figliounico
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giovedì 2 marzo 2023
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la doppia condanna di bergman
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Ancora i rapporti umani al centro di questo film di Bergman del ’69 ed il dramma dell’uomo moderno, la sua irrisolvibile crisi esistenziale, diviso tra la solitudine, impraticabile via per la salvezza, e la convivenza altrettanto impossibile con una donna. Tutto si svolge su di un’isola semi deserta lontano dal chiasso delle città e dal chiacchiericcio della gente in un paesaggio lunare tra greggi di pecore allegramente scampanellanti e pochi solitari abitanti. E’ forse la Fårö rifugio eremitaggio di Bergman ed il film lo specchio del suo vissuto e del suo inconscio. Andrea Winkelman, questa volta si chiama così, come recita la voce fuori campo nella sequenza finale, interpretato da Max von Sidow, è un uomo come un altro, uno dei tanti profughi in fuga dal fallimento della propria esistenza, l’ennesima messa in scena dell’io di Bergman.
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Ancora i rapporti umani al centro di questo film di Bergman del ’69 ed il dramma dell’uomo moderno, la sua irrisolvibile crisi esistenziale, diviso tra la solitudine, impraticabile via per la salvezza, e la convivenza altrettanto impossibile con una donna. Tutto si svolge su di un’isola semi deserta lontano dal chiasso delle città e dal chiacchiericcio della gente in un paesaggio lunare tra greggi di pecore allegramente scampanellanti e pochi solitari abitanti. E’ forse la Fårö rifugio eremitaggio di Bergman ed il film lo specchio del suo vissuto e del suo inconscio. Andrea Winkelman, questa volta si chiama così, come recita la voce fuori campo nella sequenza finale, interpretato da Max von Sidow, è un uomo come un altro, uno dei tanti profughi in fuga dal fallimento della propria esistenza, l’ennesima messa in scena dell’io di Bergman. La sua storia si intreccia con quella di tre personaggi, altre tre vite allo sbando. Il triangolo è formato da una coppia in crisi, lui architetto di fama, Erland Josephson, intellettuale cinico e disincantato, lei casalinga insoddisfatta, Bibi Andersson, schiacciata dalla personalità del marito ed alla ricerca di una propria identità, un’amica di lei, una donna sopravvissuta ad un incidente stradale in cui sono morti il figlio ed il marito, Liv Ullmann, il più complesso dei personaggi, perché perseguitato dai sensi di colpa per la morte involontariamente procurata e forse inconsciamente desiderata del compagno che l’aveva abbandonata, per l’aspirazione ad una vita vera che appare invece come ipocrita finzione per gli altri, destinata ad essere incompresa e a non comprendersi. Ogni personaggio, attraverso l’immedesimazione dell’attore che lo interpreta, in un interludio ciascuno, in una sorta di confessione o di seduta psicanalitica, parla di sé stesso davanti al suo autore, dio creatore e sceneggiatore al contempo, ossia lo stesso Bergman, di cui gli interpreti maschili sono proiezioni mentali, ectoplasmi del suo inconscio che si presenta a sé stesso, alla propria coscienza, per essere capiti, giudicati e probabilmente assolti. L’irruzione della follia sulla scena, mediane il sadico misterioso sterminatore di animali, fa eco a quella della violenza gratuita degli uomini, che uccidono il vecchio innocente solitario amico di Winkelman, e trova un corrispettivo nel sogno in bianco e nero della Ullman in cui è rappresentato un popolo in fuga da una guerra o da una catastrofe. E’ il contesto della barbarie umana che assedia i quattro naufraghi nel rifugio, la fortezza-prigione della piccola isola, un illusorio fragile riparo dalla bestialità del mondo che li perseguita fin lì, si insinua subdolamente come male di vivere nelle loro anime portandole alla distruzione. Non c’è alcuna speranza di riscatto, non c’è salvezza alla spaesatezza esistenziale, la scelta tra solitudine e convivenza si rivela fallace, sono entrambe strade senza uscita e circolari come il cammino di Winkleman icasticamente dimostra nell’ultima sequenza, il suo andirivieni non rappresenta il dubbio tra due possibili alternative di vita ma la tragica impasse esistenziale, la reclusione in un mondo privo di senso sottoposto alle incursioni della crudeltà dei propri simili, una doppia condanna alla quale non si sfugge.
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mercoledì 21 settembre 2016
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bello
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mercoledì 21 settembre 2016
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passione
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Con 'Passione', Bergman ci riesce a regalare un altro ottimo film. In quest'opera, molto simile per argomenti trattati a 'Sussurri e grida' e a 'Sinfonia d'Autunno', ci vengono mostrati dei frammenti di vita di quattro individui, pieni di dolore e di tristezza.
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blackredblues
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lunedì 8 ottobre 2012
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sogno o son desto?!
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Storie di vita andate male o semplicemente andate, i cui esiti vengono messi in scena sul palcoscenico di un'isola. Difficile commentare il dolore esistenziale, che in fondo si commenta da sè e soprattutto lo fa in prima persona, in ognuno di noi, volente o nolente. Il prenderne piena consapevolezza dipende dalla dose di autoinganno che si usa o, da un punto di vista più autoreferenziale, da quanto dissociando si finisce per amare il relitto di ciò che rimane di sè stessi dopo una vita.
L'ho visto in svedese (sottotitolato in inglese) e, malgrado non capisca praticamente nulla di questa lingua, aveva un senso profondo la prosodia perchè in perfetto accordo con i volti segnati e diafani dei protagonisti così lontani dai volti del sud europa (a cui appartiene il mio), così vicini nell'espressione della sofferenza.
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Storie di vita andate male o semplicemente andate, i cui esiti vengono messi in scena sul palcoscenico di un'isola. Difficile commentare il dolore esistenziale, che in fondo si commenta da sè e soprattutto lo fa in prima persona, in ognuno di noi, volente o nolente. Il prenderne piena consapevolezza dipende dalla dose di autoinganno che si usa o, da un punto di vista più autoreferenziale, da quanto dissociando si finisce per amare il relitto di ciò che rimane di sè stessi dopo una vita.
L'ho visto in svedese (sottotitolato in inglese) e, malgrado non capisca praticamente nulla di questa lingua, aveva un senso profondo la prosodia perchè in perfetto accordo con i volti segnati e diafani dei protagonisti così lontani dai volti del sud europa (a cui appartiene il mio), così vicini nell'espressione della sofferenza.
Bergman ci regala delle splendide fotografie animate (come solo lui sa fare), sempre presente sulla scena e sempre discretamente assente nel lasciare spazio allo spettatore.
La sintesi tra arte visiva e arte dialogica di rado sembra risultare così semplice.
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