Le Idi di marzo |
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Un film di George Clooney.
Con Ryan Gosling, George Clooney, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei.
continua»
Titolo originale The Ides of March.
Drammatico,
durata 101 min.
- USA 2011.
- 01 Distribution
uscita venerdì 16 dicembre 2011.
MYMONETRO
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Sguardo attento alle contraddizioni della politica
di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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domenica 27 marzo 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
LE IDI DI MARZO (USA, 2011) diretto da GEORGE CLOONEY. Interpretato da RYAN GOSLING, GEORGE CLOONEY, EVAN RACHEL WOOD, JEFFREY WRIGHT, PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, PAUL GIAMATTI, MARISA TOMEI
Steven Myers è un brillante consulente che sta lavorando alla campagna presidenziale del governatore Mike Morris, candidato del Partito Democratico in corsa per ricoprire il ruolo di capo dello Stato, il cui avversario è il senatore repubblicano Thompson. Di un’onestà integerrima e apparentemente incorruttibile, Steven porta avanti il suo lavoro senza cedere alle lusinghe e mettendo in campo tutte le sue strabilianti abilità, ma il suo percorso sarà presto ostacolo da due scandali: nel primo caso, dovrà rendere conto ai colleghi e al suo datore di lavoro di un incontro avvenuto con Tom Duffy, il cinico organizzatore dei comizi del senatore Thompson, mentre nell’altro avrà a che fare con la gravidanza indesiderata di Molly Stearns, giovane stagista molto carina, figlia di un noto politico e intenzionata ad abortire il figlio avuto dallo stesso governatore. La corruzione dilagante e il muro di certezze che crollano come un castello di carte obbligheranno Steven a ricredersi sulle sue posizioni e a capire che, nel mondo della politica, la meritocrazia e la capacità di aprirsi la strada a forza di illegalità fanno la differenza tra un consulente valido e uno disoccupato e fallito: pur prendendo il posto di Paul, il suo collaboratore più fidato che però lo pugnalerà inaspettatamente alle spalle, il giovane non ne resterà comunque soddisfatto. Gli unici due difetti di questo eccitante thriller, con cadenze profonde di noir, nel quale, come sempre, il regista affida la parte del protagonista a un altro attore, e si ritaglia per sé un ruolo importante ma incontestabilmente secondario, si riassumono brevemente: un semplicismo abbastanza fastidioso, che rende fin troppo elementare la dialettica che alberga nei cuori di questi personaggi che si sospettano l’un l’altro proprio per lavoro, e in secondo luogo un eccesso di volgarità nei dialoghi, forse non così necessaria per quanto il mestiere di politico vada ormai a braccetto con una concezione comunemente popolare della corruttibilità, del malcostume e del tradimento premeditato. Ma per il resto l’ultima fatica di Clooney dietro alla macchina da presa (e anche davanti, ma in fondo è un dato di secondo piano) si distingue per la lucidità inconfutabile con cui il tema politico tipicamente statunitense viene trattato: è un universo messo a nudo, spogliato di ogni convenzione e buttato in faccia allo spettatore in tutta la sua brutalità, caratteristica fondamentale per un ambiente nel quale il gioco di squadra può determinare sia la fortuna del singolo sia la rovina del gruppo intero. II punto forte rimane comunque un coacervo di interpretazioni a dir poco straordinarie, tutte quante da applauso: R. Gosling è un rampollo tutt’altro che malato di rampantismo, strenuamente contrario all’opportunismo e in grado di camminare sui carboni ardenti a costo di difendere la verità e il merito; Clooney, in un ruolo insolitamente negativo, brilla di luce propria nei panni di un politicante che più ipocrita non si potrebbe, la cui faccia di bronzo è invitante di fronte all’elettorato e cupamente sincera quando intrattiene relazioni meno pubbliche; Hoffman, in uno dei suoi ultimi ruoli più efficaci, centra il bersaglio con la sua recitazione pragmatica, fuori controllo e fuori misura, regalando un antieroe dei giorni nostri che ha fatto sua la lezione della necessità dell’egocentrismo in politica; P. Giamatti, altro antagonista assai al di fuori dei canoni abituali, dimostra di possedere corde drammatiche che non disdegnano incursioni nell’umorismo caustico più spregiudicato; una E. R. Wood birichina ma contemporaneamente anche intristita è la sorpresa femminile più gradevole dell’opera, senza nulla togliere alla giornalista volubile di M. Tomei, il cui voltagabbana improvviso e la cui tendenza a vendersi al miglior offerente mettono a segno una performance memorabile; e infine J. Wright, malgrado l’esiguità delle scene in cui compare, disegna col vetriolo un parlamentare repubblicano convinto dei suoi sistemi e capace di fare promesse importanti. Il riferimento all’assassinio di Giulio Cesare è pertinente, ma non solo: letto al contrario (nel senso cioè della rivalsa di un subalterno nei confronti del proprio superiore, allo scopo di conquistare una vittoria che poi non arriva), ha qualcosa di spietatamente geniale. Ottima anche la scelta di illuminare con scarsità le sequenze più intense: il buio aiuta sempre, cinematograficamente parlando, a sottolineare l’intrinseca drammaticità di alcuni momenti che, sullo schermo, rendono con un’efficienza a pieno vapore. Nemmeno un Oscar.
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