nerofelix
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domenica 7 maggio 2006
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99 minuti di bel cinema
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Vale la pena vederlo, ti avvolge in una spirale di inquietudini, di visioni che si concatenano a vicenda, con un gioco registico ai limiti del virtuosismo puro. Dopo "Finding Neverland", Forster ha premuto sull'acceleratore: gli squarci di poetica fantasia sono diventati brandelli di allucinazioni frenetiche che interferiscono con la realtà, si confondono con essa, la sostituiscono per intero.
Oltre un'ora e mezza di tensione e di qualità visiva assoluta, fatta di dissolvenze di immagini e di iridescenze cromatiche, sottolineate da una colonna sonora bellissima. Sarebbero anche 5 stelle, per me, se non fosse per il finale in cui non tutte le tessere del puzzle sembrano combaciare e si avverte la sensazione che Forster abbia giocato con lo spettatore come il gatto gioca con il topo: ha rincorso le nostre fantasie e proiezioni.
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Vale la pena vederlo, ti avvolge in una spirale di inquietudini, di visioni che si concatenano a vicenda, con un gioco registico ai limiti del virtuosismo puro. Dopo "Finding Neverland", Forster ha premuto sull'acceleratore: gli squarci di poetica fantasia sono diventati brandelli di allucinazioni frenetiche che interferiscono con la realtà, si confondono con essa, la sostituiscono per intero.
Oltre un'ora e mezza di tensione e di qualità visiva assoluta, fatta di dissolvenze di immagini e di iridescenze cromatiche, sottolineate da una colonna sonora bellissima. Sarebbero anche 5 stelle, per me, se non fosse per il finale in cui non tutte le tessere del puzzle sembrano combaciare e si avverte la sensazione che Forster abbia giocato con lo spettatore come il gatto gioca con il topo: ha rincorso le nostre fantasie e proiezioni. Alla fine tutte queste rincorse possono sembrare un po' eccessive, come se alla fine ci dicesse: "vi ho tenuto in sospeso fino alla fine, che altro volete?". Si vorrebbe, magari, un finale meno fumoso. Ma Forster è un grande e, dopo 99 minuti di bella narrazione, di ritmi incalzanti e visioni suggestive, gli si può perdonare tutto (o quasi). Io l'ho perdonato... ed anzi sapete che faccio? Tra un po' questo film me lo rivedo pure! Ascoltate con attenzione i brani che scandiscono i titoli di coda, ne vale la pena.
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(di carlo)
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tuppe
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mercoledì 8 marzo 2006
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ma dove ho già visto una cosa del genere?
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Rivedere i film aiuta a capirli, questo è risaputo. Questa volta ci ero andato vicino, dato che, arrivato a film iniziato, ho seguito tutta la vicenda con il proposito di rivedere l'inizio; e rivedere l'inizio avendo già visto tutto il film dovrebbe gettare luce chiara sul tutto. Però, però.
Uno psichiatra "eredita" da una collega malata un giovane paziente, studente d'arte, il quale manifesta l'intento di suicidarsi di lì a tre giorni, per il proprio 21° compleanno. Inizialmente è solo l'adempimento del proprio dovere professionale che spinge il medico ad interessarsi della faccenda; ma piano piano le cose si complicano, ed il coinvolgimento diventa sempre più personale. I due si cercano a vicenda in una New York piovosa e ondeggiante, tra scenografie in puro stile "escheriano", inquadrature di sbieco e spiazzanti anelli spazio-temporali.
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Rivedere i film aiuta a capirli, questo è risaputo. Questa volta ci ero andato vicino, dato che, arrivato a film iniziato, ho seguito tutta la vicenda con il proposito di rivedere l'inizio; e rivedere l'inizio avendo già visto tutto il film dovrebbe gettare luce chiara sul tutto. Però, però.
Uno psichiatra "eredita" da una collega malata un giovane paziente, studente d'arte, il quale manifesta l'intento di suicidarsi di lì a tre giorni, per il proprio 21° compleanno. Inizialmente è solo l'adempimento del proprio dovere professionale che spinge il medico ad interessarsi della faccenda; ma piano piano le cose si complicano, ed il coinvolgimento diventa sempre più personale. I due si cercano a vicenda in una New York piovosa e ondeggiante, tra scenografie in puro stile "escheriano", inquadrature di sbieco e spiazzanti anelli spazio-temporali. Materiale un po' riciclato, forse, ma che è ben utilizzato, e fa a dovere il suo effetto destabilizzante: lo spettatore, non senza un po' di inquietudine, rimane preso nella vicenda, mentre i piani si confondono e la realtà si frammenta e si avviluppa su se stessa.
