Rifkin's Festival

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Woody Allen. Sospeso tra verità e menzogna? Valutazione 4 stelle su cinque

di Alessandro Spata


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domenica 16 maggio 2021

  • Io ho una passione per i film di Woody Allen. Non per tutti, s’intende. Solo per alcuni –
Prendo a pretesto l’ultimo dibattuto film del regista americano per qualche considerazione di ordine più generale.
Di fronte ai suoi film arriviamo sempre un po' “scissi” o forse scissi lo sono i suoi film o il regista stesso. Chissà! A testimonianza dell’ambivalenza con cui tante volte ci avviciniamo alla cinematografia di Allen, citerei “Stardust Memories” film che fu definito a suo tempo - il suo capolavoro e insieme il suo peggior film -. Sebbene a quel tempo non ci fossero ancora all’orizzonte neanche accuse di molestie sessuali o di pedofilia a giustificare certa “inconscia ambivalenza”. Tutte legittime sono le critiche, ovviamente, non fosse altro perché un’opera mai può essere, in linea di principio, né totalmente buona, né completamente sbagliata.
È anche vero però che è lo stesso Allen forse che potrebbe aver alimentato certa “analisi astiosa” quando lui medesimo non fa che ripetere, quasi ad ogni santa occasione, quanto fossero grandi quegl’Altri Maestri europei e come invece sia - piccolo e meschino lui al confronto -. Ci permettiamo di ricordare ad Allen che ci sono pur sempre diversi gradi di eccellenza, com’è noto. Vorrei anche suggerirgli che a volte capita persino di essere migliori dei propri genitori. E non per questo dobbiamo necessariamente sentirci in colpa tutta la vita. È forse giunto il tempo di “uccidere il padre?” Non c’è da aver paura! Significa soltanto che stiamo crescendo. Forse il cineasta americano è diventato “grande” abbastanza da potersi permettere non di interrompere le sue sedute psicoterapiche, ma di cambiare psicoanalista, eventualmente. Anzi no! Continui pure a farsi seguire dal terapeuta in questione, Forse è proprio grazie a questa sua “angoscia della separazione” mai elaborata che oggi possiamo ridere e piangere con i suoi film. Allora, “Mr Woody-Nobody-Allen” continua così, ti prego. Che non ti capiti mai di “elaborare il lutto”. Qualunque esso sia. Quello (l’incapacità di elaborare il lutto) è il motore del tuo “genio ribelle” con discreta approssimazione.
A proposito, “confesso” che mi è piaciuto molto quest’ultimo “Rifkin’s festival”. Domande come quelle che si pone Allen nei suoi film non sono inutile “retorica metafisica” e neppure astruserie di un “demente invecchiato” come qualcuno graziosamente si pregia di definirlo. Quelle domande sono tutto! E hanno ricadute capitali sulla concreta nostra vita quotidiana. Se imparassimo a rivolgerci certe domande più spesso e in età più florida, eventualmente, forse ci risparmieremmo un sacco di guai nel presente e nel futuro. Certe domande di per sé, pesano più delle risposte, forse.
A ben pensarci, in fondo, l’ideale del cineasta americano potrebbe essere così sintetizzato: bello sarebbe e quotidianamente cimentarsi nella “pratica dell’astrazione”. Perennemente oscillare tra – lo Zen e la manutenzione della motocicletta -. Tra la falegnameria e la filosofia.
E tuttavia da qualche tempo a questa parte ad ogni proiezione cominciano a prenderci i dubbi cosmici alla maniera dei suoi film. E finisci col ripeterti anche tu “Ma dove sto andando? Da dove vengo? Chi sono io, soprattutto, per giudicare?”. Mentre insane immagini di “Io e Annie” o di “Prendi i soldi e scappa” ti baluginano nella testa e non riesci a scacciarle nonostante uno sforzo disperato di “dissociazione” estrema dal cineasta ebraico-newyorchese.
Dove finisce la finzione e dove comincia la realtà? Forse la chiave di lettura è in quella patina di “falso documentario” di cui sono permeati certi suoi film dove i personaggi fittizi si mescolano senza soluzione di continuità con quelli realmente esistiti. Qual è il personaggio inventato? Il regista o l’uomo?
I suoi film sembrano essere sempre in bilico tra "sincerità e inganno". In quella terra di nessuno che è il “cinema” egli esprime la propria magnificenza e nasconde contemporaneamente la propria meschinità?
