azzurri e i baffi candidi spiega agli squallidi immorali che hanno infranto la prima regola religiosa dell’Islam. E allora che senso ha fustigare o lapidare chi – secondo loro – ha “peccato”? Costoro si arrestano solo di fronte alla follia di una donna che con abiti variopinti e lungo strascico pratica riti vudù e sciamanici. Intoccabile: non è vero, ma ci credo.
La storia che lega le immagini è esile: una famiglia di pastori che vive in una tenda nel deserto, un padre una madre e una figlia, viene a contrasto con un pescatore perché un ragazzo orfano che custodisce le loro sette mucche non riesce a impedire ad una di esse di lacerare le reti del pescatore; per ritorsione la mucca viene uccisa con il lancio di un bastone acuminato. Il pescatore a sua volta cadrà vittima nella colluttazione col pastore per un colpo accidentale di pistola. Il destino dell’involontario uccisore è segnato: gli amministratori della giustizia sono gli amanti degli assurdi divieti, che non sono certo portati ad andare tanto per il sottile nell’appurare la meccanica dei fatti.
Il regista filma con mano sicura, regalandoci una stupenda scena di cinema surreale: nella partita di calcio il pallone inesistente costruisce azioni, lanci, dribbling, tiri a rete, gol ed esultanza dei giocatori; una perfetta citazione della classica e memorabile partita di tennis ripresa seguendo i volti degli spettatori che si girano a seguire l’azione fuori campo, concentrati sui tonfi delle racchette sulla palla. Dialogo scarno e recitazione intensa degli attori costruita con gestualità e primi piani, uniti ad una fotografia del paesaggio di alto livello, costruiscono un film di grandissimo valore. Il finale aperto e disperato indica agli africani e al mondo intero che si deve recuperare un cammino di civiltà. Da non mancare assolutamente.
Valutazione ****
FabioFeli
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francesco maraghini
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domenica 1 marzo 2015
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antidoto contro estremismo islamico e islamofobia
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E' meglio essere frustati da un miliardario o da un estremista islamico? A giudicare dagli incassi di "50 sfumature di grigio" e di "Timbuktu" il pubblico italiano sembra preferire la prima opzione. Ma, scherzi a parte, questo film del regista africano Sissako (nato in Mauritania ma vissuto per molto tempo in Mali) meriterebbe molta più attenzione. Perchè, attraverso le storia del pastore Kidane e della sua famigliacome di altri personaggi, ci narrà la vita quotidiana sotto l'oppressione del regime oscurantista instaurato nel nord del Mali nel corso del 2012 da varie milizie di estremisti islamici, alcune delle quali affiliate ad Al Qaeda,
Oppressione con tutto il suo seguito di assurde probizioni dalla musica al calcio (e la partita giocata dai ragazzi africani senza pallone è senz'altro la scena più poetica del film) e di punizioni per i trasgessori dalle frustate in pubblico fino alla lapidazione degli adulteri.
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E' meglio essere frustati da un miliardario o da un estremista islamico? A giudicare dagli incassi di "50 sfumature di grigio" e di "Timbuktu" il pubblico italiano sembra preferire la prima opzione. Ma, scherzi a parte, questo film del regista africano Sissako (nato in Mauritania ma vissuto per molto tempo in Mali) meriterebbe molta più attenzione. Perchè, attraverso le storia del pastore Kidane e della sua famigliacome di altri personaggi, ci narrà la vita quotidiana sotto l'oppressione del regime oscurantista instaurato nel nord del Mali nel corso del 2012 da varie milizie di estremisti islamici, alcune delle quali affiliate ad Al Qaeda,
Oppressione con tutto il suo seguito di assurde probizioni dalla musica al calcio (e la partita giocata dai ragazzi africani senza pallone è senz'altro la scena più poetica del film) e di punizioni per i trasgessori dalle frustate in pubblico fino alla lapidazione degli adulteri.
Al di la della forma, che pure è eccellente in particolare per la splendida fotografia dei vari paesaggi africani, l'importanza del film è a mio giudizio nei messaggi che ci manda. in primo luogo ci ricorda che nonostante tutte le stragi avvenute in Occidente, dalle Torri Gemelle di New York, alla stazione di Atocha a Madrid, dagli autobus di Londra a Charlie Hebdo a Parigi, le principali vittime degli estremisti islamici sono e restano le popolazioni dei paesi che essi controllano o in cui comunque agiscono.
