Kantemir Balagov, classe 1991, allievo della scuola di Sokurov, si è imposto con prepotenza e anche leggerezza nel suo esordio, Tesnota, vincendo il premio della critica a Cannes nel 2017.
L’opera ha un significato quasi paradigmatico: Tesnota significa infatti vicinanza, soffocamento, un aggettivo che ci proietta ex abrupto, con titoli di testa in cirillico, in un formato 4:3, volutamente quadrato che taglia i volti dei protagonisti, come nelle TV di una volta, stringendone le inquadrature e costringendo noi spettatori a entrare lentamente nell’incubo di quel Caucaso, ambientazione della pellicola.
Siamo nella repubblica di Kabardino-Balkaria, capitale Nalchik, dove Kantemir Balagov è nato, sul finire degli anni ’90. La Cecenia è ancora un crocevia di morte, sangue e guerra. Continue le rivendicazioni autonomiste contro la Russia e i vari conflitti etnici e religiosi di una società completamente disgregata in tribù autonome e indipendenti.
In questo coacervo di disperazione, vive l’amore di una coppia di fidanzati ebrei Davide e Lea, rapiti alla vigilia delle nozze. Ne segue una richiesta di riscatto ma la cifra è troppo ingente per le famiglie, dall’estrazione sociale non propriamente elevata. La tensione aumenta e neppure il rabbino della sinagoga riesce, col contributo delle offerte della comunità, a raggiungere la cifra richiesta. Inutile chiamare la polizia, l’intento è quello di evitar scintille esplosive di un territorio troppo martoriato da guerre interne.
E in questo contesto che si inserisce la gioia di vivere contrastata, smorta da quell’atmosfera pesante e indicibile di Ilana, la sorella di David. Lei è una ragazza di vent’anni, libera, incapace di rispettare il volere materno, appartenente alla minoranza ebraica. Lavora con passione nel garage del padre e cerca di tener fede al proprio spirito indipendente frequentando un fidanzato cabardo, conscia che non le sarà mai permesso di sposarlo.
E sarà lei, quando il fratello, verrà rapito, a salvare tutto e tutti. Nonostante l’odio e le sottili trame che la famiglia ordiranno nei suoi confronti, quella famiglia in cui vige ancora un sentimento austero e patriarcale, figlia di un destino sociale segregato al volere genitoriale, Ilana diverrà agnello sacrificale ideale per restituire quella vita perduta ma prediletta all’ipocrita comunità. A caro prezzo.
Sullo sfondo di atroci decapitazioni, bandiere sventolanti, guerriglieri che annunciano paci effimere, in Tesnota, Balagov fa vivere il dramma di una comunità russa esule che si abbraccia dietro disgregazioni sociali, avulse dietro un conflitto irrequieto e violento. In esso, tuttavia il cineasta, lascia intravedere quel minimo di leggerezza e profondità intima e privata di un abbraccio, quasi il leitmotiv di un paradosso secondo cui, per salvare qualcuno che amiamo, siamo disposti a perdere qualsiasi altra cosa, anche sacrificando la nostra felicità per sempre.
Gli abbracci duraturi, estremizzati per molte scene, delineano l’impronta di un racconto che riflette le grandi contraddizioni della madre Russia, l’ostracismo femminile, prediligendo con un andamento quasi ipnotico, frutto di una musica e di una inquadratura da manuale che trasuda l’aurea di illustri russi, l’ineluttabile destino nel vago ricordo di una vita che non è più possibile portare avanti. Amaramente e ineluttabilmente sincero.
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