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Jeanne Du Barry poteva essere uno sfarzoso mélo avventuroso, un intreccio di trame, conflitti, inganni, seduzioni di corte; o uno scavo più moderno nella psicologia e nel riscatto femminile, un gioco scherzoso e amaro sul ruolo e la forza delle donne; o, considerato che è praticamente tutto ambientato tra interni ed esterni dei palazzi reali, un’analisi lucida del potere.
Jeanne Du Barry invece è una successione di scene e momenti, incontri e battute (assolutamente prevedibili), intervallati da quadri, vedute d’insieme in campo lungo, di maestosi saloni, tutti arazzi, tappeti e specchi, di Versailles e dei suoi giardini, di boschi e cieli. Siparietti tra un episodio e l’altro, tutti molto “pittorici”, spesso citazioni dei dipinti d’epoca. L’immobilità complessiva della messa in scena riproduce quella dei personaggi: non c’è una psicologia in evoluzione in questo film, compresa quella di Jeanne (sempre uguale a se stessa, dall’adolescenza alla regalità). Per non parlare delle figlie del re, che hanno la duttilità di una caricatura, mentre Maria Antonietta è poco più di un’evanescente comparsa. E Luigi XV, certo, era vecchio e stanco, ma forse aveva un po’ più di nerbo dell’intristito nonno di Jack Sparrow cui Johnny Depp dà un corpo fragile e un viso rigonfio.
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