The Cured |
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Un film di David Freyne.
Con Elliot Page, Sam Keeley, Amy De Bhrún, Tom Vaughan-Lawlor.
continua»
Titolo originale The Cured.
Horror,
durata 95 min.
- Irlanda 2017.
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Affrontando la Cura e le sue Conseguenze.
di Ashtray_BlissFeedback: 29534 | altri commenti e recensioni di Ashtray_Bliss |
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domenica 29 luglio 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L'opera prima di David Freyne centra l'obiettivo, soddisfa le aspettative e finalmente riesce a ribaltare -parzialmente almeno- i canoni degli zombie movie che nell'ultima decade hanno letteralmente invaso il grande e il piccolo schermo. Costruendo un'opera matura, introspettiva e riflessiva che quasi spontaneamente si presta ad essere interpretata come metafora del mondo che conosciamo, The Cured parte da un incipit eccezionalmente interessante, incuriosendo e motivando lo spettatore sin dal primo, esplicativo frame che fornisce le informazioni necessarie per comprendere gli eventi a seguire. Apprendiamo dunque che l'Irlanda, insieme ad altre nazioni, è stata vittima di un'epidemia virale, causata da un virus chiamato maze, che ha reso gli infetti degli individui pericolosi, aggressivi e famelici ma tutt'altro che disordinati nel modo di attaccare e comunicare tra loro. Ecco dunque il primo aspetto interessante del film in questione; gli zombie, queste iconiche creature, qui si rivelano in grado di comunicare tra loro e unirsi in gruppi con una gerarchia ben precisa, esattamente come i lupi che si radunano in branchi per muoversi, proteggersi e cacciare; una piacevole novità che si distacca dalla classica rappresentazione (stantia e stereotipata) di disordinate e fameliche orde in preda ai loro istinti primordiali. Gli zombie qui, sono sì individui in balia dei loro istinti primordiali e selvaggi, incapaci di autocontrollarsi e di comprendere la gravità nonchè le ripercussioni delle loro azioni, ma sono comunque in grado di organizzarsi in gruppi, stringere legami, talvolta molto forti, col capo branco e generalmente si mostrano in grado di agire in modo strutturato e tutt'altro che caotico. Un elemento di per sè eccezionalmente originale rispetto alla classica rappresentazione narrativa.
Il popolo irlandese nel frattempo è in lenta ripresa dopo lo shock provocato dallo scoppio, violento, dell'epidemia ma ora si trova a dover fare i conti con una nuova realtà; il reinsediamento dei guariti nel tessuto sociale. Questo risvolto è accolto con riluttanza, diffidenza e rancore dalla maggioranza. La popolazione dei sopravvissuti e non infetti non tarda a manifestare la propria rabbia e opposizione anche con atti vandalici e violenti nei confronti dei soggetti guariti e reintegrati, degli ex zombie, considerati ancora alla stregua di mostri immeritevoli di una seconda chance e tantomeno del perdono per gli atti compiuti nella fase della malattia.
La frattura sociale è ormai insanabile, il dolore causato dalla perdita dei propri cari scomparsi è ancora potente e in grado di sopraffare e annebbiare il giudizio, le ferite causate dallo scoppio dell'epidemia sembrano non volersi più chiudere portando i cittadini in una condizione di stallo perpetuo, dove forze opposte continuano a scontrasi senza mai raggiungere un accordo. In queste precarie condizioni sociali seguiamo da vicino la storia di Senan, un uomo ex infetto che fa parte della terza e apparentemente ultima ondata di guariti rilasciati dai centri di detenzione e cura. Senan a dispetto degli altri suoi simili appare subito come un privilegiato; la cognata Abbie è infatti disposta ad accoglierlo in casa senza mostrare un briciolo di titubanza, paura o diffidenza nei suoi confronti. Quello che però non sa è che Senan le nasconde un terribile segreto mentre dovrà far i conti col rapporto inspiegabilmente stretto che Senan mantiene con Connor, un ex avvocato caduto in disgrazia dopo l'epidemia, il comportamento del quale metterà nuovamente a rischio non solo la convivenza e l'armonia famigliare di Abbie ma l'intera popolazione. Poichè Connor è fermamente deciso a reagire al rifiuto, al disprezzo, all'odio che la gente nutre nei suoi confronti e dei suoi simili. Connor infatti, ambiguo e subdolo come appare, rappresenta il portavoce delle istanze tutt'altro che infondate di un gruppo di ex infetti che quotidianamente deve lottare contro l'emarginazione, la violenza, il rifiuto dei propri parenti e per estensione della società che rilega in determinate zone, marchiando le mura degli edifici dove risiedono con simboli che rievocano episodi bui della Storia contemporanea, isolandoli dal resto del mondo e accrescendo in loro il risentimento, la rabbia, l'odio e la voglia di ristabilire giustizia.
