giovanni modica
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giovedì 15 settembre 2005
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un capolavoro
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Continuamente sospeso tra sacro e profano, questo provocatorio e dissacrante film ha un impatto emotivo fortissimo sullo spettatore. Parla dei contrasti di un'Italia da troppo poco tempo entrata nel benessere industriale, ma con sacche nascoste di superstizione e di barbarie. E' presente anche il contrasto di civiltà nord-sud inquadrabile nel personaggio della Bouchet, indicata come simbolo di peccato da gente di un paesino del sud che hanno ben poco di umano. Azzeccato il binomio sole accecante-violenza, con un risultato finale dirompente e realistico. Nulla è edulcorato e quel che viene fuori è un'opera d'arte su un momento di transizione della nostra storia in cui civiltà opposte, arcaicità (anche mentale) e sviluppo, convivevano ignorandosi.
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Continuamente sospeso tra sacro e profano, questo provocatorio e dissacrante film ha un impatto emotivo fortissimo sullo spettatore. Parla dei contrasti di un'Italia da troppo poco tempo entrata nel benessere industriale, ma con sacche nascoste di superstizione e di barbarie. E' presente anche il contrasto di civiltà nord-sud inquadrabile nel personaggio della Bouchet, indicata come simbolo di peccato da gente di un paesino del sud che hanno ben poco di umano. Azzeccato il binomio sole accecante-violenza, con un risultato finale dirompente e realistico. Nulla è edulcorato e quel che viene fuori è un'opera d'arte su un momento di transizione della nostra storia in cui civiltà opposte, arcaicità (anche mentale) e sviluppo, convivevano ignorandosi. Narrato con un raffinatissimo congegno giallo-poliziesco,il film è rimasto nei decenni insuperato e insuperabile.
Giovanni Modica
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giorgio berlusconi
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mercoledì 19 luglio 2006
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uno dei migliori prodotti italiani
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Un film per anni ingiustamente svalutato e poco considerato, all’uscita addirittura duramente contestato dai soliti cattolici fanatici, per le tendenze velatamente pedofile e omosessuali del colpevole. Il vespaio di polemiche suscitato portò ad inevitabili tagli censori, soprattutto in tre sequenze: quella in cui Barbara Bouchet, completamente nuda, cerca di provocare un bambino; la scena del massacro della Bolkan ad opera di alcuni paesani inferociti (tra cui compare lo stesso Fulci) ed, infine, proprio nelle sequenze finali in cui si assiste alla cruenta morte dell'assassino. Per la “morbosa” - così fu definita - scena della Bouchet nuda di fronte al bambino Fulci si servì di una controfigura: un nano che prese parte a tutte le sequenze in cui l’attrice compariva senza veli.
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Un film per anni ingiustamente svalutato e poco considerato, all’uscita addirittura duramente contestato dai soliti cattolici fanatici, per le tendenze velatamente pedofile e omosessuali del colpevole. Il vespaio di polemiche suscitato portò ad inevitabili tagli censori, soprattutto in tre sequenze: quella in cui Barbara Bouchet, completamente nuda, cerca di provocare un bambino; la scena del massacro della Bolkan ad opera di alcuni paesani inferociti (tra cui compare lo stesso Fulci) ed, infine, proprio nelle sequenze finali in cui si assiste alla cruenta morte dell'assassino. Per la “morbosa” - così fu definita - scena della Bouchet nuda di fronte al bambino Fulci si servì di una controfigura: un nano che prese parte a tutte le sequenze in cui l’attrice compariva senza veli. La controfigura veniva ripresa solo di spalle quindi si staccava sul primo piano del volto del bimbo. Per questa sequenza Fulci fu addirittura incriminato e dovette spiegare dinnanzi al giudice di aver usato questi “espedienti” per evitare che il fanciullo prendesse parte alle scene di nudo. “Non si Sevizia un Paperino” descrive una realtà tipica dell’Italia del Sud, cioè una comunità in cui vigono ancora tradizioni arcaiche come la superstizione e la iettatura e nella quale si respira un’aria mista di sacro e profano. Quello che più affascina è l’inusuale messinscena di immagini di un romanticismo nero e disperato. A tal proposito basti ricordare la sequenza dell’uccisione della Bolkan, massacrata mentre in sottosfondo passa “Quei giorni insieme a te” cantata da Ornella Vanoni. Nel cast da segnalare, oltre alla presenza delle già citate Florinda Bolkan e Barbara Bouchet, quella di un giovanissimo ed irriconoscibile Thomas Milian.
