gmigliori
|
domenica 19 aprile 2020
|
una convincente alternativa al "neorealismo rosa"
|
|
|
|
Lazio, anni ’50: la storia della poverissima e sprovveduta Celestina, catapultata - alla ricerca di un lavoro - dal montano paesello di Castelluccio a Roma, grande metropoli che nel dopoguerra sta espandendo velocemente le sue tentacolari periferie. E le possibilità di impiego non mancano di certo: Celestina attraverserà numerose esperienze lavorative come serva, sempre sfruttata e spesso umiliata da padrone di diversa estrazione sociale, tutte dispotiche ed esigentissime nei suoi confronti. Parallelamente procede la sua iniziazione (mediata dalle più esperte amiche domestiche che prima la emarginano poi la integrano nel loro gruppo) dallo stato iniziale di “barbarie” a quello di cittadina civilizzata e all’amore.
[+]
Lazio, anni ’50: la storia della poverissima e sprovveduta Celestina, catapultata - alla ricerca di un lavoro - dal montano paesello di Castelluccio a Roma, grande metropoli che nel dopoguerra sta espandendo velocemente le sue tentacolari periferie. E le possibilità di impiego non mancano di certo: Celestina attraverserà numerose esperienze lavorative come serva, sempre sfruttata e spesso umiliata da padrone di diversa estrazione sociale, tutte dispotiche ed esigentissime nei suoi confronti. Parallelamente procede la sua iniziazione (mediata dalle più esperte amiche domestiche che prima la emarginano poi la integrano nel loro gruppo) dallo stato iniziale di “barbarie” a quello di cittadina civilizzata e all’amore. A un certo punto si pone un dilemma tra un aitante idraulico un po’ troppo focoso e intraprendente (il divo Gabriele Ferzetti, il cui nome nei titoli di testa precede significativamente quello della vera protagonista, la brava Irene Galter) e un questurino certo meno affascinante, ma sicuramente configurabile come più rassicurante “buon partito”. Celestina segue la voce del cuore e sull’onda del sentimento si lascia andare ad alcune leggerezze ed imprudenze che pagherà a carissimo prezzo. In definitiva il rito di iniziazione si risolve in degradazione morale, avvilimento, come se la grande Roma avesse fagocitato la piccola montanara inesperta.
Il tutto raccontato da Pietrangeli con sobrietà e oggettivo distacco, senza facili moralismi o aprioristiche condanne morali, attraverso personaggi ben delineati nelle loro ambivalenza e complessità psicologica: la classica suddivisione melodrammatica tra buoni e cattivi in questo film non è affatto così scontata. Pertanto ci troviamo di fronte a un’autentica tranche de vie, raccontata con convincente realismo, amarezza ma anche qualche timida apertura verso una possibilità di riscatto e di una vita migliore.
Il film presenta numerosi motivi di interesse di ordine storico e sociologico che ne rendono ancora raccomandabile e interessante la visione. In primis troviamo un quadro molto verosimile della vita nelle borgate romane all’inizio degli anni ’50, colte in un momento post-ricostruzione bellica di ripresa economica. Poi una attenta analisi sociologica della borghesia e dell’aristocrazia romana, colta nelle sue diverse componenti e tipologie umane e in particolare del rapporto squilibrato e iniquo tra ricchi e poveri, tra borghesi e contadini.
Il limite forse più vistoso sta nell’evidente squilibrio tra una prima parte, tutta coerentemente impostata sui temi sociali di cui ho appena detto e una seconda parte più dilatata in cui si verifica un evidente cedimento e ripiegamento su più convenzionali e abusati motivi sentimentali, tra i quali in particolare il tema della “sedotta e abbandonata”, ovvero delle inevitabili e disastrose conseguenze di ogni minimo cedimento sentimentale da parte di una “ragazza da marito”. In ogni caso, in questa lusinghiera opera prima gli spunti interessanti e le buone intuizioni di regia prevalgono decisamente sui punti deboli e rendono altamente consigliabile la visione del film.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gmigliori »
[ - ] lascia un commento a gmigliori »
|
|
d'accordo? |
|
stefano capasso
|
sabato 3 dicembre 2022
|
i sogni infranti dei giovani del dopoguerra
|
|
|
|
La giovane Celestina emigra dal suo piccolo paese contadino a Roma, in cerca di un futuro migliore. Ma per i primi tempi deve fare i conti con la dura realtà dell’unico mestiere che le è possibile fare al momento, quello della “servetta”, presso famiglie agiate. Spera di trovare una via d’uscita nell’amore, ma proprio questo sarà causa dei suoi dolori, che le imporranno di affrontare la vita in modo diverso.
Il primo film di Antonio Pietrangeli è innanzitutto un film di importante valore storico. Vediamo Roma appena uscita dalla guerra, e in fase di ricostruzione, cominciano a emergere nelle periferie i primi palazzoni, che non hanno ancora molto in comune con le stradine del centro.
