Un film anomalo Billy Lynn, eppure allo stesso tempo così facilmente inquadrabile e prevedibile.
Billy Lynn vede al centro della scena il suo omonimo e diciannovenne protagonista (interpretato dal convincente Joe Alwyn al suo esordio sugli schermi), occhi azzurri e languidi, soldato della squadra Bravo distintosi in una pericolosa azione di guerra nel tentativo di salvare il proprio sergente dal nemico.
Ciò a cui assistiamo è la giornata durante la quale, assieme ai suoi commilitoni, deve presenziare al tradizionale Halftime Show della partita di football del Giorno del ringraziamento. Accolti come degli eroi, ma vittime dei propri traumi, i militari vivranno l’evento come fosse nient’altro che l’ennesima missione di guerra, addestrati come sono nel risultare altro da sè: macchine spietate in battaglia o eroi dal viso pulito in pubblico.
Il susseguirsi di incontri, più o meno formali, tra stampa, spettatori, impresari e imprenditori, è intervallato da continui flashback riguardanti il passato di Billy: il rapporto con la sorella, il ricordo del sergente assassinato e il costante rimbombo delle granate irachene. Fa da filo conduttore la contrattazione tra l’agente e i produttori cinematografici hollywoodiani interessati ad una trasposizione su grande schermo della storia di Billy; da contorno la superficiale storiella sentimentale dello stesso Billy con una cheerleader.
Il tutto è giostrato sul parallelismo continuo tra la violenza della guerra e la superficialità con la quale essa viene percepita da chi non l’ha vissuta; non c’è però una vera progressione drammaturgica e il procedimento risulta più per accumulo. La conseguenza inevitabile è l’eccesso, retorico, nel quale il film gradualmente finirà per naufragare. Una successione senza soluzione di continuità di dialoghi desolanti che esprimono, sì, il vuoto e l’inadeguatezza di chi li pronuncia, ma sono nello stesso tempo incapaci di scavare realmente a fondo nella psicologia dei personaggi.
Molti sono infatti, nel film, i ruoli secondari stereotipati, privi di una vera tridimensionalità e facilmente dimenticabili.
Nonostante tutto la regia di Ang Lee si rivela a tratti molto efficace, soprattutto quando, al culmine della cerimonia, i militari marciano in direzione del palco al centro dello stadio, più che mai straniati da un’atmosfera festante e chiassosa, in cui i fuochi d’artificio non possono che far riaffiorare alla mente il ricordo delle bombe, e il rullo di tamburi il suono dei colpi delle mitragliatrici. E’ qui che i movimenti di macchina si fanno più spettacolari, seguendo, aggirando e avvolgendo Billy e i suoi compagni, mentre il volume della musica e dei rumori si fa sempre più assordante: il tutto concorre nel metterci nella stessa situazione di disagio dei protagonisti, traghettando il nostro percorso emotivo con lo sguardo allucinato ed impotente del protagonista.
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