moviesnake
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venerdì 3 dicembre 2010
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al mondo esistono due categorie di persone...
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E' un giorno come un altro, stai per imbarcarti su un aereo. Appena dietro di te, alla fila per l'imbarco, c'è un uomo visibilmente agitato che prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella sua mano, apparentemente un musulmano. Cosa pensi? Cosa provi?
Questo è l'inizio di il mio nome è Khan, un film che apre la mente e che dimostra la profonda assurdità dell'odio raziale.
Mi è molto dispiaciuta la poca presa che purtroppo ha fatto questo meraviglioso film qui in Italia (quando l'ho visto la sala era mezza vuota) per questo lo consiglio caldamente a chiunque abbia voglia di vedere un bel film che parla d'amore, di uguaglianza e, purtroppo, anche di odio.
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E' un giorno come un altro, stai per imbarcarti su un aereo. Appena dietro di te, alla fila per l'imbarco, c'è un uomo visibilmente agitato che prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella sua mano, apparentemente un musulmano. Cosa pensi? Cosa provi?
Questo è l'inizio di il mio nome è Khan, un film che apre la mente e che dimostra la profonda assurdità dell'odio raziale.
Mi è molto dispiaciuta la poca presa che purtroppo ha fatto questo meraviglioso film qui in Italia (quando l'ho visto la sala era mezza vuota) per questo lo consiglio caldamente a chiunque abbia voglia di vedere un bel film che parla d'amore, di uguaglianza e, purtroppo, anche di odio. Non fatevi spaventare dalla durata, (poco più di due ore) è una pellicola che fila via liscia senza mai minimanente annoiare. Tecnicamente ben realizzato con molti esempi di buona recitazione ed un'ottima colonna sonora vi terrà sicuramente incollati alla poltrona fino alla fine, consigliatissimo.
"Al mondo esistono due categorie di persone: quelle buone, che fanno cose buone e quelle cattive, che fanno cose cattive. Questa è l'unica differenza."
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domenico a
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mercoledì 15 dicembre 2010
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ultima fermata holliwwod: bollywood
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Un film originale ( coniuga lo stile di Bollyvood con quello di Hollywood ), ‘ strano ‘, anche piacevole. In cui c’è un po’ di tutto, la diversità, l’ottimismo americano di poter diventare qualsiasi cosa, l’amore, l’odio, le differenze religiose, la tolleranza e l’intolleranza, la vita, la morte, il rapporto adulti e bambini, i rapporti di coppia. Il tutto è raccontato in modo fluido ma con dei cambiamenti continui di stile: si passa con ‘ leggerezza ‘ dal realismo alla commedia, dal dramma al melodramma fino al videoclip. Noi che siamo dei vecchi cinefili, con un po’ di cultura cinematografica, e non siamo indifferenti alle ‘ novità ‘, troviamo il tutto una simpatica insalata con un po’ di tutto dentro.
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Un film originale ( coniuga lo stile di Bollyvood con quello di Hollywood ), ‘ strano ‘, anche piacevole. In cui c’è un po’ di tutto, la diversità, l’ottimismo americano di poter diventare qualsiasi cosa, l’amore, l’odio, le differenze religiose, la tolleranza e l’intolleranza, la vita, la morte, il rapporto adulti e bambini, i rapporti di coppia. Il tutto è raccontato in modo fluido ma con dei cambiamenti continui di stile: si passa con ‘ leggerezza ‘ dal realismo alla commedia, dal dramma al melodramma fino al videoclip. Noi che siamo dei vecchi cinefili, con un po’ di cultura cinematografica, e non siamo indifferenti alle ‘ novità ‘, troviamo il tutto una simpatica insalata con un po’ di tutto dentro. Un post-post moderno in salsa indiana. Concludendo è una specie di Forrest Gump senza effetti speciali, ma con la stessa idea di colossal storico.
