7 Psicopatici

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Un film di Martin McDonagh. Con Colin Farrell, Sam Rockwell, Woody Harrelson, Christopher Walken, Tom Waits.
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Titolo originale Seven Psychopaths. Commedia nera, durata 109 min. - USA 2012. - Moviemax uscita giovedì 15 novembre 2012. - VM 14 - MYMONETRO 7 Psicopatici * * 1/2 - - valutazione media: 2,79 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

un altro finale è sempre possibile Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51015 | altri commenti e recensioni di carloalberto
lunedì 1 novembre 2021

 McDonagh opera per contaminazioni stilististiche e sovrapposizione di contenuti in un plot stratificato e polisemico, in cui le storie dei personaggi si intrecciano in un continuo rinvio reciproco fino all’imprevedibile esito metafilmico. L’utilizzo mimetico parodistico di stilemi filmici tarantiniani, con sequenze di violenza gratuita e dialoghi ironicamente surreali, e le allusioni omaggianti allo spaghetti western di Leone, con la sparatoria-duello all’ultimo sangue come quella dello stallo messicano del Il buono, il brutto, il cattivo, sono serventi rispetto allo scopo del regista. Il fine di McDonagh  è trattare  i temi dell’amicizia, dell’amore coniugale, del dolore della perdita, della morte, intesa come estremo mezzo di riscatto, intessuti in un’indagine, che funge da filo conduttore, sul rapporto dell’autore con la sua opera, affrontata, attraverso il suo alter ego, interpretato da Farrell; lo scrittore che lavora ad una sceneggiatura con l’intenzione di parlare di pace universale e si ritrova immerso, suo malgrado, in una storia di serial killer psicopatici.
Lo sdoppiamento del finale in due sequenze speculari, nelle quali il vietnamita è sia un terrorista che vuole vendicarsi dei familiari uccisi dai soldati americani, sia un monaco buddista che si dà fuoco immolandosi per la pace, rende emblematicamente il paradossale capovolgimento di senso della mitologia cinematografica sia dei western che dei gangster movies americani, riproposti nella forma delle sterili esaltazioni estetiche tarantiniane dei due generi, risolvendo l’impulso omicida del sentimento di revenge, motivo dominante nella epopea hollywoodiana, nel sacrificio individuale della vita per una ideale società utopica senza guerre.
In discussione è l’autonomia dell’autore rispetto alla propria opera ed ai suoi personaggi. Lo scrittore deve liberarsi dai condizionamenti del già prodotto e dai topoi dei generi e dai moderni miti degli eroi di celluloide, entrati a far parte dell’immaginario collettivo, confondendosi con la vita reale a tal punto da diventare aspettative emozionali di un pubblico spettatore sempre più omologato alle fantasie degli screewriters, incarnate da due dei suoi personaggi, Rockwell ed il suo naturale antagonista Harrelson. La svolta giunge inaspettata dai suggerimenti di un altro personaggio, Walken, che detterà, post mortem, all’autore il finale della storia nell’ultimo messaggio inciso sul registratore vocale, prima di sacrificarsi  in nome dell’amicizia.
Il tema del suicidio, inteso come gesto emblematico della soppressione dell’Io individuale e dei suoi egoismi per un ideale superiore, già presente nel suo esordio alla regia, In Bruges - La coscienza dell’assassino,  ritorna ossessivamente nell’opera di McDonagh, anche nel suo ultimo film, Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
Il finale vero è il frutto di una scelta autoriale che discerne il bene dal male, sposando la tesi di un personaggio piuttosto che quella di un altro, entrambi partoriti dalla sua mente. Dopo i titoli di coda, la pellicola si interrompe per un attimo bruciandosi. Si introduce così un ulteriore elemento meta filmico che è spunto di riflessione sulla capacità degli spettatori di fruire dell’opera senza esserne condizionati, influenzando il modo corrente di pensare il mondo.  
McDonagh vuole dirci che è sempre possibile immaginare autonomamente un modo diverso di intendere il mondo, che non sia necessariamente il luogo-non luogo, creato dagli altri, ad esempio dalla fabbrica dei sogni dell’industria cinematografica, dove far abitare la nostra emotività che potrebbe, in alternativa, animare personaggi fantasmatici che liberati dagli stereotipi della sottocultura filmica ci suggeriscano un altro finale per la nostra vita. Un Walken abita in ognuno di noi.
 

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