Fuocoammare

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Un film di Gianfranco Rosi. Con Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana, Pietro Bartolo.
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Documentario, durata 107 min. - Italia, Francia 2016. - 01 Distribution uscita giovedì 18 febbraio 2016. MYMONETRO Fuocoammare * * * - - valutazione media: 3,46 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

come si cresce a Lampedusa nonostante i migranti Valutazione 3 stelle su cinque

di vanessa zarastro


Feedback: 34043 | altri commenti e recensioni di vanessa zarastro
mercoledì 2 marzo 2016

Il titolo completo del film, a mio avviso, dovrebbe essere: “Fuocoammare, ovvero come si cresce a Lampedusa nonostante i migranti”. Rosi per girare il film ha vissuto un anno sull’isola, ha esaminato bene i problemi e ha conosciuto a fondo le persone del luogo. Il film, infatti, presenta due storie, o meglio due situazioni, che scorrono parallelamente nell’isola senza incontrarsi. Samuele è il bambino dodicenne nato e cresciuto sull’isola il cui padre fa il pescatore e vivono entrambi con i nonni paterni. È una descrizione poetica di una vita fatta di nulla o di piccole cose che ricorda un po’ l’infanzia e l’adolescenza di mezzo secolo fa, senza troppe tecnologie (non c’è neanche un cellulare in tutto il film) fatta di giochi all’aperto, di fionde auto-costruite, di uccellini di notte, di motorini e di barche a remi.
Il film, girato molto su tempi reali, riesce a trasmettere il disagio del passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, fatto di paure, di miti dell’uomo forte (papà ma tu soffrivi di mal di mare da piccolo?), di dubbi e incertezze tra la caccia agli animali e la loro amicizia. Anche la lentezza delle scene comunica la lunghezza delle giornate e una certa noia quotidiana che ognuno di noi può ricordare dei propri malesseri pre-adolescenziali.
Così le scene negli interni: la nonna che cucina, la nonna che cuce, i nonni che prendono il caffè, il pranzo con gli spaghetti e le seppie, il rifacimento quotidiano del letto, hanno dei tempi lunghissimi, a mio avviso anche un po’ eccessivi.
L‘altra storia, invece, è fatta di vite salvate, di barconi arrivati, di accoglimento e identificazione (con i numeri) dei migranti. Le due storie si alternano nel montaggio inframezzati dalla radio locale che trasmette musiche (per lo più canzoni siciliane) che i radioamatori scelgono e dedicano ai loro cari. L’unico elemento in comune è l’assistenza del dott. Pietro Bartolo, direttore dell’ASL di Lampedusa da una trentina d’anni, che accudisce gli abitanti così come si occupa, con amore e sofferenza, di tutti coloro che giungono via mare dal continente africano non abituandosi mai al dolore e alla morte.  
I tempi lenti descrivono la vita del sud in generale con le sue lentezze nei gesti, tempo e spazio isolani lontani mille miglia dalla cosiddetta “civiltà” continentale o, tantomeno, metropolitana. Le scene sono bellissime, inquietanti e commoventi pur senza descrivere o indugiare sulle disgrazie.
Rosi sembra sempre accennare ai temi senza mai scavarli a fondo a metà tra il documentario e il film (ma li chiamano docu-film appunto?) e riconosco in questo gli stessi elementi riscontrati nel suo “Sacro G.R.A.” anche nelle scelte che non condivido. Anche lì ci sono vari mondi, quello interno nelle case, quelli nei vari luoghi vissuti dagli abitanti (il botanico, il nobile piemontese e sua figlia laureanda, un barelliere, il pescatore di anguille…le pecore) a ridosso del raccordo; tutti questi mondi sono in contrapposizione a un altro più alluso che è proprio la vita dell’autostrada. Ma quello era un documentario (sui generis) che durava 93’.
C’è, a mio avviso, qualcosa nel montaggio dei suoi film che non convince e che mi lascia perplessa: come fosse un po’ artificioso, si sente pensato a tavolino, che toglie scorrevolezza e naturalezza ai suoi lavori. Ciononostante Rosi ha sicuramente meritato il riconoscimento dell’Orso d’oro 2016 a Berlino e che ha accolto così: «Dedico il premio a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare su quest’isola nel loro viaggio della speranza, e ai lampedusiani che dai primi sbarchi del 1991 accolgono chi scappa dalla fame e dalle guerre. È un posto di pescatori che accetta tutto quello che viene dal mare. Una lezione che dovrebbe essere imparata da tutti. Non è accettabile che la gente muoia in fuga dalle tragedie».

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