In secondo luogo ci mostra come la prima opposizione all'interpretazione oscurantista dell'islam data dalle correnti estremiste -la cui diffusione è spesso favorita dalla filo-occidentale Arabia Saudita aggiungo io- viene proprio dalle autorità religiose (nel nostro caso l'imam che tenta invano di opporsi ad un matrimonio forzato) e dai semplici credenti musulmani la cui fede è in netto contrasto con le imposizioni di questi estremisti. Il migliore antidoto possibile quindi, specie di questi tempi, sia contro l'estremismo islamico che contro l'islamofobia.
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jacopo b98
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mercoledì 18 marzo 2015
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un film importante, riuscito e necessario
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A Timbuktu, nel cuore dell’Africa, si incrociano le vicende di numerose famiglie e personaggi, costrette a convivere con la brutalità dei terroristi jihadisti e la loro visione corrotta dell’Islam. Ma c’è anche chi ha il coraggio di resistere e di affermare che c’è un unico, vero Islam e che la follia omicida della jihad non è religione, ma fanatismo. Scritto dal regista con Kessen Tall, presentato a Cannes 2014 dove ha vinto solo il premio della Giuria Ecumenica, è forse il primo film specificatamente sul tema della jihad, e arriva in un periodo peraltro caldissimo su quel fronte. È quindi non solo un film importante e riuscito, ma un’opera necessaria, capace di affermare a gran voce la non violenza della religione islamica e la crudele corruzione di ideali operata dai terroristi.
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A Timbuktu, nel cuore dell’Africa, si incrociano le vicende di numerose famiglie e personaggi, costrette a convivere con la brutalità dei terroristi jihadisti e la loro visione corrotta dell’Islam. Ma c’è anche chi ha il coraggio di resistere e di affermare che c’è un unico, vero Islam e che la follia omicida della jihad non è religione, ma fanatismo. Scritto dal regista con Kessen Tall, presentato a Cannes 2014 dove ha vinto solo il premio della Giuria Ecumenica, è forse il primo film specificatamente sul tema della jihad, e arriva in un periodo peraltro caldissimo su quel fronte. È quindi non solo un film importante e riuscito, ma un’opera necessaria, capace di affermare a gran voce la non violenza della religione islamica e la crudele corruzione di ideali operata dai terroristi. La trovata geniale di Sissako sta nel non raccontare una vera e propria trama, bensì nel filmare piccoli frammenti, che vanno a creare più la storia di un posto (Timbuktu, appunto) e delle persone che lo abitano, invece di limitarsi a narrare una vicenda in particolare. Un film quindi impegnativo, non per tutti certo, ma che tutti dovrebbero vedere. E il suo messaggio, il suo finale, sono di una potenza che nessuno spettatore potrà dimenticare. Un vero piccolo grande capolavoro!
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zarar
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martedì 7 aprile 2015
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un mondo negato alla storia?
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Il regista mauritano-maliano Sissako ambienta il suo film a Timbuktu, nel Mali multietnico, al tempo della occupazione del paese da parte del gruppo islamista fondamentalista Ansar Dine nel 2012. Gli occupanti impongono nel paese la sharia nella forma più dura (pena capitale per gli adulteri; donne costrette a subire limitazioni nella loro libertà di movimento, di relazioni, di abbigliamento, costrette a matrimoni forzati; divieto per tutti del fumo, della musica, del calcio; religiosi islamici moderati impotenti di fronte ai fondamentalisti; flagellazioni per minime trasgressioni della legge coranica, fino a barbari supplizi quali l’interramento e la lapidazione.