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stefano franzoni
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martedì 23 settembre 2008
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l'orrore alla luce del sole
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Tra i caldi campi e le amene valli della Lucania stanno cominciando a trovare spazio grandi strade ed enormi ponti. Ma là dove il progresso si sta prepotentemente facendo strada rimane in vita la retrograda ed ottusa mentalità di provincia, fatta di superstizioni ed irrazionali credenze. Così, non appena in un antico paesino vengono ammazzati alcuni bambini, è spontaneo per ogni paesano seguire alla ceca i primi sospetti e puntare il dito contro i membri meno "conformi" della comunità: lo scemo, la fattucchiera("maciara") o la giovane, ricca ed eccentrica giunta di recente da Milano. "Non si sevizia un paperino" è un film corale, senza un protagonista vero. Non lo è il curioso giornalista Andrea Martelli (interpretato da Tomas Milian), nè la "maciara" o la splendida Patrizia (Barbara Bouchet), giovane ereditiera milanese con passati problemi di droga in Lucania per volontà del padre.
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Tra i caldi campi e le amene valli della Lucania stanno cominciando a trovare spazio grandi strade ed enormi ponti. Ma là dove il progresso si sta prepotentemente facendo strada rimane in vita la retrograda ed ottusa mentalità di provincia, fatta di superstizioni ed irrazionali credenze. Così, non appena in un antico paesino vengono ammazzati alcuni bambini, è spontaneo per ogni paesano seguire alla ceca i primi sospetti e puntare il dito contro i membri meno "conformi" della comunità: lo scemo, la fattucchiera("maciara") o la giovane, ricca ed eccentrica giunta di recente da Milano. "Non si sevizia un paperino" è un film corale, senza un protagonista vero. Non lo è il curioso giornalista Andrea Martelli (interpretato da Tomas Milian), nè la "maciara" o la splendida Patrizia (Barbara Bouchet), giovane ereditiera milanese con passati problemi di droga in Lucania per volontà del padre. Lo sono, più di tutti, i bambini, che esprimono con i loro occhi una gran varietà d'emozioni, dalle risa dei calcetti all'oratorio al terrore di fronte alla morte. In questo contesto opera una polizia diversa dai suoi simili cinematografici, che ragiona e va al di là delle apparenze, lasciando sempre una seconda opportunità alla verità e combattendo con la volontà del volgo di trovare un colpevole a tutti i costi. Lucio Fulci, addentrandosi nel tetro regno del cinema del terrore, confeziona un meritevole thriller rurale e originale, atipico per la sua ambientazione principalmente diurna e provinciale, ed anticipa di 4 anni "La casa dalle finestre che ridono" di Avati, altra opera che fa onore al cinema horror del nostro Bel Paese e che si accosta a "Non si sevizia un paperino" per molti aspetti. Fulci risvolta come un pugno nello stomaco la comune idea dell'idilliaca provincia, lontana anni luce dai delitti,le rapine e i fatti di cronaca delle grandi città, quasi a voler svelare la triste verità che purtroppo l'orrore è ovunque, anche nei luoghi che da esso ci dovrebbero salvare... Non più i bui vicoli delle metropoli, le lunghe notti scure e senza stelle, ma il giorno, il sole e le ampie vallate senza ombra. Siamo ancora lontani dalle esplosioni di sangue degli horror che seguiranno ma qualche risvolto macabro lo troviamo anche qui, in due scene da citare. La prima è la sequenza finale, che purtroppo toglie pathos alla narrazione a causa dei disastrosi effetti speciali. Efficace è invece la scena madre del linciaggio, che nel suo coniugare selvaggia ferocia e fredda razionalità crea nello spettatore un forte senso di disagio. Da menzionare infine la modernissima casa di Patrizia, dal design futuristico, che stride con le bianche e vecchissime casette locali e la conturbante scena in cui la giovane, sdraiata nuda su una poltrona reclinabile, invita un bambino a portargli l'aranciata. Come non immedesimarsi nei pensieri di un bambino troppo timido per guardarla e troppo curioso per non farlo. Un film che colpisce per il suo rifuggire stereotipi e banalità, sia a livello narrativo che fotografico. Una buona opera sotto ogni aspetto. Da riscoprire.