Rizvan Khan è un indiano con la classica camminata delle persone autistiche, si muove per un aeroporto americano, sta per imbarcarsi su un aereo per Washington; ma viene fermato, portato in un ufficio, perquisito e prima di essere rilasciato dice ai poliziotti: devo andare dal presidente Bush, il mio nome è Khan e non sono un terrorista. Tutti ridono e lui che ha perso l’aereo, e ha pochi soldi, decide di andare a prendere un pulmann. Si torna indietro, al tempo in cui Rizvan era un bambino e viveva in India con sua madre e un fratello più piccolo – la parte forse più divertente – piccoli frammenti di vita indiana per un bambino mussulmano autistico con la sindrome di Asperger. Ritroviamo Khan emigrato a San Francisco, vive adesso con il fratello e la cognata in una bella casa borghese. Lavora come venditore di profumi a negozi di parrucchiere, e in uno di questi negozi conosce e s’innamora di Mandira, una giovane indiana, ragazza madre, di religione induista. Nonostante le difficoltà, si sposano. I due sono innamorati e felici ma arriva l'11 settembre e l’attentato alle Torri Gemelle. Tutto cambia rapidamente e anche il comportamento degli americani nei loro confronti. Mandira perde il lavoro, il figlio viene perseguitato dai suoi coetanei di scuola, Khan sembra l’unico a soffrire di meno di questi cambiamenti. Ma succede una tragedia in famiglia e Mandira sconvolta caccia Rizvan di casa; forse lui potrà tornare da lei solo dopo che avrà parlato col Presidente degli Stati Uniti e gli avrà detto di non essere un terrorista. Confuso e strampalato, Khan comincia un viaggio lungo quasi un anno attraverso l'America ostile alla ricerca del Presidente e se non riuscirà a parlare con Bush riuscirà a farlo con Obama.
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astromelia
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domenica 6 febbraio 2011
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splendido, da oscar
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RARAMENTE UN FILM è coinvolgente come questa pellicola toccante e dai molti temi intrinsechi, bellissima la fotografia che già dalla prima inquadratura fa presagirne la buona riuscita complessiva, l'attore protagonista è superlativo anche se torna alla mente dustin hoffmann di rain man,non capisco il motivo per il quale certi film vengano ignorati per le candidature agli oscar,questo sicuramente le meritava...
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pattie
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domenica 5 dicembre 2010
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posso riparare quasi tutto....
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A volte è un po' ingenuo e patetico, indulge molto sui sentimenti cadendo forse, a tratti, nel sentimentalismo ma....vale certamente la pena di vederlo.
E' un film diverso, nuovo, particolare che ha in sé un vitalità e una forza nuove. Forse perché è stato fatto guardando a culture diverse con la voglia di farle incontrare.
Bella la frase:"Posso riparare quasi tutto ma non un cuore spezzato..."
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dano25
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lunedì 21 marzo 2011
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film di punta del cinema indiano
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Prendendo qua e là idee di hollywood, bollywood sforna un film capolavoro sul razzismo e terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino affetto dalla Sindrome di Asperger, intelligente ma spaventato dai rumori forti, da giallo e dai posti che non conosce. Lavorando in un officina col padre, impara a riparare tutto ma la scomparsa del genitore lo catapulta in un mondo difficile dove la medre gli fa da campana e filtro verso il mondo. Crescendo e con l'aiuto del fratello minore diventato uomo d'affari in america, Rizvan riesce a farsi una vita e a conoscere l'amore con Mandira Rathore, madre single di un bambino. La vita scorre serena fino all'attentato alle Torri gemelle di New York dell'11 Settembre; da questa data la vita dei non americani d'america cambia radicalmente e ci si trova a fare i conti con il razzismo allo stato più brado tanto da portare all'uccisione del figlio adolescente di Mandira da parte di alcuni bulli.
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Prendendo qua e là idee di hollywood, bollywood sforna un film capolavoro sul razzismo e terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino affetto dalla Sindrome di Asperger, intelligente ma spaventato dai rumori forti, da giallo e dai posti che non conosce. Lavorando in un officina col padre, impara a riparare tutto ma la scomparsa del genitore lo catapulta in un mondo difficile dove la medre gli fa da campana e filtro verso il mondo. Crescendo e con l'aiuto del fratello minore diventato uomo d'affari in america, Rizvan riesce a farsi una vita e a conoscere l'amore con Mandira Rathore, madre single di un bambino. La vita scorre serena fino all'attentato alle Torri gemelle di New York dell'11 Settembre; da questa data la vita dei non americani d'america cambia radicalmente e ci si trova a fare i conti con il razzismo allo stato più brado tanto da portare all'uccisione del figlio adolescente di Mandira da parte di alcuni bulli. Le cose precipitano e nella sua innocenza, Khan decide di incontrare il Presidente per rivolgrgli solo una frase: "Il mio cognome è Khan ma non sono un terrorista".
