jonnylogan
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mercoledì 10 maggio 2023
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i cattivi maestri
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Nel 2008 Gabriele Salvatores decise di proseguire la liaison con l’autore drammatico Niccolò Ammaniti. Una collaborazione iniziata nel 2003 con il successo di Io non ho paura, film che seppe portare l’autore di Mediterraneo, e della “trilogia della fuga”, al successo di pubblico e critica sino a mietere numerosi premi nazionali e non solo.
Il regista originario di Napoli in tal caso mette mano al romanzo probabilmente più celebre di Ammaniti, vincitore del premio Strega 2007, scrivendo a sei mani una sceneggiatura, assieme ai due anche Antonio Manzini, padre letterario di Rocco Schiavone, il cui risultato finale ci porta ben distante dalle distese di grano di Acque Traverse, in un territorio alpino altrettanto pieno di ombre.
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Nel 2008 Gabriele Salvatores decise di proseguire la liaison con l’autore drammatico Niccolò Ammaniti. Una collaborazione iniziata nel 2003 con il successo di Io non ho paura, film che seppe portare l’autore di Mediterraneo, e della “trilogia della fuga”, al successo di pubblico e critica sino a mietere numerosi premi nazionali e non solo.
Il regista originario di Napoli in tal caso mette mano al romanzo probabilmente più celebre di Ammaniti, vincitore del premio Strega 2007, scrivendo a sei mani una sceneggiatura, assieme ai due anche Antonio Manzini, padre letterario di Rocco Schiavone, il cui risultato finale ci porta ben distante dalle distese di grano di Acque Traverse, in un territorio alpino altrettanto pieno di ombre. Proponendo una narrazione lenta e nella quale diviene protagonista un amore totale verso un modo errato e violento di educare. Lo sguardo del quattordicenne Cristiano, impersonato dall’allora esordiente Alvaro Caleca, stranisce e rapisce, facendo perdere lo spettatore in un vortice di odio e amore, in cui violenza e coerenza la fanno da padroni e dove sono gli “ultimi” a poter dettare le regole di un gioco nel quale nessuno vince e dove tutti escono sconfitti.
Il buio e il gelo, esaltati da una fotografia dove sono i colori scuri e regnare sovrani, dettano la legge di una pellicola ove la lentezza con la quale i protagonisti si muovono pare non potersi spezzare mai; dove Filippo Timi, perfettamente calato nel ruolo di adepto dei regimi totalitari, dovrà ricredersi in merito all’educazione alla quale ha sottoposto il figlio. Dove il non luogo nel quale si muovono i personaggi è esaltato dalla mancanza di senso delle loro esistenze molto, anzi troppo, simili a quelle di migliaia di altri personaggi. In cui il mix fra il rapporto padre - figlio viene ad alternarsi con una storia tinta di giallo e dove sarà la figura di “Quattro Formaggi”, un Elio Germano come spesso accade sublime in un ruolo da disadattato, che funge da anticamera dei suoi successi seguenti, che alla fine lascerà non pochi dubbi sul vero senso della pellicola.
Non ultima prova di celluloide di Ammaniti, che di lì a qualche anno si ripresenterà sia sul grande schermo, grazie a Bernardo Bertolucci con Io e Te, sia sul piccolo con la serie Anna, da lui anche diretta. Ma di certo una prova che merita di essere recuperata perché rappresenta un perfetto mix di riflessioni e thrilling.
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great steven
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giovedì 7 luglio 2016
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viaggio ricco d'amarezza ma non privo di speranza.
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COME DIO COMANDA (IT, 2008) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FILIPPO TIMI, ALVARO CALECA, ELIO GERMANO, ANGELICA LEO, FABIO DE LUIGI
Salvatores e Niccolò Ammaniti, autore del libro omonimo da cui il film è tratto, sono alla loro seconda collaborazione, dopo Io non ho paura (2003), e questa volta l’esperimento, rispetto a quel primo e fortunato episodio, non è stato altrettanto brillante. Il romanzo di Ammaniti si compone di 495 pagine, diviso in 6 giorni separati da una sostanziosa parte centrale – "La notte" – lunga ben 178 pagine. L’adattamento del regista premio Oscar asciuga fino ad una sintesi pericolosamente autocompiacente la pagina scritta, mantenendone però intatto quantomeno lo spirito e le aspettative, narrando la storia dell’amore intenso e disperato di un padre e un figlio: il primo, Rino Zena, è un uomo ancora giovane, violento, xenofobo, razzista, ubriacone, emarginato volontario di una società che rifiuta di accettarlo per i suoi comportamenti arroganti e di aperto disprezzo, che cerca comunque di istruire il secondo, Cristiano, ragazzino timido e inibito, su valori della vita che lui reputa importanti, guadagnandone ciononostante il rispetto incondizionato e un amore assecondante.