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kowalsky
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sabato 3 giugno 2006
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romanticismo nero alla fulci.
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Un film diretto magistralmente dove il regista si diverte a depistare lo spettatore come i carabinieri nel film, che si ritrovano a fare i conti con la paura. La stessa paura trova fondamento nel sacro e profano, in quelle arcaiche credenze radicate nella cultura degli abitanti di un paesino del Sud. A suo modo tutti i protagonisti ne sono vittime, oltre ai ragazzini assassinati. La megera, ritratta con romanticismo cupo, che dovrebbe essere la fautrice del massacro in realtà è la vittima principale. Fulci,pur basandosi sui pochi elementi che un paesino può dare, riesce a ritrarre un mondo dove non c'è via di scampo o di "redenzione", dove non ci sono certezze. Una realtà tangibile che soffoca (il personaggio della Bouchet che vive esiliata e non riesce a legare con la popolazione).
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Un film diretto magistralmente dove il regista si diverte a depistare lo spettatore come i carabinieri nel film, che si ritrovano a fare i conti con la paura. La stessa paura trova fondamento nel sacro e profano, in quelle arcaiche credenze radicate nella cultura degli abitanti di un paesino del Sud. A suo modo tutti i protagonisti ne sono vittime, oltre ai ragazzini assassinati. La megera, ritratta con romanticismo cupo, che dovrebbe essere la fautrice del massacro in realtà è la vittima principale. Fulci,pur basandosi sui pochi elementi che un paesino può dare, riesce a ritrarre un mondo dove non c'è via di scampo o di "redenzione", dove non ci sono certezze. Una realtà tangibile che soffoca (il personaggio della Bouchet che vive esiliata e non riesce a legare con la popolazione). Infine il film risulta godibillisimo e senza cadute di tono, la suspence è sempre viva fino al finale.
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paolo 67
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sabato 7 luglio 2012
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alla faccia dei critici e degli psicologi
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Forse il miglior film di Lucio Fulci, ebbe a suo tempo un processo- da cui, con un minimo di furbizia da parte di Fulci venne assolto- per la scena in cui Barbara Bouchet si mostra nuda a un bambino (in realtà un nano maggiorenne, Domenico Semeraro, noto come il “nano della stazione”, un imbalsamatore che finirà tragicamente sulle cronache per il suo omicidio da parte dell'amante). Il film è la prova dello straordinario talento di Lucio Fulci nell'inventare un tipo di paura cinematografica non debitrice di altri (lo stesso Dario Argento deve molto non tanto a Hitchcock o Lang, ma a Mario Bava). Il regista svolge un chiaro, duro, polemico discorso contro l'arretratezza di una parte dell'Italia in preda all'ignoranza, al pregiudizio nei confronti del diverso, al fanatismo religioso e ai suoi legami con un morboso erotismo (cosa che gli provocò duri attacchi da parte dei cattolici).
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Forse il miglior film di Lucio Fulci, ebbe a suo tempo un processo- da cui, con un minimo di furbizia da parte di Fulci venne assolto- per la scena in cui Barbara Bouchet si mostra nuda a un bambino (in realtà un nano maggiorenne, Domenico Semeraro, noto come il “nano della stazione”, un imbalsamatore che finirà tragicamente sulle cronache per il suo omicidio da parte dell'amante). Il film è la prova dello straordinario talento di Lucio Fulci nell'inventare un tipo di paura cinematografica non debitrice di altri (lo stesso Dario Argento deve molto non tanto a Hitchcock o Lang, ma a Mario Bava). Il regista svolge un chiaro, duro, polemico discorso contro l'arretratezza di una parte dell'Italia in preda all'ignoranza, al pregiudizio nei confronti del diverso, al fanatismo religioso e ai suoi legami con un morboso erotismo (cosa che gli provocò duri attacchi da parte dei cattolici). Ispirato alla realtà (una serie di omicidi di bambini avvenuti a Bitonto nel 1971) rivela nello sguardo l'orrore di un anima candida come Lucio Fulci di fronte alla tragedia e al male e il bisogno di catarsi attraverso l'immaginario (nota la sua polemica coll'associazione psicologi, che aveva imputato ai film violenti -una colossale trombonata, mi permetto di osservare- comportamenti emulatori). Mi sembra di aver visto in una scena qualcosa che può aver ispirato Stanley Kubrick per “Shining”. Quando avremo rivalutato pienamente i nostri autori ci accorgeremo che non hanno niente da invidiare ai più celebrati (o fortunati, cosa che Fulci, che un giorno sarà considerato uno dei più grandi registi di tutti i tempi, in vita non è stato).