Il film vive di momenti di pura drammaticità purtroppo reale negli scontri razziali e nelle difficoltà degli altri popoli a vivere con dignità in un paese che non è il loro. La frase più bella del film è anche la più semplice: esistono due categorie di persone, quelle buone e quelle cattive. Il bene e il male esiste in ogni paese, in ogni religione, in ogni cultura.
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kamaglione
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lunedì 20 giugno 2011
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in viaggio con khan
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Star del cinema bollywoodiano si cimentano in un cinema senza canti e balli, che svetta sulla monotonia indiana e apre la strada per la filmografia moderna in un paese in rapida ascesa. Khan, indiano di religione musulmana, è affetto dalla sindrome di Asperger, ma l'affettuosa madre lo crescerà così bene che il ragazzo saprà mostrare le sue qualità senza difficoltà. Problemi razziali a seguito del crollo delle torri gemelli interromperanno i rapporti d'amore fra Rizvan Khan e sua moglie Mandira, una solare e apprezzata parrucchiera di San Francisco. Il figlio di quest'ultima sarà pestato a morte da un gruppo di bulli xenofobi americani.
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Star del cinema bollywoodiano si cimentano in un cinema senza canti e balli, che svetta sulla monotonia indiana e apre la strada per la filmografia moderna in un paese in rapida ascesa. Khan, indiano di religione musulmana, è affetto dalla sindrome di Asperger, ma l'affettuosa madre lo crescerà così bene che il ragazzo saprà mostrare le sue qualità senza difficoltà. Problemi razziali a seguito del crollo delle torri gemelli interromperanno i rapporti d'amore fra Rizvan Khan e sua moglie Mandira, una solare e apprezzata parrucchiera di San Francisco. Il figlio di quest'ultima sarà pestato a morte da un gruppo di bulli xenofobi americani. Le strade dei due si divideranno: Khan attraverso numerose peripezie per raggungere il presidente e dirgli che il suo nome è Khan e non è un terrorista, mentre Mandira rincorrerà la giustizia per scoprire gli assasini del figlio Samyr. Film straniero zeppo di "indianate" che apre la mente ad un cinema diverso e ad una visiona più ampia della religione, in particolare quella musulmana.
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elisabeth_bianca
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domenica 25 settembre 2011
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il mio nome è khan
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Il mio nome è Khan
In un aeroporto, alla fila per l’imbarco un uomo, apparentemente musulmano, visibilmente agitato prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella mano. Questa scena segna l’inizio del film “ il mio nome è Khan”. Un film bollywoodiano che dimostra la crudeltà, la sofferenza e l’assurdità dell’odio razziale e del terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino molto intelligente, affetto sin dalla nascita di una particolare forma di autismo, la Sindrome di Asperger. Questa malattia consente di comunicare meglio in forma scritta che orale ed impedisce di intuire le reazioni altrui. È questo il motivo per cui Khan è spaventato dai rumori forti, dal colore giallo
e dai posti che non conosce.
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Il mio nome è Khan
In un aeroporto, alla fila per l’imbarco un uomo, apparentemente musulmano, visibilmente agitato prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella mano. Questa scena segna l’inizio del film “ il mio nome è Khan”. Un film bollywoodiano che dimostra la crudeltà, la sofferenza e l’assurdità dell’odio razziale e del terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino molto intelligente, affetto sin dalla nascita di una particolare forma di autismo, la Sindrome di Asperger. Questa malattia consente di comunicare meglio in forma scritta che orale ed impedisce di intuire le reazioni altrui. È questo il motivo per cui Khan è spaventato dai rumori forti, dal colore giallo
e dai posti che non conosce.