"Ma dove ho visto una cosa del genere?"
La risposta, personalmente, mi è arrivata a metà del film, quando mi è tornato in mente il titolo della pellicola che narrava di una allucinazione altrettanto perversa.
L'ora x, il momento del suicidio, sarà ovviamente rivelatore; ma qui sta il punto debole dell'operazione, perché le cose tornano ma non poi tanto, la luce non è poi così chiara, e resta l'impressione che regista e sceneggiatore siano stati un po' disonesti...
Comunque un paio d'ore ben spese; e poi il lunedì sera al cinema è una meraviglia.
a.
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osteriacinematografo
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domenica 2 giugno 2013
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un sogno struggente fra la vita e la morte
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Nel turbolento incipit del film un’auto si ribalta ripetutamente nella notte: la camera stacca e si posa sul volto disorientato di un ragazzo,seduto in terra nei pressi dell’incidente.
Ritroviamo Henry Letham alla luce del giorno,alle prese con lo psichiatra Sam Foster. Henry -studente di storia dell'arte- soffre di allucinazioni e di un senso di colpa per la morte dei genitori,profondo a tal punto da divenire mania di persecuzione; il ragazzo, pallido e fuori fase,dichiara al dottore l’intenzione di togliersi la vita entro pochi giorni.
Foster si interessa alla drammatica vicenda di Henry,da un lato perché ha vissuto in prima persona un’esperienza simile con la propria compagna Lila;dall’altro perché subisce il fascino delle visioni di quel ragazzo smarrito,che hanno il sapore del déjà vu e sembrano avere un fondamento reale,al punto che lo psichiatra stesso si trova ben presto coinvolto nella dimensione distorta della mente dello studente.
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Nel turbolento incipit del film un’auto si ribalta ripetutamente nella notte: la camera stacca e si posa sul volto disorientato di un ragazzo,seduto in terra nei pressi dell’incidente.
Ritroviamo Henry Letham alla luce del giorno,alle prese con lo psichiatra Sam Foster. Henry -studente di storia dell'arte- soffre di allucinazioni e di un senso di colpa per la morte dei genitori,profondo a tal punto da divenire mania di persecuzione; il ragazzo, pallido e fuori fase,dichiara al dottore l’intenzione di togliersi la vita entro pochi giorni.
Foster si interessa alla drammatica vicenda di Henry,da un lato perché ha vissuto in prima persona un’esperienza simile con la propria compagna Lila;dall’altro perché subisce il fascino delle visioni di quel ragazzo smarrito,che hanno il sapore del déjà vu e sembrano avere un fondamento reale,al punto che lo psichiatra stesso si trova ben presto coinvolto nella dimensione distorta della mente dello studente.
Su tali presupposti si sviluppa un convulso tourbillon d’immagini e una sorta d’inseguimento fisico e psicologico fra Foster e Letham,lungo la via di uno sdoppiamento di personalità che dissipa ogni certezza fino all’epilogo rivelatore.
Il regista Marc Forster,sulla base di un soggetto di David Benioff,realizza un’opera d’arte complessa e originale,grazie al suo indiscusso talento,a un cast e a un team di collaboratori di prim’ordine: le prove di Gosling(su tutti),McGregor,Watts;la fotografia cupa e angosciante di Roberto Schaefer;il montaggio tumultuoso e incalzante di Matt Chesse;le scenografie opprimenti e mutevoli di Kevin Thompson e gli effetti speciali di Bero e Caban: ognuno di questi elementi contribuisce alla fluidità delle immagini,che si trasformano e assumono via via forme sempre nuove e diverse,privando lo spettatore di un'angolazione interpretativa plausibile.
Il film si racconta attraverso il filtro del subconscio,la cui lente distorce e deforma ogni elemento tangibile e tramuta l’insieme in un involucro di deliri e fantasie,in un moto ondoso di frammenti estemporanei che si combinano in un labirinto liquido,instabile,senza via d'uscita. I ruoli e le situazioni si confondono,fino ad estraniare i personaggi dalle loro collocazioni originarie e a trascinarli in una voragine in cui l'identità di ciascuno viene messa in crisi.
La realtà pare dissolversi,ed ogni parvenza si dilegua fino a tratteggiare i contorni nebulosi di un'arcana ed enigmatica illusione. "Stay" è un sistema di cerchi concentrici che replica in modo caotico gli echi di una mente offuscata: a cavallo di percezioni rarefatte e intermittenti,Henry contempla il sipario che si affaccia sulla sua psiche.
