greatsteven
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martedì 23 maggio 2017
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originale storia con al centro un eroe generoso.
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IL MIO NOME è KHAN (IND/USA, 2010) diretto da KARAN JOHAR. Interpretato da SHAH RUHK KHAN, KAJOL, CHRISTOPHER B. DUNCAN, KATIE A. KEANE, KENTON DUTY, BENNY NIEVES, JIMMY SHERGILL, SONYA JEHAN, PARVIN DABAS, ARJUN MATHUR
Rizwan Khan nasce in India, perde il padre giovanissimo e viene allevato da una madre paziente che sa apprezzare le sue ottime qualità.
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IL MIO NOME è KHAN (IND/USA, 2010) diretto da KARAN JOHAR. Interpretato da SHAH RUHK KHAN, KAJOL, CHRISTOPHER B. DUNCAN, KATIE A. KEANE, KENTON DUTY, BENNY NIEVES, JIMMY SHERGILL, SONYA JEHAN, PARVIN DABAS, ARJUN MATHUR
Rizwan Khan nasce in India, perde il padre giovanissimo e viene allevato da una madre paziente che sa apprezzare le sue ottime qualità. Di religione musulmana, affetto dalla sindrome di Asperger, abilissimo nelle riparazioni di fortuna a tempo di record e con una memoria prodigiosa per le date, la matematica e la geografia, Rizwan cresce nel paese d’origine fino all’età adulta, quando sua madre gli consiglia di trasferirsi negli Stati Uniti, sull’esempio del fratello maggiore Zakir, e crearsi una vita felice. L’uomo va a vivere a Banville, all’ombra di San Francisco. Il fratello gli trova un posto come venditore ambulante e rappresentante di creme di bellezza. Là conosce la dolce e simpatica parrucchiera Mandira, sua conterranea di religione induista, se ne innamora, ne è ricambiato e la sposa dopo un divertente e ossessivo corteggiamento. La donna è divorziata e ha un figlio piccolo di nome Samir, di cui Rizwan diventa padre putativo. Tutto procede magnificamente fino agli attentati dell’11 settembre 2001: con l’esplosione del terrorismo islamico e la minaccia della jihad in terra statunitense, fioccano in tutto il paese gli episodi di intolleranza nei confronti dei musulmani, e Khan è vittima degli stessi, anche da parte della moglie, che comincia a non fidarsi più di lui dopo che il figlio Samir viene aggredito in un campo da calcio e ucciso a forza di percosse mentre cercava di riconquistare l’amicizia del coetaneo Reese. Questi conosce gli assassini dell’amico musulmano, ma tace, rendendo la vita infernale a Mandira, oppressa dal dolore per il terribile lutto, tanto che propone sarcasticamente a Khan di andare dal Presidente degli Stati Uniti, rivelargli il suo nome e asserire di non essere un terrorista. L’uomo, nella sua ingenuità, la prende alla lettera e, alla fine del 2007, intraprende un lungo viaggio da un versante all’altro del paese, percorrendo più volte la sua superficie, facendo tappa in varie località più e meno importanti (Santa Fe, Los Angeles, Wilhemina, dove aiuta la piccola comunità autoctona a difendersi dal devastante uragano Molly del 2008), incontrando vari ostacoli e venendo perfino arrestato quando è a un passo dall’incontrare il capo dello Stato. A quel punto, specialmente dopo l’impegno civile profuso per aiutare le vittime della tempesta oceanica, sale alla ribalta della cronaca nazionale, divenendo oggetto dei telegiornali che lo ritraggono come un uomo semplice ma determinato che intende a tutti i costi realizzare il suo sogno di incontrare il Presidente. Nel frattempo è ormai giunto il 2009, finisce la legislatura Bush e il nuovo capo dello Stato è Barack Obama, che accoglie fraternamente Rizwan e lo celebra come esempio di risolutezza e purezza di cuore. Khan ha felicemente coronato il suo obiettivo, ritornando a vivere con serenità e spensieratezza l’amore sincero per Mandira, che finalmente si ricrede e riprende ad amarlo. La carta vincente è senza dubbio il protagonista di S. R. Khan, l’attore più in voga della Bollywood odierna, che tratteggia con simpatia e carineria un uomo affetto da una lieve forma di autismo che si rapporta col mondo senza mai abbandonare i suoi rituali (tenere la testa chinata in avanti, giocherellare con tre sassolini nella mano) ma neanche l’abitudine di dire sempre la verità e un’onestà di fondo tanto disarmante quanto commovente. E il film sa commuovere e far ridere al tempo stesso, come ogni commedia degna di questo nome dovrebbe fare. Indebolita soltanto da alcune ingenuità di sceneggiatura nella descrizione del disturbo autistico del personaggio principale (ma del resto il libero adattamento viene ribadito anche nei titoli di testa) e da un impianto made in Bollywood che calca troppo la mano sui mielosi intermezzi musicali e sulla ricerca sfrenata di leziosità coreografiche, la trama mette in scena una storia interessante, che ha, come molti critici hanno giustamente osservato, numerosi punti di contatto con Forrest Gump: Khan è un uomo schietto, un eroe non convenzionale, un paladino della diversità che, al pari dell’idiot savant di T. Hanks, sa compiere imprese straordinarie semplicemente nel nome dell’altruismo e della carità, credendo fermamente negli scopi che si pone e senza demordere mai prima di averli conseguiti, costi quel che costi, anche affrontare la possibile perdita di un amore o un viaggio in lungo e in largo per una vasta nazione. L’intelligenza della sceneggiatura sta nel mescolare il pathos all’autoironia, nel destrutturare i pregiudizi su chi è portatore di handicap ma riesce comunque ad edificarsi una vita, nel prendere di mira il fondamentalismo mediante una critica profonda e lucida delle ingiustizie razziali e nel descrivere un quadro famigliare che si completa con l’arrivo del protagonista, rischia di spezzarsi con la violenta morte di Samir e poi si ricompone grazie all’avventura solitaria intrapresa da Khan nel tentativo di salvare sia la sua passione amorosa con Mandira, sia la nomea nobile e pulita del suo popolo. Non a caso la madre illuminata, tramite un esempio reso con un disegno su un foglio bianco, gli spiega che il mondo si divide in persone buone e persone cattive, e non c’è religione o credo che tengano, quando si ha a che fare con la benevolenza o la malvagità dell’essere umano. A suo modo, è anche una pellicola politica, perché ha l’ulteriore pregio di esaminare con uno sguardo distaccato, e sempre più documentaristico che politicizzato, i problemi che stanno alla radice della difficile convivenza dei popoli in una società multietnica come quella americana del Nuovo Millennio. Khan non fa distinzioni di razza, fede religiosa o provenienza geografica, lui è disposto a fornire il suo sostegno disinteressato a chi si trova in condizione di urgente necessità, e questo gli permette di essere amato e di provare ad amare a sua volta, benché egli stesso riconosca con saggezza che fatica ad esprimere i propri sentimenti, quantomeno senza ricorrere alle parole. Nonostante abbia la tendenza a ripetere le stesse frasi e a non ascoltare troppo i suoi interlocutori, è una persona profondamente caritatevole, capace di sacrificarsi per gli altri e priva di intenzioni crudeli. Perfino i due giornalisti che riprendono l’arrivo del Presidente all’Università della capitale si accorgono della sua innocenza, e investono, ricorrendo illegalmente ad un hacker, affinché Rizwan possa uscire di prigione, in cui è stato rinchiuso proprio mentre pronunciava la frase che dà il titolo al film: «Signor Presidente! Il mio nome è Khan e non sono un terrorista!». Un cast di caratteri tutti da ricordare, tutti affiatati e bravissimi, con interpretazioni una più stupenda dell’altra, dalla vivace e caparbia Mandira di Kajol a Samir, ragazzino undicenne in cui Khan trova quello che definisce il suo unico amico, dal fratello maggiore Zakir (dapprima restio ad un rapporto tranquillo con lui, ma poi più affezionatogli, specialmente dopo l’ingiusto imprigionamento) al piccolo Reese, omertoso e colpevole d’aver occultato troppo a lungo lo spietato omicidio di Samir, dalla mastodontica Mamma Jenny, protettiva e benigna, al detective Garcia dell’FBI, incaricato di indagare sulla morte di Samir. Riesce addirittura a puntare