bruno venturi
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lunedì 14 settembre 2020
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grande prova registica di salvatore mereu
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Assandira è un film molto importante, e a s’andira è una modalità del canto a tenore sardo.
Nella fusione di questa modalità in un’unica parola potrebbe esserci già il senso di tutto il film di Salvatore Mereu -e del romanzo omonimo (2004) di Giulio Angioni che a questo film ha dato forma.
Non è facile parlare di quest’opera senza svelarlo inevitabilmente.
Tuttavia voglio provare a riproporre alcuni problemi che il film solleva, magari in ordine sparso, lasciando allo spettatore la possibilità di ricostruirlo a suo piacimento, per temi, domande, questioni rimaste senza risposta da decenni, ormai.
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Assandira è un film molto importante, e a s’andira è una modalità del canto a tenore sardo.
Nella fusione di questa modalità in un’unica parola potrebbe esserci già il senso di tutto il film di Salvatore Mereu -e del romanzo omonimo (2004) di Giulio Angioni che a questo film ha dato forma.
Non è facile parlare di quest’opera senza svelarlo inevitabilmente.
Tuttavia voglio provare a riproporre alcuni problemi che il film solleva, magari in ordine sparso, lasciando allo spettatore la possibilità di ricostruirlo a suo piacimento, per temi, domande, questioni rimaste senza risposta da decenni, ormai.
L’olivastro e l’innesto: così intitolava Joyce Lussu uno dei suoi primi libri sulla Sardegna: esistono le piante con le loro radici, ma esistono anche gli innesti, che possono cambiare la natura stessa delle piante, o clonarne la sostanza esistenziale, riproducendo questa o quella pianta all’infinito. Sono importanti le radici, e sono importanti gli innesti.
Il problema è quello delle marze. Che cosa si va ad innestare? su quale pianta madre? e con quale nuova sostanza?
“Se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, sarà anche vero che quelle dei nonni ricadono sui nipoti?”, si chiede Costantino Saru (un intensissimo Gavino Ledda, sì, proprio quello di Padre padrone, rinato per questa occasione che sembra anche quella di fare i conti con i problemi della propria esistenza di pastore e di studioso, di letterato e regista e di vecchio uomo); e se lo chiede con una malcelata ironia, con una sostanziale disillusione. Dove ricadranno, e su chi tutte queste colpe?
Ma quali sono le colpe? Forse quelle d’aver tradito un mestiere, un lavoro? o quella d’aver creduto che quella condizione quella del pastore poi e del servo pastore poi, coincidessero con la forma di un mondo?
Ed ecco l’inganno. Se questo è il racconto di una terra, è inevitabile che chi viene da fuori debba credere senza possibilità d’errore, che la forma dell’homo sardus debba per forza coincidere con il pastore, sos gambales (i gambali), su belludu (il velluto), la transumanza e insomma il bandito. Niente di più fuorviante. Niente di più folclorico, cartolinesco: la Sardegna è, ed è stata anche terra di artisti di grande levatura: quello di Grazia Deledda è l’unico Nobel per la letteratura assegnato ad una donna italiana, nella storia del Premio, ma pensiamo anche a Maria Lai, Pinuccio Sciola, Francesco Ciusa Giuseppe Biasi, Costantino Nivola, e al grande ceramista Salvatore Fancello, compaesano di Salvatore Mereu); pensiamo a Sergio Atzeni, a Peppino Fiori (altri due autori cardine nella filmografia di Mereu); pensiamo a Giuseppe Dessì, Salvatore Satta, e ancora a Benvenuto Lobina; la Sardegna è anche la regione mediterranea con la maggior varietà di pani -non limitati alla sola carta musica, come da fuori viene chiamato su pane carasau; e per questo era una terra popolata di contadini -prima che il petrolchimico degli anni ‘70 potesse distruggere tutto.
A partire da questo malinteso, anzi da questa totale non conoscenza, può nascere dunque la tentazione di creare una struttura ricettiva e turistica (infinite strutture ricettive e turistiche) per raccontare la cartolina di una terra che non c’è.
Il film comincia con un incendio che porta via tutto questo. Un figlio non più in grado di procreare. Una vittima e tanti animali morti -compresi due struzzi: ma come sono morti gli struzzi, e soprattutto, perché erano lì in quel presepe folk, per raccontare quale novità?
Un incendio e tanta pioggia. Arrivata in ritardo. E anche l’incendio avrebbe dovuto scoppiare un po’ più tardi. Non ci sarebbero state vittime umane.
Un cast all’altezza della situazione, la lingua sarda fatta salva. Bellissimi piani sequenza, tutti giocati sui primi e primissimi piani; la ripresa del suono fortissima e pervasiva all’inizio, e poi sempre più chiara man mano che si dipana la trama, come una lysis, uno scioglimento tragico verso il finale, che fa di questo film apparentemente noir, un grande atto di denuncia sociale.
Grande prova registica di Salvatore Mereu.
