catcarlo
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martedì 30 settembre 2014
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jimi - all is by my side
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Il film biografico a carattere musicale è uno dei generi più difficili da praticare, in special modo quando la materia è ancora viva e i tifosi in circolazione rimangono numerosi. La faccenda si complica ulteriormente se ci aggiungiamo la famiglia che rema contro tanto da vietare l’utilizzo delle musiche firmate dal caro estinto se non può mettere bocca nella produzione (la famelicità di generazioni di Hendrix si è confermata ancora una volta da manuale) e l’attore protagonista – in arte André 3000 degli Outkast – che è si molto somigliante, ma ha anche quindici anni di più del suo personaggio. Per ovviare al primo problema, l’esordiente John Ridley (sceneggiatura da Oscar per ’12 anni schiavo’) si affida alla chitarra di Waddy Wachtel, supportata dalla sezione ritmica composta da Leland Sklar e Kenny Aronoff, e al fatto che le cover hendrixiane furono sempre numerose mentre il secondo viene superato dalla sospensione d’incredulità grazie anche a un interprete che non si lascia sfuggire l’occasione di realizzare al meglio il sogno di una vita (peccato solo per il doppiaggio non all’altezza).
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Il film biografico a carattere musicale è uno dei generi più difficili da praticare, in special modo quando la materia è ancora viva e i tifosi in circolazione rimangono numerosi. La faccenda si complica ulteriormente se ci aggiungiamo la famiglia che rema contro tanto da vietare l’utilizzo delle musiche firmate dal caro estinto se non può mettere bocca nella produzione (la famelicità di generazioni di Hendrix si è confermata ancora una volta da manuale) e l’attore protagonista – in arte André 3000 degli Outkast – che è si molto somigliante, ma ha anche quindici anni di più del suo personaggio. Per ovviare al primo problema, l’esordiente John Ridley (sceneggiatura da Oscar per ’12 anni schiavo’) si affida alla chitarra di Waddy Wachtel, supportata dalla sezione ritmica composta da Leland Sklar e Kenny Aronoff, e al fatto che le cover hendrixiane furono sempre numerose mentre il secondo viene superato dalla sospensione d’incredulità grazie anche a un interprete che non si lascia sfuggire l’occasione di realizzare al meglio il sogno di una vita (peccato solo per il doppiaggio non all’altezza). Il risultato è un film non certo esente da difetti dal punto di vista narrativo, ma che si rivela vitale nel ritrarre un uomo in un preciso momento storico e poco male se coloro che più se ne dispiaceranno saranno proprio i fan di Hendrix. La storia si concentra su di un anno fondamentale nella vita del chitarrista, durante il quale egli passa da ruoli di supporto in piccoli club di New York all’aereo che lo porterà alla consacrazione di Monterey: scoperto da Linda, ex moglie di Keith Richards, dopo un breve prologo statunitense Jimi si trasferisce a Londra dove getta le basi di una carriera breve, ma dalla quale non è possibile prescindere. Procedendo per quadri slegati tra loro e lasciandosi andare a qualche vezzo autoriale – l’audio fuori sincrono, il fermo immagine sui primi piani dei personaggi – Ridley prova a descrivere il mondo di un introverso dal talento immenso, talmente concentrato sulla musica e su se stesso da risultare ora afasico ora semplicemente egocentrico nei confronti degli altri a cominciare dalla sua ragazza Kathy (Hayley Atwell). La descrizione del loro rapporto è uno degli aspetti che meno funzionano con il suo succedersi di prendersi e mollarsi che rimane in superficie senza un approfondimento psicologico che sarebbe risultato assai stimolante in special modo quando entra in scena la groupie Ida (Ruth Negga), terzo vertice del triangolo: in più con lei la droga diventa per poco tempo protagonista, anche se troppo presto dimenticata. Molto meglio è sviluppata la relazione, tutta costellata di detto e non detto, tra Jimi e Linda, grazie anche alla misurata ed efficace prova di Imogen Poots: il lato professionale e quello personale si mischiano sullo sfondo della vitale scena musicale di quella Londra di metà anni Sessanta, dove in piccoli locali fumosi si agitavano molti musicisti che avrebbero fatto la storia. Oltre che da una mirata colonna sonora, la ricostruzione (fatta in gran parte in Irlanda) di quell’età colorata è ben resa dalla fotografia dai colori caldi di Tim