il dito contro le magagne della burocrazia, senza però dimenticare il discorso etnico intorno all’accettazione della diversità culturale e anche i sentimenti appassionati e scevri di impurità nella gestione delle relazioni di coppia. Vale assolutamente la pena di vederlo in sala. Fra le scene più azzeccate, è doveroso citare: l’idea del giovanissimo Khan di utilizzare una bicicletta per pompare fuori l’acqua dopo l’alluvione nel cortile del maestro che gli dà lezioni private; le corse per i viali californiani di Khan e Mandira, coi loro frizzanti duetti a base di botta-e-risposta; il primo incontro nella casa buia e polverosa con Mamma Jenny e il figlioletto capellone; la sosta nel motel con l’aggressione dei passanti all’albergatore indiano; la dichiarazione accorata e veemente nell’atmosfera notturna del campo calcistico; la predica del primario-terrorista ai fedeli di Allah, con incitazione all’eliminazione fisica del nemico e conseguente denuncia di Khan nei confronti del sobillatore; la tortura psicofisica del protagonista all’interno del carcere federale. Leggermente ingolfato a causa degli indugi emotivi che richiamano senza volere la spudoratezza delle telenovele, ma capace di mantenere una strepitosa omogeneità generale, danza sul filo del rasoio fra divertimento, commozione, narrazione e piacere di raccontare una storia fuori dall’ordinario di cui il cinema ha bisogno ormai da tempo immemorabile. E il Khan attore, nel disegnare il Khan personaggio, merita da solo la spesa del biglietto: quando mai rivedremo un eroe così sicuro di sé, testardo, angelico e inarrestabile che non si fa sconfiggere né dal suo disturbo, né da barriere ad altri insormontabili? La dolcezza che pervade il film, solo a tratti zuccherosa e manierista, è una qualità che non gli difetta e che lo impreziosisce di un malinconico realismo.
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solo un'opinione
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martedì 9 settembre 2014
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di che parliamo?
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Da dove iniziare??
Come sempre le mie vogliono essere riflessioni e non recensioni..
ma cosa riflette questo film?? dove porta il tuo pensiero??
Mi vengono in mente quei racconti parabola che ogni forma di educazione o
religione contiene e propaga per indirizzare i suoi sudditi.
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Da dove iniziare??
Come sempre le mie vogliono essere riflessioni e non recensioni..
ma cosa riflette questo film?? dove porta il tuo pensiero??
Mi vengono in mente quei racconti parabola che ogni forma di educazione o
religione contiene e propaga per indirizzare i suoi sudditi.
E non è certo una critica, se non ci fossero i pensieri, i valori, gli ideali
e le differenze tra essi probabilmente saremmo già estinti…
dove sono volati i miei pensieri??
in talmente tanti luoghi che nemmeno sono certo di recuperarli…
Parliamo di come sia complicato per un genitore che ha due o più figli far capire loro che le loro diversità
possono implicare soltanto un diverso modo di dimostrar loro il proprio amore e non una diversa dose dello stesso?
Parliamo di differenze, di normalità, di anormalità, del filo sottile che forse
ingiustamente li separa??
Parliamo della profonda intelligenza che può nascondere la povertà o della profonda
povertà che può nascondere la ricchezza?
Parliamo dei paradigmi dell’educazione che una madre che non ha niente può tramandare al figlio, e
del rispetto che lo stesso in nome del sentimento che li lega può portarlo a raggiungere mete
che agiate famiglie non potranno mai acquistare con il potere del denaro?
Parliamo di come la vita può unire o separare figli dello stesso sangue, ma che infondo nessuna vita
separerà mai?
Parliamo di discriminazione e razzismo, di pregiudizi? Parliamo quindi di ignoranza? Parliamo di come questi ci
impediscano non soltanto di conoscere, ma anche spesso di imparare, migliorare, capire e perchè no anche di vivere
emozioni vere?
