Tom à la ferme |
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Un film di Xavier Dolan.
Con Xavier Dolan, Pierre-Yves Cardinal, Lise Roy (II), Evelyne Brochu.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 105 min.
- Canada, Francia 2013.
- Movies Inspired
uscita mercoledì 6 luglio 2016.
MYMONETRO
Tom à la ferme ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Taglia come le foglie di mais prima della raccolta
di IngloriousBasterdFeedback: |
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lunedì 29 settembre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un claustrofobico e lascivo inseguimento in cinemascope dai colori cianotici e desaturati scuote Venezia: dal Lido, nella rassegna più audace e avanguardista degli ultimi anni, deflagra -per la prima volta in Italia- l'astro abbacinante di Xavier Dolan, classe '89 e già tre acclamati lungometraggi alle spalle (risale al 2009 l'esordio con il freudiano J’ai tué ma mère).Guillame, il ragazzo di Tom (interpretato dallo stesso Dolan, diafano ed efebico come mai), è morto in una tragedia dai contorni nebulosi e il suo funerale si terrà nelle campagne di provincia del Quebec dove vivono Agathe (una toccante Lise Roy) -l'inconsolabile madre di Guillame, da sempre all'oscuro dell'omosessualità del figlio, omessa e rimossa dietro le menzogne di una società retrograda incapace di abbeverarsi di diversità- e Francis (il tenebroso Pierre-Yves Cardinal), il fratello ottusamente ostinato a preservare quelle menzogne. È un viaggio di perdizione ed espiazione -prima ancora che di commiato- quello che conduce il giovane Tom alla “ferme”, e l'enfant prodige canadese -pur senza rinunciare alla cifra stilistica istrionica ed iperestetizzante- lo dirige imbevendolo di una sobrietà nuova che segna una coraggiosa cesura dalla debordante ed esplosivamente pop trilogia d'esordio che con Laurence Anyways (2012) ne aveva decretato la piena maturità: ispirandosi all'omonima pièce di Michel Marc Bouchard da cui la messinscena trae una vivida teatralità, il cineasta francofono non dimentica i riferimenti che gli sono più cari del cinema psicoanalitico (Ozon su tutti) e melodrammatico (Almodovar) ma qui li piega per cimentarsi in un genere inaspettato, un tesissimo noir dalle atmosfere hitchcockiane esasperate dalle musiche dagli echi nitidamente herrmanniani di Gabriel Yaren. Dissacrante e cupa, enfatica e morbosa, la pellicola procede a strappi che seguono strettamente le eccitanti acrobazie registiche del suo demiurgo: il formato oscilla freneticamente dai 4:3 ai 16:9 mentre ci lasciamo sedurre dal tango perverso e sghembo, slabbrato e parodistico che lega Tom a Francis creando -a tratti- un'intimità minimalista che è novità preziosa per il giovane cineasta. E’ un ballo tanatocentrico quello cui assistiamo, la quintessenza della sempiterna discrasia in cui dolore e piacere si completano perversamente, in cui sottomissione e ribellione si inseguono ipnoticamente; ed è anche scontro –attraente come i poli opposti di un magnete- tra metropolitana e campagna, libertà individuale e oppressione sociale che solo nelle parole di un barista incontrato per caso ristabilisce distanze e chiaroscuri: è tutta qui l'inattesa e salvifica epifania che sulle note conclusive di Rufus Wainwright spezza le catene di un canovaccio che pareva avviarsi senza speranza al martirio vontrieriano del protagonista. Il sacrificio non si compie ma le labbra delle ferite -così come della sincopata sceneggiatura- non si rimarginano: il lutto, reale e metaforico, è ancora lì. E “taglia come le foglie di mais prima della raccolta”, taglia proprio come il cinema di Dolan.
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