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Il dipanarsi dell’intreccio di questo film noir, abbellito da una cornice tarantiniana di schizzi di sangue ovunque e colpi di scena ogni venti minuti – che rievoca pellicole come Le Iene (1992) e The Hateful Eight (2015) – non fa che nascondere un enorme vuoto narrativo.
Grazie a qualche vezzo registico che – in particolare tra primo e secondo atto – coinvolge lo spettatore al punto da farlo immergere nei cunicoli del El Royale, la pellicola intrattiene lo spettatore e lo trascina nella propria follia filmica senza troppi pensieri.
7 sconosciuti a El Royale è uno di quei prodotti di moda che vorrebbero accontentare tutti, giovani e cinefili, amanti delle serie e del sangue. E rischia di scontentare un po’ tutti.
Il risultato è un caleidoscopio divertito e accumulatorio, visivamente scintillante ma fragile nel momento in cui si pretende di allargare il campo e di costruire digressioni che abbracciano l’intero immaginario simbolico dell’America di quegli anni: dalla guerra in Vietnam al clima della paranoia, dagli scandali sessuali dei potenti al culto deviato della personalità.
Il divertissement si trasforma quindi in una metafora onnicomprensiva che il regista non ha né la forza né la profondità per governare, finendo per lasciarsi divorare dalla sua ambizione eccessiva e, a tratti, fuori luogo.
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