Parliamo di come molto spesso una discreta cultura, una piccola dose di curiosità siano l’ingrediente
fondamentale per vivere una vita senza annoiarsi mai pur non facendo nulla che la nostra società definirebbe
“eccezionale”?
Parliamo di come si può essere felici se il nostro spirito è puro e la nostra vita poggia la sua felicità su
basi tanto solide quanto semplici?
Parliamo di quando una persona riesce a sentire e vedere oltre l’apparenza e a cogliere aspetti che la diffidenza ci
nega per sempre?
Parliamo di quanto ogni problema ed ostacolo può esser superato con sogni e desideri e un pizzico di amore o fede, chiamatela
come volete
Parliamo di vita? parliamo di morte?
Parliamo di determinazione e onore, uniti al rispetto, e alla forza di volontà come motore per superare gli ostacoli della ragione?
Parliamo di affetto, e di legami, che uniscono persone lontane in maniera indissolubile molto di più di quanto non facciano contratti
scritti in varie forme e la cui consistenza si strappa con la facilità con cui si strappa la carta?
Parliamo di quanto sia difficile cogliere la vera intelligenza se essa non si dimostra nei canoni in cui siamo abituati a valutarla?
Parliamo di scelte? di quanto la mente e la ragione ci porta spesso distanti da quello che dovrebbe essere il nostro destino, da quel
velo sottile che sembra giudarci ma che la maggior parte dei casi non assecondiamo?
Parliamo di come sia importante per qualsiasi esistenza, in alcuni momenti della propria vita, avere al proprio fianco
persone che ne hanno condiviso anche solo una piccola parte?
Parliamo di rabbia e di forza interiore che ci portano a sbagliare e non sempre in maniera rimediabile?
Parliamo di come sia spesso importante avere la forza, il coraggio e la determinazione di seguire il proprio istinto?
Parliamo di come il successo raggiunto ci porti lontano dall’essenza di quanto magari ci ha portato a quel successo?
Parliamo di quando la paura ci porta a fare delle scelte che tradiscono la nostra storia o i nostri ideali?
Parliamo del potere delle parole?? di quelle pronunciate, di quelle lette o di quelle che non siamo mai riusciti a dire?
Parliamo di quanto la leggerezza e la superficialità per quanto facili da praticare non ci porteranno praticamente mai ad una forma
di felicità o gioia che duri più di qualche rapidissimo istante?
Parliamo di quanto cambia il mondo attorno a noi, se abbiamo conoscenza di ciò che ci circonda, di quanto verificata
quella condizione tutto ci appare interessante o ci svela un segreto fino a quel momento nascosto o ignorato?
Parliamo di cos’è quella cosa che spinge alcune persone ad anteporre anche la loro stessa vita pur di mantenere una promessa fatta?
Parliamo del perchè spesso chi sfugge agli schemi mentali della nostra società riesce a compiere azioni che la società valuta speciali
che lei per prima ti spinge a non compiere?
tentando di mantenere un ordine cronologico io ci ho visto dentro tutto questo… e penso, davvero non sia poco… filmone!!
K-h-an, mi raccomando, con l’epiglottide!!! non sbagliate!!
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tonysierra
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lunedì 11 febbraio 2013
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un genio con difficoltà
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Il lunghissimo film scorre senza stancare, anzi, ha affrontato un problema serio come la Sindrome di Aspergher in un modo sublime.
Gli interpreti sono stati bravissimi, le espressioni dei loro volti a volte trasmettevano più di mille parole.
Nel film vengono affrontati molti temi tra cui, malattia, pregiudizio, intelligenza, amore, odio, volontariato......tutti rappresentati con un grande spessore.
Film da vedere e rivedere assolutamente!!!
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francesco2
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giovedì 21 giugno 2012
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mai fidarsi...
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Mai fidarsi di chi sostiene un'antitesi tra la cultura "letteraria"e "libresca", in antitesi a quella "Pratica".