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Il regista mauritano-maliano Sissako ambienta il suo film a Timbuktu, nel Mali multietnico, al tempo della occupazione del paese da parte del gruppo islamista fondamentalista Ansar Dine nel 2012. Gli occupanti impongono nel paese la sharia nella forma più dura (pena capitale per gli adulteri; donne costrette a subire limitazioni nella loro libertà di movimento, di relazioni, di abbigliamento, costrette a matrimoni forzati; divieto per tutti del fumo, della musica, del calcio; religiosi islamici moderati impotenti di fronte ai fondamentalisti; flagellazioni per minime trasgressioni della legge coranica, fino a barbari supplizi quali l’interramento e la lapidazione. Sono un gruppo eterogeneo, con elementi di paesi diversi costretti a volte – ironia - ad usare tra loro l’inglese per capirsi, uniti solo dall’ideologia fondamentalista. Attraverso la disgraziata vicenda di un pastore tuareg, Kidane, condannato a morte per aver ucciso non intenzionalmente un pescatore che gli ha ammazzato una mucca, il film ci introduce in un clima e in un sistema di rapporti difficile per noi da capire sino in fondo, anche se ormai l’ISIS è tragica cronaca quotidiana. Da una parte abbiamo un mondo arcaico affascinante di paesaggi immobili, ritualità di gesti e compiti quotidiani, antichi mestieri, parole misurate, affetti profondi anche se spesso inespressi, musica e canto nativi, innocente allegria; dall’altra la paura e l’orrore incarnati di un fondamentalismo deciso a imporre un Medioevo crudele e anacronistico. Sembrano agli antipodi, ma – anche se i fondamentalisti vengono dall’esterno, e neppure condividono la lingua dei locali, qualcosa nel fondo accomuna gli uni e gli altri: la stessa abissale lontananza da una visione laica e razionale dell’esistenza, lo stesso arcaico fatalismo, e ciò anche se la “modernità” occidentale offre loro i gadget e/o gli strumenti di morte più aggiornati (il telefonino satellitare, la motocicletta, i SUV, le divise mimetiche, i kalashnikov…). I fondamentalisti si sentono gli esecutori di una legge superiore e assoluta, la loro violenza è rigorosamente ritualizzata, condannano senza aggressività e senza passione personale; i perseguitati ne accettano la logica, nella percezione che il loro destino è segnato e voluto da Allah, e nulla e nessuno potrà cambiarlo. Di qui il fatalismo, l’acquiescenza, la disperazione muta, al massimo uno sfogo subito rientrato, o una fuga nella fantasia, come quella dei ragazzi nella bellissima scena in cui giocano con un pallone immaginario. Sissako rappresenta con ricchezza di sfumature questa situazione apparentemente senza scampo, simbolicamente espressa nella fuga inutile della gazzella inseguita dai cacciatori, nella corsa senza speranza della figlia di Kidane alla fine del film. Resta qualche dubbio sull’estetismo virtuosistico del regista, che sfuma e annega i passaggi più drammatici in atmosfere e paesaggi perfetti, che accentuano la connotazione mitica evocata dal solo nome di Timbuktu: le dune e le crete dorate nel sole, la notte di luna nel deserto, il cadavere nero del pescatore nell’acqua accanto alla cesta, quasi tratto di pennello in un acquarello cinese, le geometrie astratte dei vicoli, delle case, dei tetti, ma anche il volto scolpito, senza tempo della moglie di Kidane… Su questo sfondo estetizzante e anestetizzante la vicenda sembra collocarsi fuori del tempo. Un modo per dirci che questo mondo è negato alla storia? 3 1/2
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fabio_66
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martedì 16 giugno 2015
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cinema africano.... che bella sorpresa!
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Gradevolissima sorpresa per questo bel film africano. Si respira Africa in ogni aspetto, regia, fotografia, attori, sceneggiatura. Il mondo visto dall'Africa non è lo stesso di quello visto dall'Europa, ed anche la Jihad non è la stessa. In questo piccolo villaggio nel deserto e nella tenda del protagonista il mondo è capovolto; la Jihad è portata da stranieri, con lingue diverse ma la stessa fede. Negli abitanti notiamo un certo religioso fatalismo, incomprensibile per noi occidentali. Per quanto il tema si presti a implicazioni politiche, religiose ed alla violenza delle immagini, tutto è ovattato da una poetica elevata. Tanti sono i momenti lirici di alta emozione: la colorata partita di calcio senza palla, la profondità e la purezza degli sguardi, il dialogo fra Imam e Jihadisti, le ronde notturne, la fuga della gazzella.
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Gradevolissima sorpresa per questo bel film africano. Si respira Africa in ogni aspetto, regia, fotografia, attori, sceneggiatura. Il mondo visto dall'Africa non è lo stesso di quello visto dall'Europa, ed anche la Jihad non è la stessa. In questo piccolo villaggio nel deserto e nella tenda del protagonista il mondo è capovolto; la Jihad è portata da stranieri, con lingue diverse ma la stessa fede. Negli abitanti notiamo un certo religioso fatalismo, incomprensibile per noi occidentali. Per quanto il tema si presti a implicazioni politiche, religiose ed alla violenza delle immagini, tutto è ovattato da una poetica elevata. Tanti sono i momenti lirici di alta emozione: la colorata partita di calcio senza palla, la profondità e la purezza degli sguardi, il dialogo fra Imam e Jihadisti, le ronde notturne, la fuga della gazzella. Su tutto una natura magnificente nella sua desolazione, colorata e dignitosa... come l'Africa e l'Islam. Da vedere assolutamente... a presto Africa.
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