Tenendo compagnia al padre, in un’ officina dove lavorava, Khan impara a riparare tutto ciò che possiede un motore. La scomparsa successiva del padre lo catapulta in un mondo difficile dove la madre gli fa da filtro rivolgendo molte più attenzioni a lui che al fratello minore, che sviluppa una forma di gelosia.
Successivamente, ormai cresciuto e diventato un uomo, Khan, dopo la morte della madre, si trasferisce negli Stati Uniti dal fratello emigrato e in carriera da tempo.
Rispettando la promessa a sua madre, di formare una propria famiglia, Khan lavorando come rappresentante di prodotti cosmetici conosce Mandira una madre, indù, single che lavora come parrucchiera. I due si affezionano sempre più e decidono di sposarsi prendendo il cognome “Khan” sia Mandira che il figlio.
Proprio dal cognome “Khan” inizieranno i problemi a causa dell’ attentato dell’11 settembre 2001. Dopo questa data la vita dei non americani d’America cambia radicalmente e ci si trova a fare i conti con il razzismo allo stato più crudele, tanto da portare all’uccisione del figlio, ormai adolescente, di Mandira, da parte di alcuni bulli. Annegando nel suo dolore di madre, nell’odio e nella vendetta Mandira lascia Khan, accusandolo e accusando se stessa di essersi sposati dando al figlio un nome musulmano.
Nella sua innocenza Khan decide di incontrare il presidente per rivolgerli una sola frase: “ Il mio nome è Khan e non sono un terrorista “. Questa è la frase che Rizvan Khan deve dire al Presidente degli Stati Uniti dopo che il senso di colpa di essere musulmano è stato scaricato sulle sue spalle con forza. Durante il suo viaggio racconterà la sua storia, scrivendo un diario.
Il film riesce a sviluppare i molteplici argomenti della diversità senza mai assumere toni predicatori e andando a toccare tutto il pubblico. L’handicap mentale, la separazione all’interno del mondo religioso, l’irrazionale caccia al musulmano e anche l‘amore tra due persone così diverse, entrano come temi forti in un film diverso, particolare, coinvolgente che ha in sé una vitalità e una tale forza. Forse perché è stato fatto guardando culture diverse con la voglia di farle incontrare.
Il film vive di momenti di pura drammaticità purtroppo reali negli scontri razziali e nelle difficoltà degli altri popoli a vivere con dignità in un paese non loro.
Un film bellissimo, a mio parere, che fa riflettere e aiuta a stare bene con gli altri. Perfetto per chi non può fare a meno di piangere sorridendo.
Al mondo esistono due categorie di persone: quelle buone, che fanno cose buone e quelle cattive, che fanno cose cattive. Questa è l’unica differenza.( frase tratta dal film )
Latu Elisabeta Bianca
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lelloconte
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sabato 17 marzo 2012
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il rifugio dell'anima.
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Per puro caso, girovagando con il telecomando , ho visto i titoli d'inizio di questo splendido film. E’ stato un attimo e sono stato travolto dagli eventi descritti. Provare sensazioni cosi forti mi ha emozionato. L'immersione nella realtà americana degli anni 2000 , è stata morbida , graduale , ma poi violenta, scatenata dall’innata paura dell’ignoto. La scenografia , i luoghi scelti e le musiche sembravano prenderti per mano e condurti verso sensazioni di piacere , interrotte da sofferenza partecipata per gli eventi descritti. Il tema dell'autismo , cosi coinvolgente , ridà voce a persone isolate dal contesto della cosiddetta normalità , assurgendo a poesia nel momento in cui i personaggi , spogliati dei loro sogni , affrontato i disagi più atroci che la vita possa riservare.