Fleming unita all’inserimento di materiali d’epoca che ricordano che, magari più alla luce del sole, era ancora viva anche un’Inghilterra tradizionalista, figlia di un passato che non voleva passare. A questo tema si può ricollegare l’accenno alle tensioni razziali, ma pure qui si sorvola in gran fretta, anche se forse con la giustificazione che Jimi era assai poco interessato alla questione: in ogni caso, il Michael X di Adrien Lester finisce per essere poco più che una macchietta. Gli altri protagonisti (bianchi) di quella stagione ci sono tutti, ma restano sullo sfondo - una battuta per Clapton (Danny McColgan) e poco più – e funziona l’idea di identificarli subito con una sovrascritta così lo spettatore può risparmiarsi il chi-è-quello e concentrarsi sulla storia. Il discorso è invece diverso per il debuttante produttore Chas Chandler (il cui miscuglio di dubbi ed entusiasmi è portato in scena da Andrew Buckley) e, malgrado il pochissimo spazio, per la tricologica Experience (Oliver Bennett e Tom Dunlea). Come detto, la musica di Hendrix è per forza di cose poca, ma ripresa in modo efficace, come nella ‘sbiancatura’ di Manolenta al loro primo incontro o la ‘Sgt. Pepper’ in apertura dell’esibizione al Saville Theatre (e con il bonus di ‘Wild thing’ sui titoli di coda): non la protagonista principale, ma un (fondamentale) tassello per raccontare l’uomo che la suonava.
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elgatoloco
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venerdì 10 giugno 2016
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film solo in parte"mancato"
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"jimi: All is by mi Side"di Ridley è un film biografico tutt'altro che disprezzabile, realizzato in condizioni difficili(manca, pe res., "Hey, Joe", ma per l'espressa proibizione di utilizzare i brani scritti da Hendrix ed è, appunto, solo un esempio). Il resto "si gioca"tra la volontà di emblematizzare certe figure fondamentali nel percorso evolutivo di Jimi come anche della storia del rock in toto, senza particolari approfondimenti, quasi presupponendo che gli spettatori conoscano comunque la vicenda umana e artistica di Hendrix stesso, il che, naturalmente non è detto e lo stile a flash, ossia interrompendo una narrazione lineare che, in realtà, non c'è affatto.
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"jimi: All is by mi Side"di Ridley è un film biografico tutt'altro che disprezzabile, realizzato in condizioni difficili(manca, pe res., "Hey, Joe", ma per l'espressa proibizione di utilizzare i brani scritti da Hendrix ed è, appunto, solo un esempio). Il resto "si gioca"tra la volontà di emblematizzare certe figure fondamentali nel percorso evolutivo di Jimi come anche della storia del rock in toto, senza particolari approfondimenti, quasi presupponendo che gli spettatori conoscano comunque la vicenda umana e artistica di Hendrix stesso, il che, naturalmente non è detto e lo stile a flash, ossia interrompendo una narrazione lineare che, in realtà, non c'è affatto. UNa sfida anche interessante, che però, come è realizzata, non convince pienamente: una scelta"lisergica"fino in fondo sarebbe stata, allora, più coerente, mentre John Ridley, per così dire, si ferma "a metà"; il protagonista André Benjamin si cala molto intensamente, diremmo, nella parte, seguendo(si direbbe, pur conoscendo la vicenda biografica del giovane interprete)il"metodo"stanislawskijano, in particolare nella versione americana di Strasberg. El Gato
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veritasxxx
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lunedì 29 settembre 2014
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i noiosi anni 60
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Il film narra le vicende precedenti all'ascesa al successo di Jimi Hendrix dal giorno in cui venne notato in un locale di New York da Imogen Poots, la di allora fidanzata del chitarrista dei Rolling Stones, fino al trasferimento a Londra e alla relazione con Hayley Atwell, una parrucchiera specializzata in relazioni con rock stars, all'amicizia con Ruth Negga, sostenitrice dei gruppi di liberazione nera dell'epoca, alla selezione dei musicisti per quello che sarebbe diventato "The Jimi Hendrix Experience" e una serie di concerti, fino alla conclusiva esibizione successiva all'uscita di Sgt Pepper dei Beatles in cui Jimi omaggiò i fab four con una versione improvvisata della title track del loro album più celebre.