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francisco goya
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lunedì 30 dicembre 2013
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"un terrorista del genere"...e della critica!
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"Non si possono dare tre stellette a un film di Fulci": è la frase pronunciata da uno (ma pensata da molti) dei critici cinematografici italiani del secolo andato. E questa austerità reazionaria, questo disprezzo quasi censorio sono stati cifra caratterizzante di tanta intellighenzia critica nei confronti delle opere del Maestro, senza salvarne nessuna dal limbo del trash all'italiana. Con le dovute cautele, questo è lo stesso atteggiamento con cui molta critica ipocrita bandiva i film di Pier Paolo Pasolini, ad esempio quel gioiello intitolato "La ricotta", considerandoli oltraggiosi, irreligiosi, immorali. Ammesse le distanze siderali tra i due cineasti, questa analogia serve solo ad evidenziare gli errori spesso commessi ( e spesso taciuti) da quelle autorità culturali che potevano permettersi il lusso di giudicare pubblicamente opere altrui in modo sprezzante e presuntuoso, e persino di ottenere seguito, facendo nascere dei luoghi comuni.
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"Non si possono dare tre stellette a un film di Fulci": è la frase pronunciata da uno (ma pensata da molti) dei critici cinematografici italiani del secolo andato. E questa austerità reazionaria, questo disprezzo quasi censorio sono stati cifra caratterizzante di tanta intellighenzia critica nei confronti delle opere del Maestro, senza salvarne nessuna dal limbo del trash all'italiana. Con le dovute cautele, questo è lo stesso atteggiamento con cui molta critica ipocrita bandiva i film di Pier Paolo Pasolini, ad esempio quel gioiello intitolato "La ricotta", considerandoli oltraggiosi, irreligiosi, immorali. Ammesse le distanze siderali tra i due cineasti, questa analogia serve solo ad evidenziare gli errori spesso commessi ( e spesso taciuti) da quelle autorità culturali che potevano permettersi il lusso di giudicare pubblicamente opere altrui in modo sprezzante e presuntuoso, e persino di ottenere seguito, facendo nascere dei luoghi comuni. Uno di questi è che Lucio Fulci sia stato capace solo di produrre roba di "serie B", magari celando un eufemismo. Un altro grande maestro che ha dovuto fare i conti con questo stato di cose fu Mario Bava: molti dei suoi film sono stati dimenticati, mentre in America sarebbero diventati dei cult di risonanza mondiale.
Ma le nuove generazioni hanno dato torto a gran parte di questa critica salottiera, in cui spesso e volentieri il termine "critica" coincideva col sinonimo di disapprovazione, e non con quello di analisi. Le nuove generazioni dell'horror e del thriller amano Lucio Fulci, terrorista e magistrale artigiano dei generi; se proprio si ha bisogno di grandi nomi, anche se non servirebbero, si annoveri tra i giovani che lo hanno riscoperto e rivalutato un pazzoide un po' attempato come Quentin Tarantino.
Questa recensione non è finalizzata a smascherare nessuno, tanto meno ad assurgere al ruolo di "critica della critica" ma, senza nulla togliere all'autorevolezza dei recensori, per così dire, ufficiali, sarebbe necessario rimuovere completamente autocompiacimento e cliché, e questo alone di sadismo obbligato contro una personalità del cinema italiano che ha dato tanto e ricevuto poco ( spesso francesi, tedeschi, ma anche oltreoceano, hanno visto meglio di noi italiani, adottando quelle personalità che noi abbiamo abbandonato per molto tempo a causa della nostra cecità).
