andrea
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martedì 27 novembre 2001
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figures nel "nulla" 2
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E’ indicativo che le uniche figures umane con le quali Shaw e McDowell vengano a contatto per un tempo più dilatato di quello sufficiente a uccidere siano un morto imbalsamato sul letto e la madre vegliante e impazzita/immobilizzata (e “immobile” come i due) dal dolore che “urla nella paralisi” quando vede sottratto il suo unico sollievo/appiglio (il cibo offerto al morto/al regno dei morti in una ritualità atavica che richiama alla mente una cerimonia funebre egizia). Cinema della solitudine, del raccoglimento su essa che raggiunge la sua intensità massima nei lunghi piani-sequenza panoramici sul “landscape” (“(e)scape” = fuga, scampo).
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E’ indicativo che le uniche figures umane con le quali Shaw e McDowell vengano a contatto per un tempo più dilatato di quello sufficiente a uccidere siano un morto imbalsamato sul letto e la madre vegliante e impazzita/immobilizzata (e “immobile” come i due) dal dolore che “urla nella paralisi” quando vede sottratto il suo unico sollievo/appiglio (il cibo offerto al morto/al regno dei morti in una ritualità atavica che richiama alla mente una cerimonia funebre egizia). Cinema della solitudine, del raccoglimento su essa che raggiunge la sua intensità massima nei lunghi piani-sequenza panoramici sul “landscape” (“(e)scape” = fuga, scampo). Claustrofobia dello sguardo (land-scape/scope, dove quest’ultimo non è solo nella sua bidimensionale altezza-larghezza “campo” ma anche, nella sua delimitazione, nella sua soffocante finitezza, tridimensionalmente “sfera”), se possibile, ancora più sottile che nella palese claustrofobia ambientale dei due film con Bogarde citati. Cinema degli spazi che si fa cinema delle fessure (nel terreno), dei cespugli, delle protettive caverne, cinema chiuso, asfittico di “nowhere men” (avrebbe detto Lennon in fase depressivo/beatlesiana) che fuggono dal nulla verso il nulla, da loro stessi per (ri)trovar(si) sempre ad ogni svolta, con le proprie debolezze, ipocrisie, con la propria “moralità” (Shaw che “fa la predica” a McDowell maniaco sessuale, lui che è un assassino, sentendosi in diritto solo perché ha due figlie “papabili”!). McDowell, maniaco sessuale “sulla carta” si prepara ad esserlo “in actu” sulla pellicola al ritmo del kellyano “singin’ in the rain” l’anno successivo con l’”Alessandro Magno” di Kubrick, mentre 5 anni dopo Shaw tornerà ad una tragica morte (qui “nel”, là “verso il”) finale, divorato/squartato dalle mandibole (“Jaws”) del “leviatano” spielberghiano.
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andrea
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martedì 27 novembre 2001
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figures nel "nulla" 3
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Cinema spoglio (quasi privo di accompagnamento musicale, come se in quanto “accompagnamento” potesse suggerire una qualche forma di sollievo dalla solitudine ai due) fatto quasi esclusivamente di duri, tronchi e disperati dialoghi, franare di terreno, agitarsi di cespugli, bruciare di campi coltivati, scrosci d’acqua, colpi di fucile e raffiche di mitra ma sempre in una fisicità visiva astraente, che non porta a sentire su di sé i personaggi. Cinema polveroso come l’ostile e brullo landscape dominante (a parte il bellissimo e lentissimo piano-sequenza panoramico sul corpo/macchia rossa sulla neve bianca di Shaw e, a seguire, su McDowell, sui soldati di frontiera e sul paesaggio di rocce innevate) e la polvere e il fumo bruciato/bruciante turbinantemente sollevati dalle pale dell’elicottero.