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COME DIO COMANDA (IT, 2008) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FILIPPO TIMI, ALVARO CALECA, ELIO GERMANO, ANGELICA LEO, FABIO DE LUIGI
Salvatores e Niccolò Ammaniti, autore del libro omonimo da cui il film è tratto, sono alla loro seconda collaborazione, dopo Io non ho paura (2003), e questa volta l’esperimento, rispetto a quel primo e fortunato episodio, non è stato altrettanto brillante. Il romanzo di Ammaniti si compone di 495 pagine, diviso in 6 giorni separati da una sostanziosa parte centrale – "La notte" – lunga ben 178 pagine. L’adattamento del regista premio Oscar asciuga fino ad una sintesi pericolosamente autocompiacente la pagina scritta, mantenendone però intatto quantomeno lo spirito e le aspettative, narrando la storia dell’amore intenso e disperato di un padre e un figlio: il primo, Rino Zena, è un uomo ancora giovane, violento, xenofobo, razzista, ubriacone, emarginato volontario di una società che rifiuta di accettarlo per i suoi comportamenti arroganti e di aperto disprezzo, che cerca comunque di istruire il secondo, Cristiano, ragazzino timido e inibito, su valori della vita che lui reputa importanti, guadagnandone ciononostante il rispetto incondizionato e un amore assecondante. Loro compagno di disavventure è Quattro Formaggi (il cui vero nome, citato nel libro e ignorato nel film, è Corrado Rumitz), individuo pazzoide, irresponsabile, rimasto offeso cerebralmente e fisicamente da un incidente mentre operava intorno a dei cavi elettrici, ossessionato da Dio e da una bionda pornodiva. La vita dei tre cambia radicalmente quando Quattro Formaggi, del tutto casualmente, fa la conoscenza di Fabiana Ponticelli, compagna di scuola di Cristiano e ragazza alquanto affascinante che, sempre in modo fortuito, assomiglia all’attrice che l’ex elettricista fuori di testa guarda sbavando sul teleschermo, e decide di inseguirla in motorino in una piovosa notte interminabile, naturalmente con in mente l’idea di un congresso carnale. Fabiana si ribella e Quattro Formaggi, senza volerlo, la uccide. Devastato dall’omicidio non intenzionale, l’uomo chiama Rino, e quello, non appena si accorge del suo delitto, vorrebbe fargliela pagare, ma un colpo apoplettico blocca i suoi piani e rischia di mandare in fumo la vita del figlio. Cristiano viene dunque affidato alle cure dell’assistente sociale Beppe Trecca (un F. De Luigi finalmente in un ruolo drammatico), mentre Rino è ricoverato in coma in terapia intensiva all’ospedale. La vicenda ha come sfondo un’immaginaria cittadina del Nord-est italiano. Uno dei principali demeriti dell’opera cinematografica è quello di aver completamente cancellato il personaggio di Danilo Aprea, figura decisiva e importantissima nel libro di Ammaniti, amico di Rino Zena che progetta insieme a lui di rapinare un Bancomat e perisce durante il famoso diluvio notturno nel tentativo di mettere a segno il colpo individualmente. Altri punti indispensabili da rimarcare sono limature non certo opportune nella storia di alcuni personaggi (Esmeralda Guerra e soprattutto l’assistente sociale, che sulla pagina scritta ha una storia personale ben delineata che prevede anche un adulterio agognato che poi diventa autentico) e un margine eccessivo di sdolcinato ottimismo nel trasporre sul grande schermo il messaggio che invece Ammaniti espone come particolarmente diretto e sincero proprio in funzione della sua drammaticità e negatività. Le note liete sono invece da ricercare nelle interpretazioni, specialmente con un F. Timi al meglio della sua forma, che recita splendidamente sopra le righe facendo ampio sfoggio di una foga ammirevole che denota un lavoro preparatorio davvero magnifico, che permette anche al giovane Caleca di interpretare il ruolo del figlio con un piglio adeguato in maniera tutt’altra che forzata e utilitaristica. E. Germano è un po’ troppo giovane, magro e carino per calarsi nella parte del cattivo e deviato Quattro Formaggi, eppure la sua recitazione appassionata e impegnata gli consente di calarsi nelle vesti di un antieroe, che nella letteratura non è sicuramente comune, adoperando una professionalità non del tutto scontata e prevedibile. Nel complesso, il film è meno arrogante e superficiale di quanto certi critici hanno scritto: la cupezza cui Ammaniti è da tempo affezionato nel redigere i suoi capolavori di nevrosi e paranoia moderna, viene conservata a sufficienza per consegnare al pubblico un ritratto schietto, pulito, asciutto e catalizzatore di una porzione di umanità attuale che, a modo proprio, lotta per farsi accettare da chi si è già adattato alle nevrosi e paranoie sopracitate, figlie del cinismo della società odierna. Questi piccoli personaggi deboli e sfortunati, ma che mantengono comunque una dignità non indifferente, nascondono un lato epico nel loro combattimento insieme forsennato e speranzoso. Fotografia: Italo Petriccione. Prodotto da Maurizio Totti col supporto di Rai Cinema. Distribuisce 01.