Lucio Fulci diceva di essere un terrorista dei generi (aggiungerei un regista sui generis, sgangherato, artaudiano, parossistico, geniale). Diceva che amava mettere quella bomba che faceva deflagrare il genere sino a deformarlo, a farlo diventare qualcosa di non categorizzabile e fortemente personale. Ora è diventato anche un terrorista della critica, implosa in se stessa dopo la sua resurrezione. Non ci sono fini apologetici, ma si guardi e si riguardi con attenzione "Non si sevizia un paperino", "Sette note in nero", "L'Aldilà" o anche qualcos'altro fin troppo presto cestinato come "La casa nel tempo", magari andando oltre le lacune oggettive, che pure esistono; magari pensando ad altri problemi oggettivi che attanagliavano il Maestro, come budget risibili, poca fiducia nelle sue capacità, disistima preventiva.
Un solo rimando al film: basta la scena del barbaro e straziante assassinio di Florinda Bolkan, sulle note di "Quei giorni insieme a te" di Ornella Vanoni, a far capire che ci si trova davanti a un grande film, meritevole di tre, magari anche di quattro stellette, qualora le stellette fossero davvero in grado di restituire simbolicamente il valore di un film.
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henry
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sabato 1 settembre 2007
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il film più abile di fulci
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A tutt'oggi, "Non si sevizia un paperino" rimane senza dubbio il lavoro più abile di Fulci. Un film che, attraverso un ritmo indiavolato, mescola sapientemente e in modo del tutto innovativo giallo, noir, horror e poliziesco in una cornice che più spaventosamente realistica non si può. Un film con un esordio sfortunato (Fulci ebbe problemi persino con il titolo del film) e con conseguenze ancora peggiori (fu censurato e attaccato duramente dai cattolici), ma che col passare del tempo è diventato un cult-movie stimato e ricercato (finalmente circola liberamente in dvd senza tagli o rimaneggiamenti). Fulci dimostra di avere mestiere nel creare la suspense e nell'esibire senza problemi la violenza: incredibilmente reale e sadica l'esecuzione della Bolkan sotto le note di "Quei giorni insieme a te" di Ornella Vanoni.
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A tutt'oggi, "Non si sevizia un paperino" rimane senza dubbio il lavoro più abile di Fulci. Un film che, attraverso un ritmo indiavolato, mescola sapientemente e in modo del tutto innovativo giallo, noir, horror e poliziesco in una cornice che più spaventosamente realistica non si può. Un film con un esordio sfortunato (Fulci ebbe problemi persino con il titolo del film) e con conseguenze ancora peggiori (fu censurato e attaccato duramente dai cattolici), ma che col passare del tempo è diventato un cult-movie stimato e ricercato (finalmente circola liberamente in dvd senza tagli o rimaneggiamenti). Fulci dimostra di avere mestiere nel creare la suspense e nell'esibire senza problemi la violenza: incredibilmente reale e sadica l'esecuzione della Bolkan sotto le note di "Quei giorni insieme a te" di Ornella Vanoni. Bellissima infine la ricostruzione di un ambiente in cui dominano solo ignoranza e superstizione: il paesino del sud è il teatro ideale per una messinscena veritiera e un'atmosfera morbosa e malsana. Bravi gli interpreti. Da non perdere.
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vincenzo carboni
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sabato 22 novembre 2008
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ponti, viadotti, tralicci...
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Ponti, viadotti, tralicci che salgono verso il cielo a sospendere vie di traffico sopra deserti di umanità. E’ questa la prima sequenza di ‘Non si sevizia un paperino’; una panoramica che culmina con uno zoom all’indietro fino ad arrivare al dettaglio della ‘maciara’ che scava la terra con le mani nude. Il viadotto sospeso lo ricordo come una immagine ricorrente nei film di Fulci (nello splendido finale di ‘Zombie 2’ gli zombie invadono New York dal ponte sospeso verso Manhattan mentre al livello inferiore il traffico metropolitano scorre tranquillo come in un giorno qualunque). Il viadotto è una arteria, è sospeso, incombente, indifferente. Chi passa sopra di esso -chiunque sia- non si cura di chi sta sotto; nè coloro che ne sono sovrastati si curano di ciò che passa in alto.
