Final Portrait - L'Arte di essere Amici |
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Un film di Stanley Tucci.
Con Geoffrey Rush, Armie Hammer, Tony Shalhoub, Sylvie Testud.
continua»
Titolo originale Final Portrait.
Biografico,
Ratings: Kids+13,
durata 90 min.
- Gran Bretagna 2017.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 8 febbraio 2018.
MYMONETRO
Final Portrait - L'Arte di essere Amici
valutazione media:
2,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Arte e tormenti dello svizzero Giacometti
di Roberto Nepoti La Repubblica
Nel 1964, a Parigi, il critico d'arte e scrittore James Lord accetta di posare per una tela dell'artista svizzero Alberto Giacometti, nell'ultima fase della sua attività creativa. Gradualmente Lord si rende conto che il giorno del progettato ritorno in America si allontana, perché l'opera stenta ad andare avanti. Giacometti, infatti, è distratto da molte cose: dal rapporto con la moglie Annette, da quello con la giovane prostituta Caroline; ma soprattutto dall'insoddisfazione cronica che lo rode. Sigaretta perennemente alla bocca, Geoffrey Rush somiglia in modo impressionante all'artista, incluso il passo zoppicante dovuto all'incidente del 1938 che Sartre narrò nelle Parole. Certo di esserne il "doppio", si lascia andare a una recitazione istrionica del tipo che dovrebbe essere vietato; mentre Armie Hammer (un James Lord di cui il film preferisce ignorare l'omosessualità) fatica a dare carne e sangue al suo personaggio, concepito come puramente funzionale. Né Sylvie Testud, nella parte della moglie di Giacometti, o Clémence Poésy, in quella della sua ultima amante, contribuiscono a portare avanti l'azione. Così il film si riassume in una serie di lunghe sedute, intervallate da infiniti "fuck" di Giacometti a certificarne l'incertezza e la frustrazione perenne, che valsero a classificarlo come artista esistenzialista. Stanley Tucci non evita i cliché sull'arte, abituali al filone in cui si cimenta: atelier caotico, intemperanze sessuali, alcoliche, tabagiste, disprezzo per il denaro. Vedi la gag, non felicissima, in cui Lord si stupisce che Giacometti e il fratello conservino un'enorme somma in casa ("ma siete svizzeri! Avete le banche" - e lo scultore: "Sì, ma siamo svizzeri italiani"). Probabilmente l'aspetto più azzeccato riguarda l'eterna incertezza del protagonista, al culmine della fama e tuttavia tormentato dal vizio della perfezione tanto da cancellare tutto per ripartire sempre da zero. Come se la tela, in qualche modo, fosse lo specchio che gli rimandava l'immagine della sua insufficienza. Più ovvi i tratti inerenti alla personalità del grande artista: tutto genio e sregolatezza, sofferente e manipolatore, egoista e tormentato. Ma in complesso la quinta regia di Tucci, pur non riuscendo a essere quel raffinato film d'autore cui aspirerebbe, risulta un'opera dignitosa, un po' convenzionale, che non lascerà un segno nella storia del cinema però si lascia vedere con un certo interesse.
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