I Origins |
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Un film di Mike Cahill.
Con Michael Pitt, Brit Marling, Astrid Berges-Frisbey, Steven Yeun, Archie Panjabi.
continua»
Drammatico,
durata 113 min.
- USA 2014.
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"Sundance Science Fiction" fra indie e Indiadi Mauro LanariFeedback: 8041 | altri commenti e recensioni di Mauro Lanari |
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domenica 21 dicembre 2014 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Cahill al secondo lungometraggio non lascia ma rilancia nel suo cinema che lui stesso considera influenzato da Kieślowski, un cinema caratterizzato dai dilemmi esistenziali sulla filosofia del soggetto, caso e destino, vita e morte, scienza e fede, ecc. E insiste nel trattarli con una superficiale ingenuità antitetica alla profondità ch'essi richiederebbero. Pare tuttavia che se n'accorgano in pochi, in quanto l'ingenuità coinvolge pure la sfera affettiva e lui è abile nel piazzare delle scene madri conformistiche e proprio per questo commoventi un pubblico altrettanto tradizionalista. Le dinamiche umane e relazionali sono esplorate nella loro casistica più ovvia: genitori-figli e maschi-femmine, alla faccia dello sviscerare i più reconditi meandri della problematica identitaria. "I Origins" sembra una caricatura involontaria sia d'una corretta epistemologia sia d'una corretta riflessione spirituale: è davvero fantascientifico cercare di dimostrare (?) in laboratorio la non esistenza di Dio confutando i creazionistici sostenitori del Disegno Intelligente (discutono di falsi positivi e di singole eccezioni che valgono più d'un milione di corroborazioni come fossero a piena conoscenza del paradosso dei corvi neri di Hempel, ma poi si comportano all'opposto), ed e davvero fantareligioso aprirsi alla reincarnazione della spiritualità buddhista col suo concetto impersonale di divinità e al contempo parificarla ai teismi occidentali coi loro servitori terreni incontrati in albergo. Un guazzabuglio a cui il regista aggiunge ulteriori amenità: il gioco di parole del titolo fra "I" ed "eye" che rinvia a "The Mind's I", celebre libro dell'81 scritto da Hofstadter e Dennett; la piccola protagonista che si chiama Sofi e la sua reincarnazione Salomina per rinviare a Sofia e Salomone quali emblematici esempi di saggezza e sapienza; i Radiohead che nel finale cantano la strofa "help me get back to your arms" da "Motion Picture Soundtrack" (tiè, pure la metareferenzialità), decimo e ultimo brano dell'album "Kid A" pubblicato nel 2000; Michael Pitt che replica l'animistico Cobain di Van Sant (quando muore in "Last Days", sale in alto con una scala). Girato, fotografato, montato bene? Ritengo che film di questo tipo rendano irrilevante il giudizio sulla qualità della confezione. Valida fattura per una fesseria: cui prodest?
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