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kondor17
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martedì 8 luglio 2014
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bello e cupo
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Arrivo un pò tardi a vedere questo film di Salvatores, che pure ho sempre apprezzato ed anche a volte amato. Come dio comanda è da un lato un cupo dramma della solitudine e del l'emarginazione, dall'altro una fervida storia d'amore padre figlio, con l'aggiunta di Quattro ( elio germano ). Il regista napoletano, negli ultimi anni, è passato dalle storie demenziali e cameratis-goliardiche, stile mediterraneo.o Marrakesch express, ad un film più impegnato, a volte anche drammatico, ma pervaso s3mpre dalla sua immutabile fede nell'amicizia e nell'amore. Un film umido, scivoloso, che ti sconvolge per come ti porta, prima, ad odiare e poi ad amare gli stessi personaggi, augurandone prima la morte e poi il risveglio.
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Arrivo un pò tardi a vedere questo film di Salvatores, che pure ho sempre apprezzato ed anche a volte amato. Come dio comanda è da un lato un cupo dramma della solitudine e del l'emarginazione, dall'altro una fervida storia d'amore padre figlio, con l'aggiunta di Quattro ( elio germano ). Il regista napoletano, negli ultimi anni, è passato dalle storie demenziali e cameratis-goliardiche, stile mediterraneo.o Marrakesch express, ad un film più impegnato, a volte anche drammatico, ma pervaso s3mpre dalla sua immutabile fede nell'amicizia e nell'amore. Un film umido, scivoloso, che ti sconvolge per come ti porta, prima, ad odiare e poi ad amare gli stessi personaggi, augurandone prima la morte e poi il risveglio. Ottimi gli attori, le musiche, la fotografia ed il montaggio. Un piccolo buffetto a De Luigi, forse non proprii adatto a tal ruolo.
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gionni47
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giovedì 13 marzo 2014
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non è certo il migliore di salvatores
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Il racconto comincia con una buona caratterizzazione dei personaggi, alla fine cade nel banale, specialmente con le ultime scene strappalacrime. I due attori principali lavorano bene. Troppe le scene buie ed un po' pasticciate. La critica ha sciorinato simpatie per il padre violento, neonazista ed alcolizzato, simpatie per me fuori luogo; inoltre le ideologie neonaziste con cui inizia la storia non trovano uno svolgimento. Il film si dissolve con una fine un po' banale da giallo televisivo. Salvatores ha certo lavorato meglio in altri film!
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ginevra89
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lunedì 14 novembre 2011
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dramma e malinconia tra salvatores e ammaniti
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Dopo cinque anni da Io non ho paura, Salvatores mette in scena una storia drammatica e incisiva ma al contempo triste e malinconica. I due protagonisti Rino e Cristiano Zena (rispettivamente Filippo Timi e Alvaro Caleca), padre e figlio legati da un rapporto malato, malsano e molto strano ma comunque molto forte, profondo e inscioglibile. Rino è un uomo xenofobo, misogeno, nazista, un attaccabrighe cultore della forza, caratteristiche che lo rendono un alienato della società accompagnato dal suo vizio per il bere e dal suo status di non lavoratore. Cristiano non ha, E' il DNA del padre, a le stesse identiche peculiarità con la differenza che è un ragazzo e come tale pieno di pauree e debolezze che non lo rendono così forte come vorrebbe e soprattutto come vorrebbe il padre per renderlo rispettato da tutti.