Ma il risvolto più inquietante nella storia che seguiamo è rappresentato da un effetto collaterale della cura; gli ex infetti ricordano lucidamente tutto quello che hanno fatto durante la fase della malattia; gli omicidi, il dolore causato e inflitto, il caos e il disordine provocato nelle città. Costituendo, tale elemento, un notevole fattore di rischio per il loro benessere psicofisico ma anche per il loro progressivo reinsediamento, senza ricadute dovute al disturbo post traumatico da stress. Il passato tormenta i guariti, li perseguita e si manifesta spesso sotto forma di violenti e vividi incubi che li inquietano e li disturbano, ma che dopotutto risvegliano e mantengono viva la loro umanità, confermando allo spettatore che anche gli ex infetti, questi ex mostri, vivono il medesimo conflitto interiore dei i sopravvissuti, faticando ad accettarsi e logorati dai sensi di colpa per i crimini commessi.
Senan è l'incarnazione perfetta di questa fragilità, di questo conflitto che non riesce mai a superare, della riconciliazione tra ciò che era e ciò che è diventato a causa del virus e del percorso che è disposto a tracciare d'ora in poi. Incapace di tagliare i ponti con l'onnipresente e dominante Connor e tantomeno di rivelare a Abbie il segreto del suo tormento, risulta un personaggio in grado di creare una forte connessione ed empatia col pubblico, riscattandosi sopratutto nell'atto finale. Incisivo a pari merito è il personaggio interpretato da Vaughan-Lawlor anche se archetipo di villain, schivo, cupo e vendicativo; un perfetto capobranco, o alpha male, in grado di guidare un'anti-protesta prima e una vera e propria rivoluzione poi a favore dei guariti con istante non solo logiche ma giuste anche quando il fine non giustifica i mezzi. Matura e convincente la prova di Ellen Page, qui in vesti anche di produttrice, regalandoci una Abbie audace e coraggiosa (nelle vesti di reporter) ma anche di una donna premurosa in cerca di reagire al dolore e alla perdita subita (nelle vesti di madre e vedova).
Implicitamente la pellicola non può che servire da metafora del mondo in cui viviamo, dove non è necessario essere circondati da ex zombie e infetti per capire la portata della discriminazione, dell'isolamento ed emarginazione sociale, della criminilazzazione e ghettizzazione a cui vanno quotidianamente incontro interi gruppi sociali complice il nostro assordante silenzio e cinismo di cui siamo incurabili portatori. I rimandi si estendono ovviamente ai violenti trascorsi che l'Irlanda ha vissuto durante il secolo scorso citando esplicitamente o meno le sommosse, gli scontri, i disordini e ovviamente le vittime causate durante gli anni di proteste e di vili atti terroristici.
Naturalmente il carattere intimista e introspettivo del film accentuato anche dal ritmo lento, nonchè le complesse tematiche che affronta, rischiano di rilegarlo tra i film di nicchia, quelli anni luce lontani dai prodotti mainstream di rapido consumo rendendolo idoneo ad una parte soltanto di spettatori. Ma proprio in questa sua caratteristica racchiude tutta la sua forza e originalità; The Cured non è un action/ horror movie che si aggrappa ai momenti di puro splatter per accattivare lo spettatore. Qui la violenza, i momenti più carichi e visivamente potenti, sono ben dosati e funzionali ai fini della trama, hanno sempre uno scopo. Non sono gratuiti, non sono a servizio del semplice intrattenimento mordi-e-fuggi. Del resto scopo del film non è quello d'impressionare ma al contrario creare un nuovo immaginario narrativo dove gli zombie non appaiono come "semplici" mostri assetati di sangue bensì come persone sofferenti affette da una malattia che gli fa perdere l'autocontrollo e conseguentemente la capacità di comportarsi e agire in modo razionale e civile, e nei confronti dei quali è possibile provare empatia comprendendo il loro stesso disorientamento, la loro confusione e stati d'animo una volta guariti. La cura si mostra efficace ma le conseguenze sono quelle più ardue da affrontare.
In conclusione The Cured appare come un ottimo prodotto, dalla trama solida e originale, nonchè finemente orchestrato e diretto. Particolarmente efficiente l'utilizzo della fotografia dai colori saturi, quasi spenti, quasi grigi volti a enfatizzare il contesto di precarietà e instabilità sociale e individuale in un decadente ambiente urbano. Ancora una volta la tematica degli infetti, o zombie, non è altro che una pungente e attuale metafora sugli zombie, sui mostri, che si annidano dentro di noi e che ci trasciniamo dietro da anni. Quelli che ci istigano alla violenza, alla discriminazione, alla separazione tra "noi" e "loro" anestetizzando la nostra residua umanità e annebbiando sempre di più il confine tra umano e disumano.
Pellicola quasi perfetta, da vedere per riflettere ma anche per uscire dalla solita comfort zone cinematografica in quanto ai film sugli zombie-infetti. Il cinema europeo si riconferma anni luce lontano da quello americano e molte spanne sopra privilegiando sepre la qualità estetica e narrativa. 4/5.
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