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ste m
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mercoledì 23 settembre 2020
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un intenso gavino ledda mette a nudo l’anima sarda
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Ho avuto la fortuna di assistere ad alcune riprese del film di Salvatore Mereu tratto da Assandira, il romanzo di Giulio Angioni. Il protagonista è Gavino Ledda, l’autore di Padre padrone, che impersona Costantino Saru e non è possibile immaginare un interprete diverso per quella parte, specialmente dopo averlo visto sul set. Lo sguardo diretto, fisso e profondo, la camminata sicura...Gavino personifica il patriarca del romanzo di Angioni perché di quel mondo è testimone, protagonista ed erede, un mondo inevitabile fatto di dovere, ragione e passione che non si può non amare ed odiare allo stesso tempo.
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Ho avuto la fortuna di assistere ad alcune riprese del film di Salvatore Mereu tratto da Assandira, il romanzo di Giulio Angioni. Il protagonista è Gavino Ledda, l’autore di Padre padrone, che impersona Costantino Saru e non è possibile immaginare un interprete diverso per quella parte, specialmente dopo averlo visto sul set. Lo sguardo diretto, fisso e profondo, la camminata sicura...Gavino personifica il patriarca del romanzo di Angioni perché di quel mondo è testimone, protagonista ed erede, un mondo inevitabile fatto di dovere, ragione e passione che non si può non amare ed odiare allo stesso tempo. A quel mondo Gavino si era ribellato, da figlio, cambiando quel modello che si tramandava di generazione in generazione, ma gli si è scolpito nelle mani, nei gesti, sulla pelle e nelle rughe del viso e può raccontarlo e rappresentarlo con la forza dell’amore per le proprie origini e per il proprio passato come il protagonista di Assandira.
I personaggi hanno come teatro Assandira un agriturismo che Grete e Mario convincono Costantino a costruire e dove va in scena il conflitto tra il vecchio e il nuovo, tra la tradizione e la modernità. Il dramma si consuma tra i tre personaggi principali Costantino, suo figlio Mario e la nuora Grete, gli altri personaggi, poco definiti, fanno quasi da sfondo a tutta la vicenda. Parlano lingue diverse Grete, Mario e Costantino tedesco/inglese, italiano e sardo quasi a sottolineare la incomunicabilità tra i tre che prova a trovare il punto di incontro ad Assandira, “una parola che è sempre esistita” dirà Costantino all’inquirente Pestis. Mario, irretito dalla compagna, ne asseconda ogni desiderio, non ha mai fatto suoi i valori del padre Costantino e non li comprende e finirà per morire nel tentativo, non di salvare Assandira dall’incendio, ma per cercare la sua moto. Costantino quando lo trova ormai esanime sotto una trave dice: “la moto, è lei che ti ha attirato qui”.. Grete è totalmente al di fuori di questo mondo, per lei è veramente solo un business o solo un gioco, lei chiede e ottiene quello che vuole. Grete lo dice a Costantino sconvolto dopo averla vista con indosso il vestito di sua moglie nel corso di un incontro orgiastico con gli ospiti dell’agriturismo, gli dice: “è solo un gioco”. Costantino è un uomo “all’antica” con dei valori da amare, rispettare e difendere, non riuscirvi porta vergogna. “Quando i figli ti chiedono qualcosa ti fanno un dono, non puoi dire di no ad un figlio” così dice Costantino e, per accogliere quel dono, accetterà la vergogna che nemmeno il fuoco e l’acqua riusciranno a lavare.
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babibabi
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martedì 15 settembre 2020
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ridondante, confuso e troppo lungo
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Premetto che non ho letto il libro di Giulio Angioni al quale il film si ispira liberamente. Il film racconta la tragica storia di un anziano pastore sardo manipolato dal figlio e dalla nuora tedesca i quali lo convincono a trasformare un antico edificio rurale abbandonato in un agriturismo, nascondendogli però a quale tipo di turismo intendevano rivolgersi. Forse l'intento del regista era di esaltare l'orgoglio e le antiche a tradizioni sarde violate dalla avidità senza scrupoli della nuova generazione, fino a giungere alla depravazione più misera ma, dal mio punto di vista, il noir è ridondante, confuso ed esageratamente lungo.
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Premetto che non ho letto il libro di Giulio Angioni al quale il film si ispira liberamente. Il film racconta la tragica storia di un anziano pastore sardo manipolato dal figlio e dalla nuora tedesca i quali lo convincono a trasformare un antico edificio rurale abbandonato in un agriturismo, nascondendogli però a quale tipo di turismo intendevano rivolgersi. Forse l'intento del regista era di esaltare l'orgoglio e le antiche a tradizioni sarde violate dalla avidità senza scrupoli della nuova generazione, fino a giungere alla depravazione più misera ma, dal mio punto di vista, il noir è ridondante, confuso ed esageratamente lungo. Si salvano la splendida interpretazione di Gavino Ledda, nei panni del vecchio e onesto padre, e quella di Anna Konig, l'attrice tedesca che interpreta l' ambigua nuora.
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