vanessa zarastro
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giovedì 8 agosto 2019
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“gruppo di famiglia in un interno”
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“Closeness”, titolo internazionale, è film molto intenso, che narra le vicissitudini di una famiglia ebrea sullo sfondo dell’inizio della Seconda Guerra Cecena. Siamo nel 1998 a Nalchik, una città di circa 200.000 abitanti nella Russia meridionale, in Caucaso, nella valle del fiume omonimo. Lì vivono varie popolazioni sia i Cabardi che i Balcari, entrambi di religione musulmana, ma esiste ancora una piccola comunità di Ebrei facenti parte del gruppo, chiamato anche “Ebrei del Caucaso” o Juhuro, che vive in quella regione .
Ed è proprio in una di queste famiglie che si svolge la vicenda. Avi e Adina (interpretati da Artem Tsypin e Olga Dragunova) vivono con i due figli Llana (una splendida Darya Zhovnar) e David (Veniamin Kats) in una piccola casa in affitto.
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“Closeness”, titolo internazionale, è film molto intenso, che narra le vicissitudini di una famiglia ebrea sullo sfondo dell’inizio della Seconda Guerra Cecena. Siamo nel 1998 a Nalchik, una città di circa 200.000 abitanti nella Russia meridionale, in Caucaso, nella valle del fiume omonimo. Lì vivono varie popolazioni sia i Cabardi che i Balcari, entrambi di religione musulmana, ma esiste ancora una piccola comunità di Ebrei facenti parte del gruppo, chiamato anche “Ebrei del Caucaso” o Juhuro, che vive in quella regione .
Ed è proprio in una di queste famiglie che si svolge la vicenda. Avi e Adina (interpretati da Artem Tsypin e Olga Dragunova) vivono con i due figli Llana (una splendida Darya Zhovnar) e David (Veniamin Kats) in una piccola casa in affitto. Lui ha un’officina di meccanico dove ripara automobili e la figlia – che indossa eternamente una salopette di denim - lo aiuta nel suo lavoro poco interessata a svolgere mansioni più adatte ad una ragazza della sua età. Adina è rappresentata come la classica Jewishmama, soffocante custode di regole e tradizioni. Rispettosa in modo ossessivo delle convenzioni, colpevolizza i figli, in particolare Llana, per essere trasgressivi e poco ortodossi.
David sta insieme a una ragazza di buona famiglia e nel film è mostrata, con dovizia di dettagli, la festa del fidanzamento dove lui regala a lei degli splendidi orecchini con una pietra verde, colore che lei sembra amare molto. Il tutto avviene in spazi strettissimi dove gli interni sono strapieni di oggetti.
Ma finita la festa, proprio in un giorno felice e così importante, i due giovani vengono rapiti e la famiglia si trova a dover far fronte al pagamento del riscatto.
Naturalmente è impensabile per loro rivolgersi alle autorità, al di là del rischio, è la loro rassegnazione e la sfiducia nell’aiuto delle Istituzioni. Il popolo ebraico sa di non essere amato, in Russia la comunità ebraica ha subito i pogrom, le persecuzioni, quindi ha imparato a doversi arrangiare da solo.
A tal fine si riunisce la piccola comunità ebraica per cercare di aiutare economicamente la famiglia, ma anche con una colletta generosa si riesce a racimolare solo la metà della cifra richiesta.
Avi e Adina ricevono una proposta da un ricco affarista della comunità che gli offre di comperare l’officina con tutti i materiali dentro a un prezzo stracciato. Naturalmente la cifra non è assolutamente quella di mercato, ma i due coniugi disperati e presi con l’acqua alla gola, accetteranno prefiggendosi poi di andar via (anche) da quel villaggio. Anche la disgrazia la prossima futura povertà vengono vissute come vergogna.
Llana si ribella a questa ignobile offerta e rifiuta anche l’idea di andare via un’ennesima volta, di ricominciare tutto da capo a costruirsi delle nuove amicizie. In particolare sembra essersi invaghita di un cabardo che lavora alla stazione di servizio e che ricambia con entusiasmo le sue effusioni.
