teddy
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mercoledì 14 marzo 2007
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la tensione sul filo della musica
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Accanto alle due ottime protagoniste (esemplare la lucida freddezza che la giovane Francois riesce a conferire alla cinematografica Mélanie), c'è un interprete non dichiarato della pellicola, che tuttavia riveste un ruolo assolutamente fondamentale: la musica. I passaggi principali della vicenda, gli stati d'animo dei protagonisti, le tensioni si traducono in note musicali ed accompagnano la narrazione con un ruolo assolutamente insostituibile. Ciò che lega realmente Ariane e Melanié è la passione per la musica. Una passione consumata per la prima e rimasta insoddisfatta per la seconda. Proprio l'incompiutezza del suo sogno di artista anima la vendetta di Mélanie, che colpisce la rivale, distruggendone non solo la serenità familiare, ma anche e soprattutto la carriera di concertista.
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Accanto alle due ottime protagoniste (esemplare la lucida freddezza che la giovane Francois riesce a conferire alla cinematografica Mélanie), c'è un interprete non dichiarato della pellicola, che tuttavia riveste un ruolo assolutamente fondamentale: la musica. I passaggi principali della vicenda, gli stati d'animo dei protagonisti, le tensioni si traducono in note musicali ed accompagnano la narrazione con un ruolo assolutamente insostituibile. Ciò che lega realmente Ariane e Melanié è la passione per la musica. Una passione consumata per la prima e rimasta insoddisfatta per la seconda. Proprio l'incompiutezza del suo sogno di artista anima la vendetta di Mélanie, che colpisce la rivale, distruggendone non solo la serenità familiare, ma anche e soprattutto la carriera di concertista.
La storia avrebbe potuto essere banale se al centro del conflitto tra le due donne vi fosse stato un uomo, anziché la comune passione per la musica.
I ritmi della narrazione, l'atmosfera sono quelli tipici della filmografia francese e sono proprio essi, tuttavia, a conferire alla pellicola il suo fascino e la sua delicatezza. Chi ama le immagini forti ed i dialoghi concitati e taglienti eviti di andare al cinema a vederlo, ma chi ancora crede che un buon film debba essere capace di emozionare senza ricorrere ad effetti speciali, entri in sala con l'assoluta certezza di uscirne senza il rimpianto dei soldi spesi per il biglietto.
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marino poduje
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venerdì 2 febbraio 2007
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una salomonica vendetta...
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Come non fare il tifo per Melanie in questo bel film di un regista giovane ma già con varie opere nel carniere? In effetti la trama è appassionante ed inquietante , le inquadrature sapientemente dosate e condensate sulle espressioni delle due interpreti principali, la colonna sonora semplicissima ma studiata ad arte...insomma il film si può ben definire un buon "thriller psicologico" che tiene lo spettatore in tensione,senza usare scene truculente o spargimenti inutili di sangue e questa non è una dote da poco! Peccato che difficilmente potremo vedere in Italia altre opere di Dercourt per motivi di...budget!!!
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piernelweb
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mercoledì 17 ottobre 2007
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la vendetta è un piatto che si consuma freddo
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La vendetta è un piatto che si consuma freddo. Dercourt, sconosciuto regista francese lo dimostra in maniera eloquente in questo insolito film transalpino vera rivelazione della stagione. La regia è molto curata nei modi e nei tempi, nessuna sbavatura tecnica e grande enfasi all'austerità dei personaggi: come nella migliore tradizione d'oltralpe sono freddi e distaccati i componenti della tipica famiglia borghese-intelettuale, ma lo è in particolare la giovane Mélanie (una Déborah François già vista in L'Enfant-Una storia d'amore, qui di una bellezza disarmante) che persegue scientificamente e senza incertezze il suo desiderio di restituire con gli interessi lo schiaffo subito da adolescente quando l'allora esaminatrice Ariane Fouchécourt compromise il suo sogno di divenire musicista.
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La vendetta è un piatto che si consuma freddo. Dercourt, sconosciuto regista francese lo dimostra in maniera eloquente in questo insolito film transalpino vera rivelazione della stagione. La regia è molto curata nei modi e nei tempi, nessuna sbavatura tecnica e grande enfasi all'austerità dei personaggi: come nella migliore tradizione d'oltralpe sono freddi e distaccati i componenti della tipica famiglia borghese-intelettuale, ma lo è in particolare la giovane Mélanie (una Déborah François già vista in L'Enfant-Una storia d'amore, qui di una bellezza disarmante) che persegue scientificamente e senza incertezze il suo desiderio di restituire con gli interessi lo schiaffo subito da adolescente quando l'allora esaminatrice Ariane Fouchécourt compromise il suo sogno di divenire musicista. Cinema d'autore che si coniuga in maniera esemplare ad atmosfere simil-thriller a tensione crescente; quasi una celebrazione della vendetta come atto di liberazione interiore dai fantasmi del passato. Dercourt che ha trasorsi da solista di viola dimostra oltre ad una ovvia conoscenza della materia (che abbia tratto spunto da una qualche negativa esperienza personale?) un talento narrativo sopra la media. C'è da augurarsi che sappia ripetersi.