Le proiezioni oniriche della coscienza di Henry lo implorano di restare,di liberarsi del senso di colpa che lo attanaglia,e il conto alla rovescia che Henry impone alla vicenda si ferma immortalandosi nel momento che il film incarna,un momento breve ma intensissimo,in cui si mette tutto sul piatto,perché in ballo c’è la vita stessa.
Ogni inquadratura riesce nell’intento di modificare le dimensioni,i termini e la consistenza dell’apparato architettonico dell’opera,che si piega e deforma continuamente,fino a privare il film di punti di riferimento permanenti.
E infine l’immane oscillazione di quella mente alla deriva si placa,e il protagonista scivola o forse si lascia andare lungo la superficie liscia di una vita divenuta impossibile.
“Stay” è un sogno struggente al confine fra la vita e la morte.
osteriacinematografo.com
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matteodimaria
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martedì 1 maggio 2012
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ai confini della morte...con marc forster
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Il ventenne Henry Letham (Ryan Goslin), ossessionato dalla morte dei suoi genitori, confessa allo psichatra Sam Foster (Ewan Mc Gregor) la sua intenzione di suicidarsi. Il giovane dottore newyorkese cercherà di dissuaderlo, facendosi coinvolgere sempre di più nel mondo nevrotico del giovane paziente in preda alle allucinazioni.
Partendo da una sceneggiatura intrigante e con l'aiuto di una buona dose di effetti speciali, Marc Forster fa centro, facendoci vivere un inquietante esperienza ai confini della morte, come già ci aveva provato anni prima il trio Semel/Kunert/Cooper con Campfire Tales, horror movie semi sconosciuto a noi "comuni italiani".
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Il ventenne Henry Letham (Ryan Goslin), ossessionato dalla morte dei suoi genitori, confessa allo psichatra Sam Foster (Ewan Mc Gregor) la sua intenzione di suicidarsi. Il giovane dottore newyorkese cercherà di dissuaderlo, facendosi coinvolgere sempre di più nel mondo nevrotico del giovane paziente in preda alle allucinazioni.
Partendo da una sceneggiatura intrigante e con l'aiuto di una buona dose di effetti speciali, Marc Forster fa centro, facendoci vivere un inquietante esperienza ai confini della morte, come già ci aveva provato anni prima il trio Semel/Kunert/Cooper con Campfire Tales, horror movie semi sconosciuto a noi "comuni italiani".
Di certo, buona parte del film è stata fatta in fase di scrittura da David Benioff, autore di "La 25° Ora", ma il lavoro del giovane regista tedesco è magistrale e sofisticato.
Sempre alla ricerca di inquadrature inedite, ci porta a spasso in uno scenario urbano tentacolare, suscitando in noi una sensazione di inquietudine sin dalla scena in cui Mc Gregor si risveglia nel suo appartamento.
La ricercata fotografia del confermatissimo Roberto Schaefer (dopo Moster's Ball e Neverland) e i vari deja vù dello script rendono il film un opera visionaria degna del miglior Lynch. Raffinati giochi con gli specchi e macchina da presa spesso fuori bolla riescono a comunicare l'irrealtà delle situazioni. Si può dire che Forster e Shaefer sfiorino i limiti del virtuosismo visivo ma lo fanno sempre con una certa grazia.
In fase di montaggio c'era il rischio di comporre un quadro confuso, la pellicola, invece, mantiene sempre una certa linearità e non appare mai artificiosa. Scorre godibile e ci trasporta fino alla risoluzione dell'enigma con una certa freschezza mentale, che alle vote viene a mancare, quando si ha a che fare con opere così "intellettuali" che richiedono un minimo di concentrazione.
L'atmosfera prevalentemente piovosa dell'intera pellicola e l'azzeccatissima colonna sonora di Asher&Spencer ci trasmettono costantemente un senso di inquetudine, che viene portato all'estremo quando cominciano le allucinazioni del protagonista . Il lavoro scenografico fatto dal bravissimo Kevin Thompson, designer con all'attivo già una quindicina di produzioni Hollywoodiane, aiuta a perderci nell'universo nevrotico proposto da Forster. Memorabile la sequenza in cui Mc Gregor segue Elizabeth Reaser ( Athena) giù per le scale del teatro.
