Adieu Au Langage - Addio al linguaggio |
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Un film di Jean-Luc Godard.
Con Kamel Abdeli, Héloise Godet, Zoé Bruneau, Richard Chevallier.
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Titolo originale Adieu Au Langage.
Drammatico,
durata 70 min.
- Svizzera 2014.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 20 novembre 2014.
MYMONETRO
Adieu Au Langage - Addio al linguaggio
valutazione media:
3,67
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Addio al linguaggio, o a Godard?di Bruno CortonaFeedback: 431 | altri commenti e recensioni di Bruno Cortona |
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domenica 7 dicembre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una piccola premessa: amo i film del primo Godard, come i più famosi "Bande a part" e "À bout de souffle", per citarne due dei più famosi; ammetto però di non conoscere i suoi film più recenti e di essere arrivato quindi alla visione di "Adieu au langage" in maniera assolutamente ingenua, portato da amici in un piovoso venerdì sera. Il film di Godard è frutto di una ricerca artistica molto accurata e questo si percepisce e si nota. Una "pellicola" sperimentale, che utilizza il 3D per distorcere (facendoci decisamente sanguinare gli occhi), un montaggio che volutamente de-struttura così come la fotografia (alcuni frames sono notevoli) e i dialoghi, intrisi di citazioni di molti e noti filosofi e scrittori occidentali. Cosa c'è che non va in "Addio al linguaggio" allora? Godard sembra dimenticarsi che l'arte, per vivere, ha bisogno di un pubblico. Non vuol dire che bisogna tenerlo comodo nella poltrona del multisala come molte pellicole hollywoodiane ci hanno abituato, ma ciò che emerge in questo film è una spiccata autoreferenzialità; quella del regista sembra un opera fatta per sé stesso, ferma a un modo di sperimentare che aveva senso negli anni Settanta, ma che nella storia del cinema è maturata e cresciuta in altre forme. Insomma il cinema è andato avanti, ha trovato e sta cercando altre forme, ma Godard è rimasto fermo alla mentalità dei suoi anni, cercando d'adattarsi ai tempi moderni con un utilizzo sterile e superficiale del 3d (rendendo anche più salato il biglietto). Godard vuole scandalizzare con l'immagine, rompere la convenzionalità del linguaggio col montaggio, ma questa è una direzione intrapresa, superata e seppellita decenni fa e che non "rompe" più niente, che cerca una sua pretesa d'essere arte colta tramite un eccessivo citazionismo, perfetto per quel pubblico italiano che ritiene arte quando vede che la casa produttrice non è la Warner Bros o la Universal e quando non capisce nulla di quel che ha visto. Anche il contenuto filosofico che il film pretende d'avere risulta fuori luogo e stantio, con la pretesa d'essere innovativo; tutti i dialoghi sulla libertà, sull'altro, sulla natura e sul valore dello Stato non sono un punto di rottura col senso comune ma sono alla base di una cultura ormai assimilata al sistema che pretendono di avversare. Non è un pensiero di nicchia come vorrebbe, ma decisamente e banalmente pop, nella sua accezione peggiore. Chiudo con un dialogo realmente avvenuto ai titoli di coda: in una sala con dieci spettatori circa, mi concedo di commentare con un laconico "che palle"; un mio conoscente allora, studente del DAMS, sente il dovere di catechizzarmi:"Ma no, a te sembra che non comunichi niente, ma lui è volutamente ermetico..la sua poetica, così sperimentale, non è comprensibile a molti". Un paio di signore del pubblico però, sentitesi chiamate in causa, ribattono: "Noi Godard l'abbiamo seguito e amato fin dall'inizio, quando eravamo giovani. Questo film cancella tutto quello che ha fatto, è un rigurgito. E' un vecchietto che cerca in maniera goffa di usare il 3D, ma questa roba è morta e sepolta..Spero di dimenticarlo presto." Lo studente del DAMS balbetta qualcosa, confuso dal fatto che chi realmente ha vissuto Godard, si allontana dall'ultimo Godard e lo sprezza. Li lascio alle loro discussioni, io ho altri desideri: posso finalmente compiere una minzione in tre dimensioni nel cesso del cinema. Dovevo trovare un senso a quei dieci euro.
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