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Dopo cinque anni da Io non ho paura, Salvatores mette in scena una storia drammatica e incisiva ma al contempo triste e malinconica. I due protagonisti Rino e Cristiano Zena (rispettivamente Filippo Timi e Alvaro Caleca), padre e figlio legati da un rapporto malato, malsano e molto strano ma comunque molto forte, profondo e inscioglibile. Rino è un uomo xenofobo, misogeno, nazista, un attaccabrighe cultore della forza, caratteristiche che lo rendono un alienato della società accompagnato dal suo vizio per il bere e dal suo status di non lavoratore. Cristiano non ha, E' il DNA del padre, a le stesse identiche peculiarità con la differenza che è un ragazzo e come tale pieno di pauree e debolezze che non lo rendono così forte come vorrebbe e soprattutto come vorrebbe il padre per renderlo rispettato da tutti. Il ragazzo ha però il modo e il tempo per riscattarsi trovando lucidità, forza e prontezza nel momento più cruciale e difficile del film. I due sono accompagnati dall'ottima interpretazione di Elio Germano, nel film Quattro Formaggi, un infelice problematico che non fa altro che aggiungere problemi al rapporto già in bilico tra padre e figlio. Altro personaggio è Fabio De Luigi, l'assistente sociale, con un'interpretazione a cui non siamo abituati in chiave non-comica, un uomo freddo e incalzante nei confronti della situazione di Rino ma che poi prende a cuore inevitabilmente la storia di Cristiano. Uno scenario buio con un clima freddo che contrasta col precedente Sud dal clima soffocante dalla luce accecante.
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juliennejuju
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giovedì 3 novembre 2011
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ho amato il libro,ho amato il film
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ho letto Come Dio comanda di Ammaniti e visto il film di Salvatores...che dire,è uno di quei film che ti rimangono dentro,molto emozionante,ricco di suspance,bravissimi Germano e Timi,bella fotografia,colonna sonora stupenda....per me uno dei migliori prodotti italiani degli ultimi anni!Complimenti a Gabriele Salvatores!
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bella earl!
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venerdì 9 settembre 2011
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la cupa opera del duo salvatores/ammaniti
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Rino e Cristiano sono un padre e un figlio pieni di problemi. Rino è alcolizzato ma col suo amore tenta di educare, un po' a modo suo, il figlioletto che è a sua volta accecato dall'amore che prova per il padre. Con loro vive Quattro Formaggi, un uomo divenuto un ritardato mentale in seguito al contatto con dei cavi elettrici, fissato con una pornostar di nome "Ramona Star". Una ragazzina sconvolgerà le loro vite. Salvatores da vita a un'opera grandiosa piena di suspance avvalendosi della partecipazioni di grandi personaggi creati dalla fantasia di Ammaniti e grandi interpreti. Si, perché in questa prova attori come Elio Germano e Filippo Timi (interpretazione doc) tirano fuori il loro lato oscuro riuscendo a darci una grandissima prova.
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Rino e Cristiano sono un padre e un figlio pieni di problemi. Rino è alcolizzato ma col suo amore tenta di educare, un po' a modo suo, il figlioletto che è a sua volta accecato dall'amore che prova per il padre. Con loro vive Quattro Formaggi, un uomo divenuto un ritardato mentale in seguito al contatto con dei cavi elettrici, fissato con una pornostar di nome "Ramona Star". Una ragazzina sconvolgerà le loro vite. Salvatores da vita a un'opera grandiosa piena di suspance avvalendosi della partecipazioni di grandi personaggi creati dalla fantasia di Ammaniti e grandi interpreti. Si, perché in questa prova attori come Elio Germano e Filippo Timi (interpretazione doc) tirano fuori il loro lato oscuro riuscendo a darci una grandissima prova. Bel film, molto toccante.
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laurentius87
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domenica 10 luglio 2011
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un film scadente e banale
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Pieno zeppo di scenari un po' da Coen e un po' da cinema indipendente americano (ma senza averne la stoffa), questo è un film di piogge, boschi bui, stradicciole desolate che non convincono.
Innanzitutto, troppi luoghi comuni e banalità: l'assistente sociale anticonformista che pare spuntato direttamente dal Nebraska col suo cappello di pelo, il ragazzino introverso succube di un padre rabbuiato e aggressivo, il Nord-Est che deve per forza essere triste e solitario.
E poi troppe interpretazioni che non convincono: Filippo Timi non è credibile nei panni del padre, il figlio ha seri problemi di recitazione, Elio Germano scade nel macchiettistico, Fabio De Luigi ricorda più una soap opera televisiva che un film d'autore.
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Pieno zeppo di scenari un po' da Coen e un po' da cinema indipendente americano (ma senza averne la stoffa), questo è un film di piogge, boschi bui, stradicciole desolate che non convincono.