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Il film narra le vicende precedenti all'ascesa al successo di Jimi Hendrix dal giorno in cui venne notato in un locale di New York da Imogen Poots, la di allora fidanzata del chitarrista dei Rolling Stones, fino al trasferimento a Londra e alla relazione con Hayley Atwell, una parrucchiera specializzata in relazioni con rock stars, all'amicizia con Ruth Negga, sostenitrice dei gruppi di liberazione nera dell'epoca, alla selezione dei musicisti per quello che sarebbe diventato "The Jimi Hendrix Experience" e una serie di concerti, fino alla conclusiva esibizione successiva all'uscita di Sgt Pepper dei Beatles in cui Jimi omaggiò i fab four con una versione improvvisata della title track del loro album più celebre.
John Ridley, lo sceneggiatore di "12 anni schiavo", alla sua prima prova dietro alla macchina da presa, fornisce un ritmo un po' singhiozzante alle avventure del chitarrista più famoso degli anni '60 con trovate registiche discutibili, quali annullare l'audio in certe sequenze, soffermarsi su dettagli di trascurabile importanza e riprendere il nostro eroe in un atteggiamento costantemente annoiato, con la sigaretta in bocca, come se si trovasse lì per caso e non avesse veramente nessuna coscienza del suo talento o motivazioni particolari per far parte dello show business. I vari personaggi celebri dell'epoca, impersonati da attori rassomiglianti poco o nulla agli originali, vengono opportunamente individuati da una scritta alla loro apparizione, ma l'effetto è più quello di una ricostruzione storica in un museo delle cere con statue mal realizzate che un vero e proprio incentivo per gli sviluppi della storia.
Già, la storia: da uno sceneggiatore vincitore di un Oscar e autore di vari romanzi ci si sarebbe aspettato qualcosa di più di un quadretto pittoresco della Londra psichedelica e ipercolorata dei magici sixties con le giacche da parata militare comprate a Carnaby Street, i bobbies razzisti, le droghe consumate come caramelle e qualche personaggio noto che esclama "Ma come suona bene 'sto tipo, ma chi è?". E ciò che è più sorprendente constatare, almeno stando al film, è che i momenti di maggiore successo del nostro Jimi siano stati le interpretazioni di cover di altri cantanti, quasi ad ammettere che effettivamente di pezzi celebri composti da Hendrix stesso ce ne sono davvero pochi. Dal guitar player più originale e trasgressivo della storia della musica rock avrei pensato uscissero frasi celebri o visioni selvagge dell'universo e i suoi abitanti, o almeno nottate folli di sesso e droghe, di amore libero e una vita breve ma intensa stroncata dall'abuso incontrollato di lsd e altre sostanze con effetti micidiali. Invece André Benjamin, il cantante degli Outkast che interpreta Jimi, ha sempre la stessa faccia annoiata e pur non assomigliando particolarmente a Hendrix a parte per il colore della pelle, sembra dominare la scena come una specie di fenomeno da baraccone su cui la telecamera è costantemente concentrata, che sembra quasi dire "fatemi cantare una canzone del mio gruppo, che sono molto meglio di questo sfigato morto cinquanta anni fa!"
Quindi, dopo la prima mezz'ora pur lenta ma in cui ci si lascia coinvolgere dai destini di uno dei musicisti più influenti della storia della musica, la noia regna sovrana per il resto del film, che si conclude con un'intervista alla tv in cui Jimi dice le solite cose che tutti i musicisti dicono in certe occasioni, ovvero banalità. Poca droga, poco sesso, noiose scenate di gelosia con la fidanzata chiattona presa a sberle di tanto in tanto (ebbene sì, Hendrix era pure un violento). Ora so perchè non conosco neanche una sua canzone. Se anche i miti del rock sono così deludenti, mi chiedo a cinquant'anni dalla morte del cantante degli Outkast che roba verrà fuori. Piuttosto, a quando il film-biografia su Mino Reitano?
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