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Per puro caso, girovagando con il telecomando , ho visto i titoli d'inizio di questo splendido film. E’ stato un attimo e sono stato travolto dagli eventi descritti. Provare sensazioni cosi forti mi ha emozionato. L'immersione nella realtà americana degli anni 2000 , è stata morbida , graduale , ma poi violenta, scatenata dall’innata paura dell’ignoto. La scenografia , i luoghi scelti e le musiche sembravano prenderti per mano e condurti verso sensazioni di piacere , interrotte da sofferenza partecipata per gli eventi descritti. Il tema dell'autismo , cosi coinvolgente , ridà voce a persone isolate dal contesto della cosiddetta normalità , assurgendo a poesia nel momento in cui i personaggi , spogliati dei loro sogni , affrontato i disagi più atroci che la vita possa riservare. La perdita di un figlio trascina nell'abisso dell’incomprensione i due protagonisti . Il dolore struggente si trasmette all’anima di ciascuno, facendo toccar con mano il dolore più grande esistente , la perdita di un figlio. Il tema spazia dalla psicosi generata dall’attentato alle torri gemelle, fino all’omertoso comportamento del migliore amico del bimbo assassinato , sol perchè musulmano. L’ingenuo sposo autistico, nel vedere un’unica distinzione tra bene e male , spinge i suoi limiti, oltre il possibile, girovagando per portare al mondo il suo messaggio “ Non sono un terrorista” L’interpretazione di entrambi i protagonisti è superba, stupisce non veder premiato questo maestoso film, che esalta l’ amore per la giustizia e l’amore vero. Sono rimasto incollato al monitor , estasiato dalle musiche ed in particolare dal sorriso contagioso della protagonista, che accetta con gioia di condividere la sua vita con l’autistico.Ho pianto tanto, senza vergognarmi , gli eventi cosi ben descritti , sono entrati dentro di me , fino a rendermi partecipe di un dolore mai provato.Film da oscar.
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tonysierra
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lunedì 11 febbraio 2013
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un genio con difficoltà
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Il lunghissimo film scorre senza stancare, anzi, ha affrontato un problema serio come la Sindrome di Aspergher in un modo sublime.
Gli interpreti sono stati bravissimi, le espressioni dei loro volti a volte trasmettevano più di mille parole.
Nel film vengono affrontati molti temi tra cui, malattia, pregiudizio, intelligenza, amore, odio, volontariato......tutti rappresentati con un grande spessore.
Film da vedere e rivedere assolutamente!!!
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greatsteven
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martedì 23 maggio 2017
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originale storia con al centro un eroe generoso.
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IL MIO NOME è KHAN (IND/USA, 2010) diretto da KARAN JOHAR. Interpretato da SHAH RUHK KHAN, KAJOL, CHRISTOPHER B. DUNCAN, KATIE A. KEANE, KENTON DUTY, BENNY NIEVES, JIMMY SHERGILL, SONYA JEHAN, PARVIN DABAS, ARJUN MATHUR
Rizwan Khan nasce in India, perde il padre giovanissimo e viene allevato da una madre paziente che sa apprezzare le sue ottime qualità.
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IL MIO NOME è KHAN (IND/USA, 2010) diretto da KARAN JOHAR. Interpretato da SHAH RUHK KHAN, KAJOL, CHRISTOPHER B. DUNCAN, KATIE A. KEANE, KENTON DUTY, BENNY NIEVES, JIMMY SHERGILL, SONYA JEHAN, PARVIN DABAS, ARJUN MATHUR
Rizwan Khan nasce in India, perde il padre giovanissimo e viene allevato da una madre paziente che sa apprezzare le sue ottime qualità. Di religione musulmana, affetto dalla sindrome di Asperger, abilissimo nelle riparazioni di fortuna a tempo di record e con una memoria prodigiosa per le date, la matematica e la geografia, Rizwan cresce nel paese d’origine fino all’età adulta, quando sua madre gli consiglia di trasferirsi negli Stati Uniti, sull’esempio del fratello maggiore Zakir, e crearsi una vita felice. L’uomo va a vivere a Banville, all’ombra di San Francisco. Il fratello gli trova un posto come venditore ambulante e rappresentante di creme