Innanzitutto, troppi luoghi comuni e banalità: l'assistente sociale anticonformista che pare spuntato direttamente dal Nebraska col suo cappello di pelo, il ragazzino introverso succube di un padre rabbuiato e aggressivo, il Nord-Est che deve per forza essere triste e solitario.
E poi troppe interpretazioni che non convincono: Filippo Timi non è credibile nei panni del padre, il figlio ha seri problemi di recitazione, Elio Germano scade nel macchiettistico, Fabio De Luigi ricorda più una soap opera televisiva che un film d'autore.
Assolutamente sconsigliato.
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patrizia ruosi
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domenica 28 febbraio 2010
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film mozzafiato.... ma splendido!!!
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Complimenti a Gabriele Salvatores per aver tradotto magnificamente il "difficile" testo di Ammaniti.
Il chiaroscuro è il tema principale di Salvatores, .... qui in realtà a prevalere era lo scuro, direi nero totale, (sia i personaggi, che il contesto, che la trama), per attendere un poco di chiaro ce n'è voluta, ... ma come sempre ne è valsa la pena!!
Amore totale padre figlio, sì amore totale, l'unica salvezza in quel disastro morale ed ambientale. Per questo dico grazie a Salvatores, ed ai suoi bravissimi attori.
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chiarialessandro
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martedì 28 luglio 2009
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profondo nero
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– Questo film è un ottimo banco di prova: chi riesce ad ammirarlo subito dopo cena senza sentirsi la digestione rovinata, ha veramente uno stomaco capace di sopportare grosse difficoltà senza grandi problemi. La trama è incentrata sul rapporto tra un padre ed un figlio, reso difficile da vari fattori: l’assenza (non spiegata) della madre, il rapporto abbastanza intenso e costante del padre con l’alcol, la mancanza di lavoro e la relativa condizione di povertà economica, il timore continuo del distacco dal figlio che (sotto osservazione dei servizi sociali) potrebbe essere costretto ad allontanarsi da casa per andare a vivere in un istituto. In questo quadro disgregato si innesta però un elemento dalla forza devastante: l’amore tra i due, amore che sarà più forte di tutti gli ostacoli e le difficoltà.
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– Questo film è un ottimo banco di prova: chi riesce ad ammirarlo subito dopo cena senza sentirsi la digestione rovinata, ha veramente uno stomaco capace di sopportare grosse difficoltà senza grandi problemi. La trama è incentrata sul rapporto tra un padre ed un figlio, reso difficile da vari fattori: l’assenza (non spiegata) della madre, il rapporto abbastanza intenso e costante del padre con l’alcol, la mancanza di lavoro e la relativa condizione di povertà economica, il timore continuo del distacco dal figlio che (sotto osservazione dei servizi sociali) potrebbe essere costretto ad allontanarsi da casa per andare a vivere in un istituto. In questo quadro disgregato si innesta però un elemento dalla forza devastante: l’amore tra i due, amore che sarà più forte di tutti gli ostacoli e le difficoltà. Ma aspettatevi di tutto all’infuori di un amore sdolcinato: quello in cui vivono i protagonisti di questa favola è un mondo troppo degradato per immaginare cose simili. Ed ecco allora che, altro tema forte della storia, Filippo si preoccupa di istruire alla sopravvivenza il giovane rampollo, ma lo fa con metodi adeguati alle condizioni: mettendogli in mano una pistola e mandandolo ad ammazzare il cane che lo disturba abbaiando nella notte nevosa; accompagnandolo a sprangare il coetaneo che lo aveva riempito di botte; inculcandogli l’idea che immigrato significa ladro perché i neri gli avevano rubato il posto di lavoro e inneggiando ad Hitler come ad un grandissimo uomo. In mezzo a tutto questo degrado appare una figura eterea, quella di Elio che, con una interpretazione magistrale al pari di quella di Filippo, cesella alla perfezione il ritratto di un folle con la mente devastata dalle esplosioni del cantiere in cui prestavano la loro opera; in questa pazzia che lo ha fatto regredire al dolce, tenero stadio infantile, svetta la fissazione per una pornostar che lui crede di riconoscere in una compagna di scuola del figlio di Filippo, fissazione che lo porta ad un gesto insano nei confronti della ragazza ma da cui si capirà, ancora una volta, la profondissima amicizia (sempre di amore si tratta, anche se declinato in un genere diverso) con Filippo (ve lo sareste mai aspettato un sentimento così morbido da un personaggio così duro?). Che dire di più? Da non perdere.
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