Ma il rapimento è una sorta di escamotage narrativo per far uscire allo scoperto le tensioni sottese in quella famiglia. Llana, figlia femmina e primogenita non si è mai sentita amata e vede la madre occuparsi prevalentemente del figlio maschio, con il quale ha un rapporto esclusivo, come tanta letteratura ebraica narra. Arrivare addirittura a sacrificare ogni bene per salvare il maschio e chiedere, per contro, anche dei grossi sacrifici alla figlia femmina è una di quelle ingiustizie verso le quali Llana combatte. E lo fa a modo suo, con i suoi metodi talvolta autolesionisti e melodrammatici in modo tale che siano palesi e privi di equivocità.
Molto impressionante è la scena in cui Llana è con gli amici del suo ragazzo, bevono tutti insieme e guardano un violento filmato di torture e uccisioni perpetuate dalle Brigate Internazionali islamiche. Bella è, invece, la scena finale dove qualcosa cambierà negli equilibri affettivi di quella famiglia, senza entrare nella narrazione svelandone i particolari.
Il film è girato in formato 4:3 con la macchina sempre addosso ai protagonisti, che amplifica la sensazione claustrofobica. Una doppia claustrofobia è presente nel film: quella fisica causata dagli spazi stretti e angusti e quella psicologica causata dalla cappa dell’insieme di discriminazioni femminili, razziali, religiose e culturali.
“Tesnota”, nonostante sia un’opera prima di Kantemir Balagov, mostra una grande maturità tecnica ed espressiva del giovane regista allievo di Sakarov. Il film è stato presentato a Cannes nel 2017 e Kantemir Balagov è stato premiato con il prestigioso premio FIREPRESCI (Fédération Internationale de la Presse Cinématographique) nel 2019.
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eugenio
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venerdì 19 giugno 2020
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dramma e poesia durante il secondo conflitto cecen
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Kantemir Balagov, classe 1991, allievo della scuola di Sokurov, si è imposto con prepotenza e anche leggerezza nel suo esordio, Tesnota, vincendo il premio della critica a Cannes nel 2017.
L’opera ha un significato quasi paradigmatico: Tesnota significa infatti vicinanza, soffocamento, un aggettivo che ci proietta ex abrupto, con titoli di testa in cirillico, in un formato 4:3, volutamente quadrato che taglia i volti dei protagonisti, come nelle TV di una volta, stringendone le inquadrature e costringendo noi spettatori a entrare lentamente nell’incubo di quel Caucaso, ambientazione della pellicola.
Siamo nella repubblica di Kabardino-Balkaria, capitale Nalchik, dove Kantemir Balagov è nato, sul finire degli anni ’90.
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Kantemir Balagov, classe 1991, allievo della scuola di Sokurov, si è imposto con prepotenza e anche leggerezza nel suo esordio, Tesnota, vincendo il premio della critica a Cannes nel 2017.
L’opera ha un significato quasi paradigmatico: Tesnota significa infatti vicinanza, soffocamento, un aggettivo che ci proietta ex abrupto, con titoli di testa in cirillico, in un formato 4:3, volutamente quadrato che taglia i volti dei protagonisti, come nelle TV di una volta, stringendone le inquadrature e costringendo noi spettatori a entrare lentamente nell’incubo di quel Caucaso, ambientazione della pellicola.
Siamo nella repubblica di Kabardino-Balkaria, capitale Nalchik, dove Kantemir Balagov è nato, sul finire degli anni ’90. La Cecenia è ancora un crocevia di morte, sangue e guerra. Continue le rivendicazioni autonomiste contro la Russia e i vari conflitti etnici e religiosi di una società completamente disgregata in tribù autonome e indipendenti.
In questo coacervo di disperazione, vive l’amore di una coppia di fidanzati ebrei Davide e Lea, rapiti alla vigilia delle nozze. Ne segue una richiesta di riscatto ma la cifra è troppo ingente per le famiglie, dall’estrazione sociale non propriamente elevata. La tensione aumenta e neppure il rabbino della sinagoga riesce, col contributo delle offerte della comunità, a raggiungere la cifra richiesta. Inutile chiamare la polizia, l’intento è quello di evitar scintille esplosive di un territorio troppo martoriato da guerre interne.
E in questo contesto che si inserisce la gioia di vivere contrastata, smorta da quell’atmosfera pesante e indicibile di Ilana, la sorella di David. Lei è una ragazza di vent’anni, libera, incapace di rispettare il volere materno, appartenente alla minoranza ebraica. Lavora con passione nel garage del padre e cerca di tener fede al proprio spirito indipendente frequentando un fidanzato cabardo, conscia che non le sarà mai permesso di sposarlo.