di bellezza. Là conosce la dolce e simpatica parrucchiera Mandira, sua conterranea di religione induista, se ne innamora, ne è ricambiato e la sposa dopo un divertente e ossessivo corteggiamento. La donna è divorziata e ha un figlio piccolo di nome Samir, di cui Rizwan diventa padre putativo. Tutto procede magnificamente fino agli attentati dell’11 settembre 2001: con l’esplosione del terrorismo islamico e la minaccia della jihad in terra statunitense, fioccano in tutto il paese gli episodi di intolleranza nei confronti dei musulmani, e Khan è vittima degli stessi, anche da parte della moglie, che comincia a non fidarsi più di lui dopo che il figlio Samir viene aggredito in un campo da calcio e ucciso a forza di percosse mentre cercava di riconquistare l’amicizia del coetaneo Reese. Questi conosce gli assassini dell’amico musulmano, ma tace, rendendo la vita infernale a Mandira, oppressa dal dolore per il terribile lutto, tanto che propone sarcasticamente a Khan di andare dal Presidente degli Stati Uniti, rivelargli il suo nome e asserire di non essere un terrorista. L’uomo, nella sua ingenuità, la prende alla lettera e, alla fine del 2007, intraprende un lungo viaggio da un versante all’altro del paese, percorrendo più volte la sua superficie, facendo tappa in varie località più e meno importanti (Santa Fe, Los Angeles, Wilhemina, dove aiuta la piccola comunità autoctona a difendersi dal devastante uragano Molly del 2008), incontrando vari ostacoli e venendo perfino arrestato quando è a un passo dall’incontrare il capo dello Stato. A quel punto, specialmente dopo l’impegno civile profuso per aiutare le vittime della tempesta oceanica, sale alla ribalta della cronaca nazionale, divenendo oggetto dei telegiornali che lo ritraggono come un uomo semplice ma determinato che intende a tutti i costi realizzare il suo sogno di incontrare il Presidente. Nel frattempo è ormai giunto il 2009, finisce la legislatura Bush e il nuovo capo dello Stato è Barack Obama, che accoglie fraternamente Rizwan e lo celebra come esempio di risolutezza e purezza di cuore. Khan ha felicemente coronato il suo obiettivo, ritornando a vivere con serenità e spensieratezza l’amore sincero per Mandira, che finalmente si ricrede e riprende ad amarlo. La carta vincente è senza dubbio il protagonista di S. R. Khan, l’attore più in voga della Bollywood odierna, che tratteggia con simpatia e carineria un uomo affetto da una lieve forma di autismo che si rapporta col mondo senza mai abbandonare i suoi rituali (tenere la testa chinata in avanti, giocherellare con tre sassolini nella mano) ma neanche l’abitudine di dire sempre la verità e un’onestà di fondo tanto disarmante quanto commovente. E il film sa commuovere e far ridere al tempo stesso, come ogni commedia degna di questo nome dovrebbe fare. Indebolita soltanto da alcune ingenuità di sceneggiatura nella descrizione del disturbo autistico del personaggio principale (ma del resto il libero adattamento viene ribadito anche nei titoli di testa) e da un impianto made in Bollywood che calca troppo la mano sui mielosi intermezzi musicali e sulla ricerca sfrenata di leziosità coreografiche, la trama mette in scena una storia interessante, che ha, come molti critici hanno giustamente osservato, numerosi punti di contatto con Forrest Gump: Khan è un uomo schietto, un eroe non convenzionale, un paladino della diversità che, al pari dell’idiot savant di T. Hanks, sa compiere imprese straordinarie semplicemente nel nome dell’altruismo e della carità, credendo fermamente negli scopi che si pone e senza demordere mai prima di averli conseguiti, costi quel che costi, anche affrontare la possibile perdita di un amore o un viaggio in lungo e in largo per una vasta nazione. L’intelligenza della sceneggiatura sta nel mescolare il pathos all’autoironia, nel destrutturare i pregiudizi su chi è portatore di handicap ma riesce comunque ad edificarsi una vita, nel prendere di mira il fondamentalismo mediante una critica profonda e lucida delle ingiustizie razziali e nel descrivere un quadro famigliare che si completa con l’arrivo del protagonista, rischia di spezzarsi con la violenta morte di Samir e poi si ricompone grazie all’avventura solitaria intrapresa da