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Ponti, viadotti, tralicci che salgono verso il cielo a sospendere vie di traffico sopra deserti di umanità. E’ questa la prima sequenza di ‘Non si sevizia un paperino’; una panoramica che culmina con uno zoom all’indietro fino ad arrivare al dettaglio della ‘maciara’ che scava la terra con le mani nude. Il viadotto sospeso lo ricordo come una immagine ricorrente nei film di Fulci (nello splendido finale di ‘Zombie 2’ gli zombie invadono New York dal ponte sospeso verso Manhattan mentre al livello inferiore il traffico metropolitano scorre tranquillo come in un giorno qualunque). Il viadotto è una arteria, è sospeso, incombente, indifferente. Chi passa sopra di esso -chiunque sia- non si cura di chi sta sotto; nè coloro che ne sono sovrastati si curano di ciò che passa in alto. Sembra essere stato fatto per permettere un salto, per privare una volta di più dell’esperienza del viaggio e quindi dell’esperienza della visione (gli automobilisti –in quanto tali- si curano di vedere attraverso il parabrezza e non di deviare lo sguardo altrove, verso la ‘maciara’ morente sul ciglio della strada). La visione, appunto: forse parliamo di qualcosa di più del semplice vedere. E’ possibile dire che l’aspetto della visione è nel cinema un elemento paradossalmente (e ipnoticamente) accecante, e tutto il cinema di Fulci (compreso quello dignitosissimo di Franco e Ciccio se si considera il lavoro di visibilità bidimensionale fatto per questi due grandi attori) è stato un lavoro di dettaglio, quasi da patologo dell’occhio, per resistere a questo accecamento. Jean-Luc Nancy ha espresso una idea di cinema come volontà di dirigere meglio lo sguardo, e in questo senso Fulci ci ha aiutato a non deviare, a vedere la morte all’opera, a dirigere lo sguardo sulla violenza che non è mai astratta ma crudelmente –se mai fosse possibile il contrario- ‘incarnata’. La scena dell’omicidio della ‘maciara’ con la canzone di Ornella Vanoni a coprire ogni cosa (ma cosa deve essere coperto?), è proprio il viaggiare a doppio binario dell’occhio e della mente che dirige l’occhio, di una pressocchè totale assenza di simultaneità. Henry Bichat –fisiologo- in uno studio di inizio 800 dichiarava il proprio desiderio che il pensiero potesse avere l’agilità e la prontezza dell’occhio. Oggi possiamo forse dire che l’occhio acceca la mente, a meno che la mente non obblighi –come un carnefice- l’occhio a indulgere fino a che un pensiero possa formarsi. Come spiegare altrimenti la ‘benevola’ dedizione censoria a ‘tagliare’ (termine questo appropriato se si considera che ogni taglio sulla pellicola è un taglio inferto all’occhio-mente che vedrà) quelle scene che dovranno essere un ‘ponte’ –appunto- tra l’occhio e la mente. Il bambino che con la fionda colpisce la lucertola, la carne tranciata della ‘maciara’, sono queste il valore aggiunto della visione perché hanno il compito di creare una interruzione nel flusso linearmente visivo. Ci troviamo invece ad essere per lo più conducenti di un auto sospesi sopra un viadotto di cui non vediamo la terra su cui si posa, e tutto intorno a noi sembra volerci proteggere dallo scandalo di una visione impudica. Mi sono accorto che negli anni ho utilizzato spesso il cinema di Fulci (tutto il cinema di Fulci, non solo l’horror) come una palestra per educare il mio occhio a ‘vedere’. Di questo sono riconoscente a Fulci, ad uno degli uomini cioè –a mio avviso- più dotati di una speciale intelligenza visiva nel cinema italiano.
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paolo salvaro
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martedì 9 settembre 2014
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grande film di lucio fulci
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La valutazione di due stelle con cui il dizionario accoglie questo film è alquanto ingenerosa : il buon Lucio Fulci con i quattro soldi investiti per la realizzazione di questo film non avrebbe davvero potuto girare una pellicola migliore di questa. Lo si può tranquillamente collocare al terzo posto dei thriller italiani migliori mai realizzati, davanti a Sei donne per l'assassino del maestro Mario Bava, ma dopo La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati e Profondo Rosso di Dario Argento. Purtroppo il livello di quei due film è ineguagliabile anche per Lucio Fulci (che tra parentesi, ha diretto anche Sette note in nero che si difende assai bene).