E sarà lei, quando il fratello, verrà rapito, a salvare tutto e tutti. Nonostante l’odio e le sottili trame che la famiglia ordiranno nei suoi confronti, quella famiglia in cui vige ancora un sentimento austero e patriarcale, figlia di un destino sociale segregato al volere genitoriale, Ilana diverrà agnello sacrificale ideale per restituire quella vita perduta ma prediletta all’ipocrita comunità. A caro prezzo.
Sullo sfondo di atroci decapitazioni, bandiere sventolanti, guerriglieri che annunciano paci effimere, in Tesnota, Balagov fa vivere il dramma di una comunità russa esule che si abbraccia dietro disgregazioni sociali, avulse dietro un conflitto irrequieto e violento. In esso, tuttavia il cineasta, lascia intravedere quel minimo di leggerezza e profondità intima e privata di un abbraccio, quasi il leitmotiv di un paradosso secondo cui, per salvare qualcuno che amiamo, siamo disposti a perdere qualsiasi altra cosa, anche sacrificando la nostra felicità per sempre.
Gli abbracci duraturi, estremizzati per molte scene, delineano l’impronta di un racconto che riflette le grandi contraddizioni della madre Russia, l’ostracismo femminile, prediligendo con un andamento quasi ipnotico, frutto di una musica e di una inquadratura da manuale che trasuda l’aurea di illustri russi, l’ineluttabile destino nel vago ricordo di una vita che non è più possibile portare avanti. Amaramente e ineluttabilmente sincero.
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carloalberto
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lunedì 8 febbraio 2021
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di una lentezza spasmodica
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Balagov, giovane regista russo al suo esordio, dimostra impegno civile e coraggio, nonché una certa originalità stilistica. Il tutto gli è valso il premio della critica al festival di Cannes. La visione tuttavia non si presenta facile. Il film è di una lentezza spasmodica e forse le due ore di girato potevano essere ridotte da un montaggio più selettivo. Il tema dell’emarginazione della comunità ebrea in una remota regione della Russia a maggioranza islamica e quello della subordinazione della donna nell’ambito della sua stessa comunità sono al centro di una storia che coinvolge una famiglia intera, che, messa di fronte ad una scelta drammatica, ne scarica sulla figlia maggiore, interpretata da una giovane e promettente Dar'ja Žovner, tutte le tensioni e le conseguenze, anche economiche.
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Balagov, giovane regista russo al suo esordio, dimostra impegno civile e coraggio, nonché una certa originalità stilistica. Il tutto gli è valso il premio della critica al festival di Cannes. La visione tuttavia non si presenta facile. Il film è di una lentezza spasmodica e forse le due ore di girato potevano essere ridotte da un montaggio più selettivo. Il tema dell’emarginazione della comunità ebrea in una remota regione della Russia a maggioranza islamica e quello della subordinazione della donna nell’ambito della sua stessa comunità sono al centro di una storia che coinvolge una famiglia intera, che, messa di fronte ad una scelta drammatica, ne scarica sulla figlia maggiore, interpretata da una giovane e promettente Dar'ja Žovner, tutte le tensioni e le conseguenze, anche economiche. Lo scenario è complesso. Sullo sfondo la dissoluzione del unione sovietica e la guerra dei separatisti Ceceni, la barbarie degli estremisti islamici, la condizione di estrema povertà e degrado delle periferie urbanizzate, la desolazione di giovani vite senza futuro che affogano nell’alcol l’angoscia e la disperazione di un vuoto esistenziale palpabile in ogni fotogramma. A parte il capofamiglia, tratteggiato come un bonaccione innamorato della figlia, gli altri personaggi maschili non suscitano nessuna simpatia. Forse sono stati scelti proprio per questo, perché alla fine si empatizzi esclusivamente con la protagonista femminile, ma ciò costituisce un ulteriore elemento che contribuisce a rendere ostica la fruibilità della pellicola, soprattutto per un pubblico abituato al cinema americano laddove si arriva all’opposto e cioè di rendere simpatici anche i personaggi più mostruosi.