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tappac
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giovedì 16 agosto 2007
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la vendetta non paga...
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Dimostrazione di come ci si possa rovinare la vita... la propria e quella degli altri...
La vendetta non appaga e chi ci ha "offeso" spesso ne è inconsapevole.
Ma il male nell'animo umano è presente e questo film lo sottolinea... il male sotto forma di freddezza, incapacità di provare sentimenti e di perdonare.
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21thcentury schizoid man
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mercoledì 12 ottobre 2011
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un thriller psicologico raffinato
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(Attenzione, contiene spoiler) Il sogno di una vita andato in frantumi per colpe altrui: la rabbia repressa che si accumula e la vendetta come unica ragione di vita. In poche parole, si potrebbe riassumere così questo film, che tratta, appunto, di una vendetta. Una vendetta, però, che parte da molto lontano. Talmente lontano che dobbiamo tornare indietro nel tempo di una decina d’anni, quando Mélanie, la protagonista di questa storia, era una bambina. Il suo sogno era quello di diventare una grande pianista. E forse ce l’avrebbe fatta, perché la musica per lei era tutto e il talento non le mancava affatto. Quando, però, a dodici anni affrontò l’esame di ammissione al conservatorio, durante la sua esibizione successe una cosa che le fece perdere la concentrazione: la donna che presiedeva la commissione giudicante, una famosa pianista concertista, si mise a firmare un autografo proprio mentre Mélanie stava suonando.
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(Attenzione, contiene spoiler) Il sogno di una vita andato in frantumi per colpe altrui: la rabbia repressa che si accumula e la vendetta come unica ragione di vita. In poche parole, si potrebbe riassumere così questo film, che tratta, appunto, di una vendetta. Una vendetta, però, che parte da molto lontano. Talmente lontano che dobbiamo tornare indietro nel tempo di una decina d’anni, quando Mélanie, la protagonista di questa storia, era una bambina. Il suo sogno era quello di diventare una grande pianista. E forse ce l’avrebbe fatta, perché la musica per lei era tutto e il talento non le mancava affatto. Quando, però, a dodici anni affrontò l’esame di ammissione al conservatorio, durante la sua esibizione successe una cosa che le fece perdere la concentrazione: la donna che presiedeva la commissione giudicante, una famosa pianista concertista, si mise a firmare un autografo proprio mentre Mélanie stava suonando. Irritata, sconcertata e arrabbiata dall’atteggiamento superficiale della donna, Mélanie interruppe l’esecuzione del brano che stava eseguendo, compromettendo, di fatto, l’esito finale dell’esame. Puntuale, infatti, arrivò la bocciatura. La delusione che provò Mélanie fu così forte che decise che non avrebbe mai più suonato. Però da quel momento in lei scattò qualcosa: la rabbia e l’amarezza derivate dall’ingiusta bocciatura erano infatti così forti che finirono per consumarla dentro. In lei maturò la convinzione che Ariane, la donna che aveva distrutto il suo sogno di diventare una grande pianista, non poteva passarla liscia così facilmente. In qualche modo avrebbe dovuto pagarla.
Dieci anni dopo quell’episodio, Mélanie deve svolgere uno stage come segretaria; ad assumerla in prova è lo studio legale dell’avvocato Fouchécourt. Questi, guarda caso, è il marito di Ariane, proprio la donna verso la quale Mélanie nutre un odio feroce da due lustri a questa parte. Poco alla volta, Mélanie si insinua nella vita della coppia prima come babysitter del loro figlio, Tristan, poi diventando la voltapagine di Ariane. Lentamente, con estrema pazienza nonché con una notevole dose di perfidia, Mélanie avrà modo di mettere in atto la propria crudele vendetta nei confronti della donna che lei considera responsabile di averle rovinato la vita.
Nel raccontare la storia di una vendetta atroce compiuta da una ragazza nei confronti di una donna matura, Denis Dercourt dimostra di possedere un bel talento sia per la narrazione che per la messa in scena; il regista francese, grazie ad uno stile di regia raffinato, fatto di eleganti inquadrature precise al millimetro, riesce ad offrirci, con una lucidità notevole oltre che con una sensibilità eccezionale, un bellissimo ed inquietante ritratto di due donne, Mélanie e Ariane, così diverse l’una dall’altra, che si troveranno – a causa del destino che ha voluto metterle contro – a dare vita ad un autentico gioco al massacro dal quale però soltanto una delle due ne uscirà a pezzi, mentre l’altra, forse, riuscirà finalmente a tornare in pace con se stessa.
