Amori, furti e altri guai – è opera prima del giovane regista Muayad Alayan. Si tratta di un film autoprodotto e per scarsità di risorse in bianco e nero, ma la povertà di mezzi si trasforma in virtù artistica, e dona all'ottima fotografia un tocco vintage anni '60 che incuriosisce da subito lo spettatore e che, creando una certa distanza, rende ancor più surreali gli eventi narrati. Il regista ha studiato a San Francisco ma ha deciso di ritornare in Palestina per produrre i suoi film.
Al contrario Mousa, il giovane protagonista della pellicola, desidera solo andarsene, fuggire dalla miseria e dalle restrizioni imposte dall'occupazione nel suo paese; il suo sogno è l'Europa, anzi l'Italia, anzi la squadra della Fiorentina.
[+]
Amori, furti e altri guai – è opera prima del giovane regista Muayad Alayan. Si tratta di un film autoprodotto e per scarsità di risorse in bianco e nero, ma la povertà di mezzi si trasforma in virtù artistica, e dona all'ottima fotografia un tocco vintage anni '60 che incuriosisce da subito lo spettatore e che, creando una certa distanza, rende ancor più surreali gli eventi narrati. Il regista ha studiato a San Francisco ma ha deciso di ritornare in Palestina per produrre i suoi film.
Al contrario Mousa, il giovane protagonista della pellicola, desidera solo andarsene, fuggire dalla miseria e dalle restrizioni imposte dall'occupazione nel suo paese; il suo sogno è l'Europa, anzi l'Italia, anzi la squadra della Fiorentina. Non è un eroe, né un martire, solo un maldestro e ingenuo che pagherà care le sue avventatezze. Un giorno ruba un'auto che nasconde nel bagagliaio un soldato israeliano rapito dalle milizie palestinesi e Mousa si ritroverà coinvolto nel conflitto da cui voleva scappare. A tutto ciò si aggiungono i guai amorosi con la bella Manal, da cui ha una figlia e che è sposata ad un altro uomo.
Tra black comedy e thriller politico, il film ci tiene con il fiato sospeso e il sorriso sulle labbra. Il regista trova la giusta misura tra dramma e satira, tra accusa e ironia. Muayad Alayan appartiene alla generazione di palestinesi cresciuta dopo il Trattato di Oslo (1993). Tali accordi hanno sancito per molti la normalizzazione di una condizione inaccettabile. Nel cinema questo ha significato il passaggio dal documentario di denuncia o film drammatico alla commedia e alla satira. Oramai pare che solamente con questi strumenti si possa narrare la realtà paradossale in cui sono costretti a vivere 3 milioni di Palestinesi prigionieri di un muro di 708 chilometri e alto dieci, impediti da limitazioni e controlli di ogni sorta, impoveriti e asserviti dalla violenza dell'occupante.
[-]
|
|