Al funerale della civiltà contadina in Italia, metaforicamente incarnata dalla madre defunta, si presentano, all’inizio degli anni ’80, in un piccolo borgo della Puglia ancora rurale, i tre fratelli orfani, ormai adottati dall’industrializzato nord alle prese con il terrorismo delle opposte fazioni nella logica della strategia della tensione, la classe operaia, Michele Placido, il ceto medio della piccola e media borghesia, rispettivamente l’intellettuale utopista, Vittorio Mezzogiorno nella parte dell’educatore del carcere minorile, forse un alter ego di Rosi, ed il magistrato integerrimo, interpretato da Philippe Noiret. Un atipico Rosi, noto soprattutto per l’asprezza e la severità dei suoi film inchiesta, si concede una pausa abbandonandosi al patetismo nostalgico per riflettere sulla realtà politico sociale dei suoi giorni vissuta attraverso un dramma familiare.
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Al funerale della civiltà contadina in Italia, metaforicamente incarnata dalla madre defunta, si presentano, all’inizio degli anni ’80, in un piccolo borgo della Puglia ancora rurale, i tre fratelli orfani, ormai adottati dall’industrializzato nord alle prese con il terrorismo delle opposte fazioni nella logica della strategia della tensione, la classe operaia, Michele Placido, il ceto medio della piccola e media borghesia, rispettivamente l’intellettuale utopista, Vittorio Mezzogiorno nella parte dell’educatore del carcere minorile, forse un alter ego di Rosi, ed il magistrato integerrimo, interpretato da Philippe Noiret. Un atipico Rosi, noto soprattutto per l’asprezza e la severità dei suoi film inchiesta, si concede una pausa abbandonandosi al patetismo nostalgico per riflettere sulla realtà politico sociale dei suoi giorni vissuta attraverso un dramma familiare. Ne esce un ritratto della società dell’epoca vista dalla prospettiva della bucolica vita di paese dove ancora sopravvivono, almeno negli anziani, i valori di un tempo simbolicamente rappresentati da un piccolo albero avvizzito in un cortiletto interno della vecchietta amica della madre. Rosi indugia a lungo nella sequenza finale sul vecchio vedovo, un grande Charles Vanel, che si avvia lentamente verso casa tenendo per mano la nipotina, aprendosi così il film alla speranza che le cose cambieranno grazie alla sensibilità delle future generazioni. Rosi, come il suo personaggio sognatore, non ammette, o non vede lucidamente, trovandosi nel mezzo del guado turbolento, l’irreversibilità di quel processo di disintegrazione morale della società italiana iniziato nel dopoguerra ed arrivato al suo compimento ai nostri giorni. Oramai giunti sull’altra riva piangiamo con Rosi ed i suoi tre fratelli la morte della nostra antica civiltà contadina.
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