Impeccabile il giovane Ryan Goslin (Henry Letham) che conferma il suo talento e la sua carica drammatica, già dimostrata l'anno prima nello struggente "Le Pagine della Nostra Vita" di Nick Cassavetes.
Giusto Mc Gregor (Sam Foster), che da copione deve recitare la parte dello stordito che all'improvviso si trova nel magico mondo dell'incomprensibile, mentre impeccabile è Naomi Watts (Lila Culpepper), che di certo non è l'ultima arrivata e si ritrova a dover recitare una parte che sembra scritta apposta per lei.
Da menzionare anche Bob Hoskins (Dr.Leon Patterson), in uno di quei fulminanti camei che ricordano quelli che faceva Randone nel lontano cinema di Petri. La scena in cui Henry (Goslin) ridà la vista al Dr.Leon Patterson (Hoskins) è una vera perla che va dritta al cuore.
Forster, dunque, è riuscito a muoversi nei meandri della conoscenza umana con eleganza, non pretendendo di spiegare le cose, ma solo di ricordarci che "la fine" è imprevedibile quanto inevitabile. L'autore ci ha portato per 99 minuti nel cosiddetto NED ( Near Death Experience), lasciando ben impressa nella nostra mente la Tagline del film "Tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti c'è un luogo in cui non dovresti stare."
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cronix1981
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martedì 2 novembre 2010
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gli oscuri artifici della mente
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La mente. Questo oggetto misterioso. Studiato da sempre per comprenderne i segreti più nascosti. Ma mai capito a fondo.
La morte. Drammatica. Imprevedibile. Ingiusta. Implacabile. Inevitabile.
Sono forse tra i misteri maggiormente studiati dalla scienza, dalla filosofia e dalle arti umane in genere.
Chiedersi come può comportarsi la mente di fronte alla morte, in quegli istanti prima dell’eterno trapasso è e rimarrà sicuramente una domanda senza risposta.
Partendo da questo presupposto, analizzare “Stay – nel labirinto della mente” è come cercare di spiegare il mistero che più di tutti attanaglia l’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra.
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La mente. Questo oggetto misterioso. Studiato da sempre per comprenderne i segreti più nascosti. Ma mai capito a fondo.
La morte. Drammatica. Imprevedibile. Ingiusta. Implacabile. Inevitabile.
Sono forse tra i misteri maggiormente studiati dalla scienza, dalla filosofia e dalle arti umane in genere.
Chiedersi come può comportarsi la mente di fronte alla morte, in quegli istanti prima dell’eterno trapasso è e rimarrà sicuramente una domanda senza risposta.
Partendo da questo presupposto, analizzare “Stay – nel labirinto della mente” è come cercare di spiegare il mistero che più di tutti attanaglia l’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra.
Il film si inquadra in un filone “artistico” del finale a sorpresa di cui uno splendido esempio ne è “Il sesto senso”. Forster sin dai primi fotogrammi dirige chiaramente lo spettatore verso il finale, tuttavia dopo la prima scena l’attenzione viene distolta nell’incedere del racconto, che man mano si fa sempre più complesso e “quasi” indecifrabile. Solo in conclusione il film può richiudersi su se stesso per concludere degnamente la pellicola e chiarire allo spettatore tutti i punti interrogativi che man mano erano rimasti sospesi.
Va sottolineato che più che sulla trama (buona ma non originalissima) il film si regge bene sulle interpretazioni dei protagonisti: ottimo il cast e su tutti spicca la performance di Ryan Goslin. Buona anche la direzione della regia che sa rendere perfettamente l’inquietudine e lo stato d’animo sempre più confuso del protagonista.
Per concludere, un buon film che sa farsi apprezzare.
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angela cinicolo
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venerdì 18 aprile 2008
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stay
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Thriller psicopatico, più che psicologico, Stay è un videoclip artificioso con la durata di un lungometraggio. La regia dell’ex Neverland-maker oscilla tra visioni alla mescalina che ricordano NBK mentre le girandole del montaggio emulano Insomnia e certe produzioni scialbe di Mtv. Il soggetto del film fa il verso a Il sesto senso, con il quale però non ha nulla in comune: Ewan McGregor è per l’ennesima volta fuori posto, malgrado faccia coppia con una Naomi Watts, palesemente instabile, il plot è pretenzioso e generoso nei colpi di scena ma confusionario, infine sciorinare temi freudiani dandoci in pasto citazioni gratuite è uno stimolo abbastanza forte alla tentazione di bistrattare non senza facile snobbismo questa pellicola tanto opaca.
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