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La valutazione di due stelle con cui il dizionario accoglie questo film è alquanto ingenerosa : il buon Lucio Fulci con i quattro soldi investiti per la realizzazione di questo film non avrebbe davvero potuto girare una pellicola migliore di questa. Lo si può tranquillamente collocare al terzo posto dei thriller italiani migliori mai realizzati, davanti a Sei donne per l'assassino del maestro Mario Bava, ma dopo La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati e Profondo Rosso di Dario Argento. Purtroppo il livello di quei due film è ineguagliabile anche per Lucio Fulci (che tra parentesi, ha diretto anche Sette note in nero che si difende assai bene).
Un astuto gioco di contrasti, assai più raffinato di quanto si possa pensare, sta alla base dell'intero film: inanzitutto da un lato l'innocenza dei bambini e dall'altra la corrotta anima dell'adulto. Questo è forse l'elemento più tangibile. Poi, il contrasto tra il mondo libertino e quello puritano, impersonati splendidamente dai personaggi chiave di Patrizia e del giovane prete. Ed ancora, da un lato la calma piatta e razionale degli uomini colti a cui fa da contraltare la ferocia animalesca ed a tratti primitiva del popolaccio. Chi vive in paesi di provincia assai piccoli ed un po' retrogradi come il mio, si riconoscerà sicuramente in quest'ultimo aspetto. Ed infine il conflitto forse più sottile : tra la vita semplice e pacifica (o presunta tale) di campagna e quella movimentata e frenetica della città, rappresentata dalla strada su cui la vettura della Bouchet corre a tutto gas, inquadrata solo per alcuni istanti. Essa ed il complesso di valori apparentemente malsani a cui sembra fare riferimento, rimangono sullo sfondo, il più lontano possibile dai paperini, la cui purezza non deve essere scalfita in nessun modo. Purtroppo è proprio dalle più buone intenzioni che si generano le più crudeli mostruosità.
Film assolutamente buono.
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apropositodicinema
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domenica 15 novembre 2015
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capolavoro del genere
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Probabilmente il film più importante nella lunga carriera di Lucio Fulci ed anche quello più apprezzato in generale.
A partire dall’ambientazione, inedita per un thriller italiano del periodo, il film di Fulci si differenzia molto dagli altri prodotti dello stesso genere realizzati negli anni 70: la violenza efferata (per l’epoca) e gli effetti splatter che, ancora oggi, impressionano e disgustano, e l’inserimento di elementi so[+]
Probabilmente il film più importante nella lunga carriera di Lucio Fulci ed anche quello più apprezzato in generale.
A partire dall’ambientazione, inedita per un thriller italiano del periodo, il film di Fulci si differenzia molto dagli altri prodotti dello stesso genere realizzati negli anni 70: la violenza efferata (per l’epoca) e gli effetti splatter che, ancora oggi, impressionano e disgustano, e l’inserimento di elementi sovrannaturali, erotici e altamente provocatori (Fulci all’epoca ricevette anche varie denunce).
La sceneggiatura non è perfetta, alcuni momenti del film fanno sorgere dei dubbi a livello di continuità della storia, ma la cosa più importante è che Fulci è riuscito a mostrare la paura e l’odio di un piccolo paesino, colpito da una grave tragedia come quella di tre bambini uccisi. Il film ci mostra la paranoia di questi paesani e la loro voglia di trovare un colpevole e di farsi giustizia da soli. La suspense regge, anche se la rivelazione finale è prevedibile, le interpretazioni sono buone, soprattutto quella della Bolkan nelle vesti della ‘maciara’ e la regia di Fulci è ottima.
‘Non si sevizia un paperino’ non è solo uno dei migliori film di Lucio Fulci, ma è anche uno dei thriller nostrani più importanti, più sconvolgenti e più accusatori dal punto di vista sociale.
Un capolavoro del genere.
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