Oltre alla regia perfetta, sono da ricordare le splendide interpretazioni delle due protagoniste: Deborah François, la giovane Mélanie, è una ragazza all’apparenza dolce ma che in realtà dentro di sé nasconde una cattiveria insospettabile, tant’è vero che è disposta a tutto pur di consumare la propria vendetta; Catherine Frot, la matura Ariane, ovvero la donna che ha contribuito, seppur inconsapevolmente, a rovinare il sogno di una vita a Mélanie, è magnifica per come riesce a rendere il senso di smarrimento progressivo di cui rimane vittima il suo personaggio. “La voltapagine” è un thriller psicologico raffinato, gelido e inquietante che sembra diretto dal miglior Chabrol.
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theophilus
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lunedì 10 febbraio 2014
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la vendetta è l'ultima a morire
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LA TOURNEUSE DE PAGES
Film cupo, percorso da un’ira tutta interiore, tanto da farne una storia intimista. La voltapagine, presentato nella sezione Un certain regard a Cannes 2006, scorre tagliente, asciutto, lineare sul solco della poetica noir di Chabrol. Non solo per il tema trattato, ma soprattutto per il cinismo e la durezza quasi nichilista che si respirano nel film, il regista Denis Dercourt ci sembra anche essersi in parte ispirato a La pianiste, diretto da Michael Haneke nel 2001.
Nei titoli di testa, le immagini di una ragazzina che si esercita al pianoforte si alternano a quelle di carni meticolosamente tagliate, con fredda e precisa violenza, all’interno di una macelleria.
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LA TOURNEUSE DE PAGES
Film cupo, percorso da un’ira tutta interiore, tanto da farne una storia intimista. La voltapagine, presentato nella sezione Un certain regard a Cannes 2006, scorre tagliente, asciutto, lineare sul solco della poetica noir di Chabrol. Non solo per il tema trattato, ma soprattutto per il cinismo e la durezza quasi nichilista che si respirano nel film, il regista Denis Dercourt ci sembra anche essersi in parte ispirato a La pianiste, diretto da Michael Haneke nel 2001.
Nei titoli di testa, le immagini di una ragazzina che si esercita al pianoforte si alternano a quelle di carni meticolosamente tagliate, con fredda e precisa violenza, all’interno di una macelleria. È da subito espresso un dualismo che percorrerà tutto il film, quasi che il regista voglia indicarci come chiave interpretativa la strada di una doppia personalità della principale protagonista da ricercare nel DNA familiare.
La bambina si presenta davanti ad una commissione presieduta da una nota concertista. Poco dopo esce dall’aula in cui ha svolto la sua prova, le lacrime che le bagnano appena un viso duro e sconfortato. Poco oltre vediamo una giovane donna partecipare ad uno stage in uno studio di avvocatura. Cerca di farsi benvolere e si offre di prendersi cura del figlio del titolare per un periodo di alcuni giorni in cui entrambi i genitori dovranno assentarsi.
Il destino dei protagonisti corre verso un esito inesorabile di cui si è subito coscienti. Ma la prevedibilità dell’evoluzione della storia non ne pregiudica per nulla l’interesse. La tensione rimane stabile perché non emana dall’intreccio, ma è costruita sul rapporto di sudditanza psicologica che s’instaura fra le due interpreti del film. Il perverso rincorrere una sorta di risarcimento morale, di cui una delle due ha fatto una ragione di vita, viene perseguito con spietata e calma determinazione. La fragilità dell’altra si presenta allo spettatore come concausa di un qualcosa già scritto, perché sembra voler spianare alla prima l’accesso ad una nemesi a cui abbia diritto. Più che ad una rappresentazione sadica ci pare di assistere al sacrificio di una vittima designata che non può sfuggire al suo destino. La tensione nasce proprio dallo stentare a credere che si possa andare così avanti nel voler perseguire i propri scopi. Il carnefice della storia è una sfinge con il volto di un angelo, quasi lo strumento di una volontà altrui. Tutto si attua perfettamente, infatti, in questo thriller psicologico. Non c’è posto per l’errore. Lo svolgimento lineare, la logica interna stringente sembrano non potersi conciliare con la suspence. È allora il senso di pietas che nasce nei confronti di una persona indifesa che può far scattare la molla della partecipazione emotiva. La vendetta è un piatto che va consumato freddo. Non ricordiamo di avere visto rappresentata così compiutamente tale massima in altra occasione: proprio per questo vi abbiamo scorto la volontà del regista di mettere in scena un dramma che intenda sfidare il concetto di libero arbitrio.
Maiuscola l’interpretazione di Catherine Frot nel ruolo della pianista. Efficacissima la maschera imperturbabile di Déborah François a rendere un personaggio quasi sulfureo. Interessante anche la prova di Pascal Greggory, che aveva già sostenuto un ruolo simile – anche se di gran lunga più importante in quella circostanza – in Gabrielle, diretto da Patrice Chéreau nel 2005.
Enzo Vignoli,
20 febbraio 2007.
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