Impressionante è l’improvvisa disfonia che colpisce la protagonista nel finale, della quale peraltro i genitori sembrano non accorgersi, che dona un carattere surreale ad un film fino a quel momento realistico, metaforizzando l’impossibilità delle donne di farsi valere e quindi di far sentire la propria voce nelle decisioni familiari, nella propria comunità e, per estensione, nelle scelte politiche del paese. La didascalia finale lascia un senso di amaro in bocca, il regista si congeda dal pubblico dicendo di non sapere che fine abbiano fatto i suoi personaggi, abbandonandoli sulla strada di una ennesima peregrinazione, alla ricerca di un posto dove poter costruire qualcosa di stabile ed un improbabile futura serenità.
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fabiofeli
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martedì 13 agosto 2019
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ribellarsi è giusto
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Ilana (Darya Zhovnar) lavora fino a tardi nell’officina del padre e rincasa insieme a lui, trovando i preparativi per la festa di fidanzamento del fratello, David (Veniamin Kac), con una ragazza della piccola comunità ebraica di Nalchik. La popolazione del luogo è in gran parte di etnia cabarda e pratica la religione mussulmana. Siamo nel 1998 in una piccola repubblica russa del Caucaso, situata a ovest della Cecenia, tra le due guerre che hanno insanguinato i luoghi. Ilana è molto legata al fratello, ma non le interessano le tradizioni familiari legate alla liturgia ebraica.
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Ilana (Darya Zhovnar) lavora fino a tardi nell’officina del padre e rincasa insieme a lui, trovando i preparativi per la festa di fidanzamento del fratello, David (Veniamin Kac), con una ragazza della piccola comunità ebraica di Nalchik. La popolazione del luogo è in gran parte di etnia cabarda e pratica la religione mussulmana. Siamo nel 1998 in una piccola repubblica russa del Caucaso, situata a ovest della Cecenia, tra le due guerre che hanno insanguinato i luoghi. Ilana è molto legata al fratello, ma non le interessano le tradizioni familiari legate alla liturgia ebraica. Il dramma esplode col rapimento dei due fidanzati: la cifra richiesta per il riscatto è troppo alta e può rovinare per sempre la famiglia di Ilana …
Kantemir Balagov è un regista non ancora trentenne formatosi alla scuola del grande Alexandr Sokurov (autore di un indimenticabile Faust e che a sua volta è stato allievo di Tarkowskij) e descrive il luogo nel quale è nato senza indulgenza. La tristezza delle case ingombrate di mobili antiquati, con i tendaggi multicolori alle finestre, di un gusto kitsch ai nostri occhi, rispecchia il disgelo primaverile che non ha più il candore della neve e inonda ai lati la strada di nero asfalto, colorando il paesaggio montagnoso senza alte cime ed i fiumi lì accanto di tinte dimesse – ocra, verde sbiadito e marrone –, che sono proprio quelle del “tailleur” che la madre di Ilana, Adina (Olga Dragunova), vuole imporre alla ragazza per la festa di fidanzamento di David. Le azioni del film sono descritte con primi e primissimi piani, nei quali spiccano le qualità di Darya Zhovnar, distillate da una sceneggiatura scarna e con poco dialogo, spesso reticente, ma che poggia su una recitazione eccellente. Il conflitto generazionale tra la figlia e la madre, piegata al potere patriarcale, inizia con scontri marginali, ma poi si approfondisce: il personaggio di Ilana è un “maschiaccio” che ripara automobili, che ama vestire con una salopette-jeans ed un maglione girocollo come un operaio; è lei che guida l’auto di famiglia; frequenta un giovane cabardo con il quale si reca in allucinate discoteche e feste “rave” che cercano di scimmiottare gli squallidi “paradisi occidentali” di giovani in cerca di sballo; non intende assolutamente sposare un giovane correligionario che la assedia da sempre, ed è pronta a tutto, anche a lasciare per sempre il suo ragazzo e il luogo natale con i fiumi torbidi e le montagna spoglia. Se deve sacrificarsi per salvare l’adorato fratello, la scelta di come farlo spetta a lei. E’ consapevole che “ribellarsi è giusto”, perché la parità tra i sessi scardina molte delle ingiustizie del mondo industrializzato, ed ancor più quelle dei luoghi nei quali la soggezione femminile all’uomo è regola per tradizione e/o per credo religioso. Nei saldi cinematografici della torrida estate spunta una perla nel letamaio come racconta Fedro: il momento dell’uscita della pellicola è sbagliato, ma nulla toglie al valore dell’opera e non ce la facciamo sfuggire. Anzi: vediamo un film – un’opera prima presentata a Cannes 2017 nella sezione Un certain renard - da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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