Khan nel tentativo di salvare sia la sua passione amorosa con Mandira, sia la nomea nobile e pulita del suo popolo. Non a caso la madre illuminata, tramite un esempio reso con un disegno su un foglio bianco, gli spiega che il mondo si divide in persone buone e persone cattive, e non c’è religione o credo che tengano, quando si ha a che fare con la benevolenza o la malvagità dell’essere umano. A suo modo, è anche una pellicola politica, perché ha l’ulteriore pregio di esaminare con uno sguardo distaccato, e sempre più documentaristico che politicizzato, i problemi che stanno alla radice della difficile convivenza dei popoli in una società multietnica come quella americana del Nuovo Millennio. Khan non fa distinzioni di razza, fede religiosa o provenienza geografica, lui è disposto a fornire il suo sostegno disinteressato a chi si trova in condizione di urgente necessità, e questo gli permette di essere amato e di provare ad amare a sua volta, benché egli stesso riconosca con saggezza che fatica ad esprimere i propri sentimenti, quantomeno senza ricorrere alle parole. Nonostante abbia la tendenza a ripetere le stesse frasi e a non ascoltare troppo i suoi interlocutori, è una persona profondamente caritatevole, capace di sacrificarsi per gli altri e priva di intenzioni crudeli. Perfino i due giornalisti che riprendono l’arrivo del Presidente all’Università della capitale si accorgono della sua innocenza, e investono, ricorrendo illegalmente ad un hacker, affinché Rizwan possa uscire di prigione, in cui è stato rinchiuso proprio mentre pronunciava la frase che dà il titolo al film: «Signor Presidente! Il mio nome è Khan e non sono un terrorista!». Un cast di caratteri tutti da ricordare, tutti affiatati e bravissimi, con interpretazioni una più stupenda dell’altra, dalla vivace e caparbia Mandira di Kajol a Samir, ragazzino undicenne in cui Khan trova quello che definisce il suo unico amico, dal fratello maggiore Zakir (dapprima restio ad un rapporto tranquillo con lui, ma poi più affezionatogli, specialmente dopo l’ingiusto imprigionamento) al piccolo Reese, omertoso e colpevole d’aver occultato troppo a lungo lo spietato omicidio di Samir, dalla mastodontica Mamma Jenny, protettiva e benigna, al detective Garcia dell’FBI, incaricato di indagare sulla morte di Samir. Riesce addirittura a puntare il dito contro le magagne della burocrazia, senza però dimenticare il discorso etnico intorno all’accettazione della diversità culturale e anche i sentimenti appassionati e scevri di impurità nella gestione delle relazioni di coppia. Vale assolutamente la pena di vederlo in sala. Fra le scene più azzeccate, è doveroso citare: l’idea del giovanissimo Khan di utilizzare una bicicletta per pompare fuori l’acqua dopo l’alluvione nel cortile del maestro che gli dà lezioni private; le corse per i viali californiani di Khan e Mandira, coi loro frizzanti duetti a base di botta-e-risposta; il primo incontro nella casa buia e polverosa con Mamma Jenny e il figlioletto capellone; la sosta nel motel con l’aggressione dei passanti all’albergatore indiano; la dichiarazione accorata e veemente nell’atmosfera notturna del campo calcistico; la predica del primario-terrorista ai fedeli di Allah, con incitazione all’eliminazione fisica del nemico e conseguente denuncia di Khan nei confronti del sobillatore; la tortura psicofisica del protagonista all’interno del carcere federale. Leggermente ingolfato a causa degli indugi emotivi che richiamano senza volere la spudoratezza delle telenovele, ma capace di mantenere una strepitosa omogeneità generale, danza sul filo del rasoio fra divertimento, commozione, narrazione e piacere di raccontare una storia fuori dall’ordinario di cui il cinema ha bisogno ormai da tempo immemorabile. E il Khan attore, nel disegnare il Khan personaggio, merita da solo la spesa del biglietto: quando mai rivedremo un eroe così sicuro di sé, testardo, angelico e inarrestabile che non si fa sconfiggere né dal suo disturbo, né da barriere ad altri insormontabili? La dolcezza che pervade il film, solo a tratti zuccherosa e manierista, è una qualità che non gli difetta e che lo impreziosisce di un malinconico realismo.
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