La legge del mercato

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Dura lex sed lex Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


Feedback: 33754 | altri commenti e recensioni di Eugenio
martedì 3 novembre 2015

Non c’è niente da dire: i francesi meglio di qualunque altro sono stati in grado di mostrare con accenni di pacato malessere, il disagio di una perdita, lo spauracchio che incombe come tragedia in particolare tra quelli non giovanissimi: la perdita del posto di lavoro e la conseguente difficoltà di ricollocamento
Ci sono casi, come ci ricorda Emanuelle Carrere in cui il travaso della perdita si traduce in vuoto affettivo che squassa completamente la mente del malcapitato inducendolo ad azioni insensate e spaventosamente violente, lesioniste per sè stesso e soprattutto per i cari che lo circondano.
Non è l’avversario il nuovo film di Stéphane Brizé, non ha in sè le derive di un trauma psicologico che una mancanza di “quodianeità” e di sussistenza economica può determinare, bensì il taglio di un documentario alla Dardenne grazie in particolare all’abilità recitativa del protagonista Vincent Lindon
La loi du marchée l'internazionale A Simple Man, l’italiano La legge del mercato.
La legge sotto la quale tutti, bene o male, siamo costretti a sottostare volente o nolente.
Brizè ci delinea senza fronzoli la storia di Thierry, ex operaio di una fabbrica licenziato dopo venticinque anni a causa delle ben nota “delocalizzazione”, processo assai comune di trasferire l’intero operato in contesti economicamente più favorevoli che possano tradursi quindi in un miglioramento “del conto economico” dell’azienda e delle sue entrate.
Senza troppi giri di parole, a cinquant’anni suonati, con una moglie e un figlio disabile, Thierry si trova disoccupato. Frequenta corsi di formazione come aiuto gruista, inutili quanto inconcludenti per la sua attuale posizione, incapace quindi di garantirgli, malgrado l’assistenza e l’aiuto del centro dell’impiego, una ricollocazione efficace.
Cerca e tanto fa, lo vediamo nella mezz’ora di film che  ci presenta uno spaccato abbastanza comune nel mondo (non solo nella latina Francia o Italia) lavorativo con tanto di colloqui impersonali e acidi via Skype, altri comportamentali dove alla formula del “Le faremo sapere” si sostituisce sin da subito la diretta “lei ha pochissime se non nulle possibilità di essere assunto” che fanno della ricerca del posto (anche precario,figurarsi fisso) l’eterna lotta di dannazione contro lo spettro dell’inabilità quotidiana. Thierry non si arrende complice la delicata situazione familiare e pensa addirittura di vendere la propria casa per riuscire a rientrare nelle spese a causa dell’esiguo assegno di disoccupazione incapace di fornire l’adeguata assistenza necessaria al figlio.
Questa la prima parte.
Senza badare a retoriche di fondo, il cineasta Brizè cambia prospettiva. Al centro della sua narrazione descrive un “secondo tempo” senz’altro più positivo per lo stesso Thierry visto che  le sue ricerche  hanno prodotto un esito positivo con l’assunzione in un ipermercato in qualità di guardia giurata. In pratica quelli che controllare i tentativi di furto e li sventano prontamente.  
Ma è solo apparenza, niente è allegro anzi.
Dinanzi alla carrellata umana di coloro che rubano per sostentarsi, di cassiere disoneste che si appropriano di buoni pasto, di coloro che sfruttano la propria carta facendosi passare la spesa di altre persone, si muove il nucleo fondante del film e parzialmente, la via che Brizè declina nel percorso negativo di immaturazione lungo le variegate vie del destino che portano la volontà a scontrarsi dinanzi alla stolida disperazione odierna.
Il ladro non ha età nè colore, è bambino,vecchio, tutti ne sono potenziali vittime, chiosa così il suo collega di lavoro.
Da timido e remissivo personaggio, pur non cambiando nulla nella sua superficie, il comportamento di questo emblema di una società allo sbando che ha perso bussola e orizzonti umani, diverrà ben presto quello di un uomo costretto a misurarsi con le leggi di un mercato, che non perdona nulla, che non ha pietà per coloro che sono, volente o nolente, in una situazione prossima alla sua.
E’ un film di denuncia, inutile nasconderlo, La legge del mercato. Denuncia a un sistema non sufficiente preparato al ricollocamento di coloro che giovani non sono più, denuncia di un mondo sottopagato e precario fatto di sotterfugi, denuncia nei confronti di una società che non perdona nulla, dove il forte vince sempre sul più debole.
Eppure, se l’intento è comune a tanto cinema reale odierno, dove al boom economico della ricerca del posto fisso, si è passati alla “scintilla” del precario, La legge del mercato, offre al pubblico un prodotto mai lento che mostra nella sua gradualità di frequenti piani sequenza e primi piani del volto segnato del protagonista, altri di taglio altrettanto più leggero (le lezioni di ballo) che ne sdrammatizzano la pesantezza. 
La mimica dell’accondinscenza, una malattia direbbe Serra, in cui tutti compatiscono e cercano di aiutare il prossimo non palesando interessi nascosti, è qui particolarmente evidente.
La banca,  il primo sciacallo, dal volto irenico della candida impiegata che gli prospetta la morte e quindi la necessità di vendere la casa per acquistarne una più piccola, in modo da avere una sufficiente copertura assicurativa, l’incontro di gruppo in cui si vedono le immagini di un malcapitato in sede di colloquio studiate e scandagliate da altri per evidenziarne e (quasi mettere alla berlina) punti deboli, la non-chalance di chi aiuta ma accoltella alle spalle come il direttore dell’ipermercato pronto a licenziare la cassiera per l’atto disonesto ai margini della pensione, causandone un tracollo emotivo che si tradurrà nel suicidio della signora, insomma, tutti eventi, tutte piccole cose alla luce che rivelano un sottosuolo di coperture e nefandezze, piccole appunto ma sintomatiche.
Uno streamline di verità che fa riflettere tutti coloro che, volente o nolente, sono passati e hanno vissuto sulla “propria pelle” il percorso “formativo” di Thierry.

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