[+]
La giovane Celestina emigra dal suo piccolo paese contadino a Roma, in cerca di un futuro migliore. Ma per i primi tempi deve fare i conti con la dura realtà dell’unico mestiere che le è possibile fare al momento, quello della “servetta”, presso famiglie agiate. Spera di trovare una via d’uscita nell’amore, ma proprio questo sarà causa dei suoi dolori, che le imporranno di affrontare la vita in modo diverso.
Il primo film di Antonio Pietrangeli è innanzitutto un film di importante valore storico. Vediamo Roma appena uscita dalla guerra, e in fase di ricostruzione, cominciano a emergere nelle periferie i primi palazzoni, che non hanno ancora molto in comune con le stradine del centro. Al ceto sociale elevato di lunga data, si affiancano i nuovi ricchi, perlopiù commercianti o professionisti che però mantengono modi e maniere inadeguati al nuovo status: il ceto medio ancora non è definito.
In questo panorama la storia di Celestina è esemplare del mondo in cambiamento: i giovani sognano qualcosa di più di quanto avuto sin ora e se le donne vedono nell’amore la possibilità di farsi una vita, gli uomini non risultano sempre altrettanto affidabili, soprattutto quelli che mirano alla scalata sociale. Nell’incontro tra due giovani con obiettivi che non coincidono si svolge il dramma della protagonista, pedinata, come vuole il neorealismo di cui il film ancora porta tracce, in tutto il suo peregrinare infruttuoso. Per la protagonista, si tratta di una vera esperienza di formazione, e tutto sommato anche per il protagonista, mostrato anch’egli al netto di facili moralismi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a stefano capasso »
[ - ] lascia un commento a stefano capasso »
|
|
d'accordo? |
|
figliounico
|
domenica 3 settembre 2023
|
un inno corale alla vita
|
|
|
|
Uno spaccato della società italiana degli anni ’50 nell’esordio già maturo di Antonio Pietrangeli con una commedia drammatica in stile neorealista, sebbene girata con attori professioni e Gabriele Ferzetti e Irene Galter come protagonisti, attraverso le peripezie di una ragazza costretta dalla povertà ad abbandonare il suo piccolo paese di montagna, Castelluccio di Norcia, per andare a servizio a Roma. Un film che a distanza di settant’anni oltre ad essere ancora piacevole da guardare rimane un documento prezioso per capire come eravamo o meglio come gli italiani amavano vedersi rappresentati al cinema, nell’occasione, visti attraverso gli occhi di un giovane cineasta. Era l’Italia dei buoni sentimenti dove le differenze sociali non erano ancora percepite come odiose ed il popolo, emblematicamente rappresentato in questo film dalle donne di servizio provenienti dalle più diverse regioni, aveva una sua dignità, conservava i valori della tradizione contadina pur vivendo in città, non ancora omologato nella massificazione urbana che di lì a poco lo avrebbe trasformato in squallido sottoproletariato.
[+]
Uno spaccato della società italiana degli anni ’50 nell’esordio già maturo di Antonio Pietrangeli con una commedia drammatica in stile neorealista, sebbene girata con attori professioni e Gabriele Ferzetti e Irene Galter come protagonisti, attraverso le peripezie di una ragazza costretta dalla povertà ad abbandonare il suo piccolo paese di montagna, Castelluccio di Norcia, per andare a servizio a Roma. Un film che a distanza di settant’anni oltre ad essere ancora piacevole da guardare rimane un documento prezioso per capire come eravamo o meglio come gli italiani amavano vedersi rappresentati al cinema, nell’occasione, visti attraverso gli occhi di un giovane cineasta. Era l’Italia dei buoni sentimenti dove le differenze sociali non erano ancora percepite come odiose ed il popolo, emblematicamente rappresentato in questo film dalle donne di servizio provenienti dalle più diverse regioni, aveva una sua dignità, conservava i valori della tradizione contadina pur vivendo in città, non ancora omologato nella massificazione urbana che di lì a poco lo avrebbe trasformato in squallido sottoproletariato. Pietrangeli racconta una storia comune, una come tante in quel primo dopoguerra quando i paesi si svuotavano e gli uomini emigravano all’estero, come i due fratelli della protagonista che partono per l’Australia, e nel contempo ci mostra dall’interno la vita di tre famiglie appartenenti a tre diversi ceti sociali, quella della media borghesia impiegatizia del piccolo funzionario, Paolo Stoppa, che trasloca nella nuova casa nel quartiere Flaminio, simbolo dell’agognato benessere economico, della nobiltà fatua e annoiata dei Monti Parioli e quella popolana del commerciante arricchito che si può permettere due mesi di vacanza a Ladispoli. Sono tre quadretti familiari appena abbozzati con mano felice da grande artista quale era Pietrangeli che hanno tutte le caratteristiche per essere tre commedie autonome e differenti ma che nel film fungono soltanto da contorno alla storia principale, che da dramma individuale assume suggestivamente nella sequenza finale, nel semplice chiacchiericcio gioioso delle domestiche riunite fuori l’ospedale, il tono poetico di un inno corale alla vita.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a figliounico »
[ - ] lascia un commento a figliounico »
|
|
d'accordo? |
|
|