È Allen stesso che “gioca” a velarsi e disvelarsi rimanendo in sospensione come si addice allo stile contraddittorio di certi suoi personaggi intrisi di doppia e tripla morale? O forse il regista ci sta comunicando che non arriveremo mai a capirlo veramente? Allora, - se crediamo di conoscerlo non è un problema suo, ma esclusivamente nostro - potrebbe cantare De Gregori. E nemmeno gli acquazzoni che intervengono come “deus ex machina” tante volte nei suoi film permetteranno alla “realtà” di prendere il sopravvento. Non questa volta. Certi inconvenienti meteorologici non riveleranno alcun lato oscuro e tantomeno del regista in questione. Rassegnamoci!  - Ci stiamo solo “bagnando”… Ci stiamo solo “sbagliando?”
Allora, non illudiamoci di arrivare alla “verità” attraverso i suoi film. Forse non c’è alcuna “verità”. Oppure, essa è tutta sparsa in quella miriade di opinioni soggettive, tipiche dei processi svolti in tv o sui giornali a mo’ di pubblica gogna, le quali, però, proprio in quanto relative, finiscono per essere considerate comunque valide allo stesso modo. Forse possiamo soltanto sperare che prima o poi l’arcano si risolva da sé. Intanto possiamo fare l’ennesima esperienza di un “cinema-poesia” che rivela e occulta al contempo l’essere del regista costantemente avviluppato com’è in quel perenne “inganno” dell’alternanza di finzione e realtà.
Allora, è possibile che, proprio in questo moto perpetuo di “sincerità e menzogna” in cui l’arte cinematografica si crogiola, Allen abbia eretto la sua fortezza inespugnabile? Potrebbe il suo corpus filmico stare lì tutto imbastito a difesa di un “uomo-artista” che ha fatto dell’«evanescenza», dell’allusione, dell’«ombra», la sua fortezza inviolabile?
Ma l’unico risultato di simili elucubrazioni sarà quello di maturare alla fine, tutti storditi, il fatale interrogativo: Può un artista sublime essere al contempo un “mostro orrendo?” E’ sempre lecito distinguere l’artista dall’uomo? L’artista “non può essere esaurito nel solo linguaggio cinematografico”, né l’uomo può esistere soltanto al di fuori di esso, forse. O sono i nostri metri di giudizio (morale) che sono vetusti e inadeguati ad esprimere una qualsiasi “verità” sul tema in questione? Ma che ne so? Ma soprattutto “che te lo dico a fare” quando - non sono nemmeno tanto sicuro di esistere persino? -. E oltretutto l’universo sta pure rallentando pericolosamente la sua espansione. Più che Mort Rifkin mi sento tanto un “Mr Nobody” de noantri.
Forse ci siamo limitati a ridere delle sue freddure e abbiamo amato certa sua estetica in maniera troppo frettolosa e superficiale? Forse oggi, si dovrebbero interpretare i suoi film alla luce delle recenti e meno recenti e sconcertanti rivelazioni su certe presunte “abitudini sessuali” del regista medesimo?
Sia chiaro, non dico che l’universo intero dovrebbe lasciare in pace un genio come lui senza mai sindacare niente di quello che fa. Sarebbe altrettanto sbagliato trattare Allen in maniera diversa dagli altri soltanto perché è capace di scrivere o di pensare o di “girare” meglio di tutti noi, immagino. Noi che - non sappiamo fare di meglio che vivere la vita reale -, oltretutto -.
Vorremmo la “verità”! Questo è certo. Ma solo le parti conoscono la “verità” e anche questo non è propriamente scontato. Ma ammesso che questa venisse davvero accertata, basterebbe a togliere valore “artistico” ai suoi film o ad aumentarlo? Tuttavia, temo che le aule dei tribunali non potranno venirci in aiuto in nessun caso e in questo caso meno che mai. E allora è ancora una volta fuori dai palazzi di giustizia che siamo chiamati a maturare un qualche tipo di convincimento per riaffermare ciò che è “giusto” oppure no. Sarà il "senso comune" a fare da giudice? E gli “dei” ci scansino e liberino da certo “senso comune”.
E continuiamo così, sempre stancamente a dibatterci ad ogni suo film nuovo o vecchio che sia, tra l’innocenza del cineasta e la colpevolezza dell’uomo o viceversa (dipende dai punti di vista). Ci piacciono i suoi film, ma subito dopo ci sentiamo quasi in colpa per averli amati e finiamo per disprezzarli persino. Tipico “annullamento retroattivo” di critici e spettatori assortiti. Dove il “senso di colpa” è ulteriormente alimentato dall’incertezza sul delitto che viene contestato all’uomo, obbligando viepiù lo spettatore a dover far ricorso o al battage mediatico che fatalmente non può non alimentare l’ulteriore sua confusione o unicamente alla propria coscienza come metro assoluto di giudizio. E ben sappiamo quanto  - la coscienza sia presente con sfumature diverse negli uomini -. Che tradotto potrebbe voler dire che - l’essere umano ha in sé una certa qual dose di elevatezza e di bassezza in percentuali variabili -.