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Cinema spoglio (quasi privo di accompagnamento musicale, come se in quanto “accompagnamento” potesse suggerire una qualche forma di sollievo dalla solitudine ai due) fatto quasi esclusivamente di duri, tronchi e disperati dialoghi, franare di terreno, agitarsi di cespugli, bruciare di campi coltivati, scrosci d’acqua, colpi di fucile e raffiche di mitra ma sempre in una fisicità visiva astraente, che non porta a sentire su di sé i personaggi. Cinema polveroso come l’ostile e brullo landscape dominante (a parte il bellissimo e lentissimo piano-sequenza panoramico sul corpo/macchia rossa sulla neve bianca di Shaw e, a seguire, su McDowell, sui soldati di frontiera e sul paesaggio di rocce innevate) e la polvere e il fumo bruciato/bruciante turbinantemente sollevati dalle pale dell’elicottero. Un cinema glaciale quello loseyano (anche quando “si dibatte” nella polvere) che trova la sua conferma visivo/ambientale/tattile nella neve, nel ghiaccio freddo e tagliente del finale, acqua congelata bianca e immacolata come il paradiso o il nulla. Un cinema fatto con nulla, nel nulla, ma non per nulla.
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martedì 27 novembre 2001
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figures nel "nulla" 1
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“Figures in a landscape” (“Caccia sadica”). Figure/forme/immagini/”disegni” in un paesaggio. Già nel titolo l’indefinitezza dei due protagonisti, il loro essere spogliati della loro tridimensionalità per diventare disegni, forme, figure astratte/esatte ed esattamente collocabili nello spazio dell’inquadratura per essere studiate/analizzate senza possibilità d’errore e diventare così nella mani di Losey magistrali metafore delle sofferenze dell’umanità intera a relazionare al suo interno. La loro indeterminatezza paradigmatica e la disperata e impossibile fuga da sè stessi verso l’ignoto, il non conoscibile/vedibile. Lo spazio chiuso/aperto dell’inquadratura, il set come tela (schermica e di tessuto) sulla quale tessere trame che s’inviluppano inestricabilmente su sè stesse.
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“Figures in a landscape” (“Caccia sadica”). Figure/forme/immagini/”disegni” in un paesaggio. Già nel titolo l’indefinitezza dei due protagonisti, il loro essere spogliati della loro tridimensionalità per diventare disegni, forme, figure astratte/esatte ed esattamente collocabili nello spazio dell’inquadratura per essere studiate/analizzate senza possibilità d’errore e diventare così nella mani di Losey magistrali metafore delle sofferenze dell’umanità intera a relazionare al suo interno. La loro indeterminatezza paradigmatica e la disperata e impossibile fuga da sè stessi verso l’ignoto, il non conoscibile/vedibile. Lo spazio chiuso/aperto dell’inquadratura, il set come tela (schermica e di tessuto) sulla quale tessere trame che s’inviluppano inestricabilmente su sè stesse.
Di nuovo cinema da camera quello loseyano dopo “Il servo” e “L’incidente” (con il suo attore-feticcio Bogarde, sfruttato [«gli attori sono bestiame» Hitch] mai così bene neanche da Visconti nei successivi “Morte a Venezia”e nel mastodontico-leonianamente fallito/irrisolto “La caduta degli dei”), dove la camera è negli spazi aperti di “un’isola (di terra, fango, roccia, granturco, arbusti, neve) che non c’è” e verso i cui “bordi che non si raggiungono” tendono i due fuggiaschi. Isola che “non si sa dov’è” (geniale l’idea della sceneggiatura di Losey e del protagonista-sceneggiatore Shaw di eliminare l’ambientazione vietnamita definita/delimitata e renderla vagante/illimitata/incollocabile/“indefinibile”). Cinema immerso in una natura che dovrebbe rendere “ariosa”/“aerea” la m.d.p. come una skycam e che Losey sembra infatti lasciar roteare, far panoramiche, dolly, gru, louma e che invece è soffocata lei stessa dal suo controllo assoluto, “senza scampo”, come le figures che spia, che insegue sadicamente “assieme” all’elicottero(“video-gioco”)/deus ex machina/sorta di monolite nero kubrickiano nella sua simbolica inconoscibilità, che assieme scavano come mente e braccio (la m.d.p.) e braccio/alter ego (la fisicità dell’elicottero) le psicologie dei protagonisti e con pari crudeltà, al tempo stesso, scavano loro la fossa.
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