E dopo tutto questo lavorio mentale mi ritrovo stravaccato sul divano come un “Dormiglione” qualsiasi  mentre ancora sonnecchiando ripenso a  film come “Settembre o Interiors, Blue Jasmine o Zelig” e non riesco a scorgere la benché minima ombra di “peccato” tra le immagini che scorrono sullo schermo. Forse qualcosa di quei volti in movimento ci è sfuggito colpevolmente? E tuttavia contemporaneamente mi ripeto nel profondo del cuore che certi “Crimini e misfatti” non si possono davvero perdonare. Nondimeno, Allen sembra insensibile a qualsiasi nostro sussulto, refrattario a qualsivoglia “offensiva”, resistente a qualsiasi polemica, immune da qualunque attacco anche quando questo sembra provenire da lui stesso. “Allen-Harry non è a pezzi”, tutto sommato. Non ancora, almeno. Egli tra “Accordi e disaccordi” (metafora di come un artista eccelso possa essere contemporaneamente un uomo molto “discutibile” sotto molti aspetti) tra “affetto e odio”, tra “nobiltà e bassezza”, ci risulta che sia ancora vegeto. E poi mi riaddormento e in sogno mi vedo finalmente dietro la macchina da presa mentre giro “Tutto quello che avreste voluto sapere su Woody Allen (ma non avete mai osato chiedere)” film finanziato in contemporanea da #MeToo e dagli entusiasti sostenitori europei del regista. Tutti insieme appassionatamente che collaborano alacremente all’accertamento definitivo dell’autenticità dei fatti. Mentre nel frattempo arriva chissà da dove un dispaccio secondo il quale - il Cremlino autorizza la pubblicazione dell’autobiografia di Allen in nome della libertà di pensiero -. Ok è surreale, totalmente assurdo d’accordo, ma è pur sempre un sogno in fin dei conti. Ma ecco che in “campo lungo” riprendo una partita di tennis dove avversari indistinti si giocano all’infinito alternativamente un “Match point” mai decisivo. E continuano i contendenti a rimandarsi perennemente la palla picchiando come dei forsennati di qua e di là dalla rete come si addice ormai al giorno d’oggi a questo gioco da boscaioli (God save Roger Federer for ever). Con gli spettatori ridotti a pregare sugli spalti affinché sia il fato a decidere finalmente il punto e la partita. Sarà il "net" a salvarci? Con la pallina che oscilla sul bordo della rete come sospesa per l’aria prima di cadere finalmente su una delle metà campo (qui è d’obbligo la slow motion per rendere concretamente il senso dell’incertezza del caso). E invece niente da fare. Questi continuano a darsele di santa ragione da "trenta anni" o forse più e gli scambi non finiscono mai.
Mi ridesto ancora una volta all’improvviso da questo incubo “tennistico-cinematografico” col sudore sulla fronte mentre in preda ad “allucinazione ipnopompica” scorgo tra “Ombre e nebbia” in lontananza “Criminali da strapazzo” che si rimpinzano di biscotti invece di ammettere le proprie sacrosante colpe. Niente scottanti confessioni. Almeno per oggi. Mi sa che devo andarci piano con l’«Orgasmatic» la prossima volta.
Nel frattempo dinnanzi ai suoi film continueremo a vacillare tra “colpa e coscienza”, tra “Sogni e delitti”. E mi auguro che il prossimo suo film non mi piaccia più di tanto così sarò alla fine in pace con la mia anima. E finalmente anch’io potrò dire a me stesso cose del tipo: - Amabile, ma labile esercizio di scuola …Esempio di autoreferenza manierata preda di irreversibile disfacimento creativo…Film dignitoso sì, ma incompleto… La parodia è ficcante a tratti, ma non sempre soddisfacente… Film molto sofisticato, per carità, ma che risulta fatalmente falso alla fine … Encomiabile è il suo sforzo, ma l’impressione è di trovarsi dinnanzi ad una leziosa sfumatura di “Déjà vu”… -. Fermatemi, vi prego! Ormai sono stabilmente imbevuto del suo pensiero e dunque non so se potrà funzionare davvero questo bieco espediente e in che modo la mia coscienza potrebbe uscirne davvero pacificata. Ma in fondo non è poi così importante: “Basta che funzioni”. 

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