A parte che non sono neanche convinto d iquest'antitesi, chi sostenga che conoscere sui libri è inutile è, probabilmente, un furbacchione . Come furbo è appunto questo film: mischia (Come hanno già osservato persone più importanti) "Rain Man"e "Forrest Gump", oltre ad un altro film ancor più fastidioso di questo, "The Milionaire" (Almeno nella demagogia "anti-cultura", anche se qualcuno mi ha fatto argutamente notare che non era d'accordo). C'è persino qualcosa della Mira Nair più ruffiana, quella di "Monsoon Wedding" e del "Destino nel nome" (Certo, non che "Salaam Bombay" fosse trascendentale).
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Mai fidarsi di chi sostiene un'antitesi tra la cultura "letteraria"e "libresca", in antitesi a quella "Pratica".
A parte che non sono neanche convinto d iquest'antitesi, chi sostenga che conoscere sui libri è inutile è, probabilmente, un furbacchione . Come furbo è appunto questo film: mischia (Come hanno già osservato persone più importanti) "Rain Man"e "Forrest Gump", oltre ad un altro film ancor più fastidioso di questo, "The Milionaire" (Almeno nella demagogia "anti-cultura", anche se qualcuno mi ha fatto argutamente notare che non era d'accordo). C'è persino qualcosa della Mira Nair più ruffiana, quella di "Monsoon Wedding" e del "Destino nel nome" (Certo, non che "Salaam Bombay" fosse trascendentale).
Chissà, però, che rispettoa "The Milionaire" non ci sia un mesaggio un pò meno scontato: un viaggio lungo gli USA post 11 Settembre, metafora del percorso che, a quanto pare, i musulmani debbono intraprendere in quel paese (E non solo).
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lelloconte
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sabato 17 marzo 2012
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il rifugio dell'anima.
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Per puro caso, girovagando con il telecomando , ho visto i titoli d'inizio di questo splendido film. E’ stato un attimo e sono stato travolto dagli eventi descritti. Provare sensazioni cosi forti mi ha emozionato. L'immersione nella realtà americana degli anni 2000 , è stata morbida , graduale , ma poi violenta, scatenata dall’innata paura dell’ignoto. La scenografia , i luoghi scelti e le musiche sembravano prenderti per mano e condurti verso sensazioni di piacere , interrotte da sofferenza partecipata per gli eventi descritti. Il tema dell'autismo , cosi coinvolgente , ridà voce a persone isolate dal contesto della cosiddetta normalità , assurgendo a poesia nel momento in cui i personaggi , spogliati dei loro sogni , affrontato i disagi più atroci che la vita possa riservare.
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Per puro caso, girovagando con il telecomando , ho visto i titoli d'inizio di questo splendido film. E’ stato un attimo e sono stato travolto dagli eventi descritti. Provare sensazioni cosi forti mi ha emozionato. L'immersione nella realtà americana degli anni 2000 , è stata morbida , graduale , ma poi violenta, scatenata dall’innata paura dell’ignoto. La scenografia , i luoghi scelti e le musiche sembravano prenderti per mano e condurti verso sensazioni di piacere , interrotte da sofferenza partecipata per gli eventi descritti. Il tema dell'autismo , cosi coinvolgente , ridà voce a persone isolate dal contesto della cosiddetta normalità , assurgendo a poesia nel momento in cui i personaggi , spogliati dei loro sogni , affrontato i disagi più atroci che la vita possa riservare. La perdita di un figlio trascina nell'abisso dell’incomprensione i due protagonisti . Il dolore struggente si trasmette all’anima di ciascuno, facendo toccar con mano il dolore più grande esistente , la perdita di un figlio. Il tema spazia dalla psicosi generata dall’attentato alle torri gemelle, fino all’omertoso comportamento del migliore amico del bimbo assassinato , sol perchè musulmano. L’ingenuo sposo autistico, nel vedere un’unica distinzione tra bene e male , spinge i suoi limiti, oltre il possibile, girovagando per portare al mondo il suo messaggio “ Non sono un terrorista” L’interpretazione di entrambi i protagonisti è superba, stupisce non veder premiato questo maestoso film, che esalta l’ amore per la giustizia e l’amore vero. Sono rimasto incollato al monitor , estasiato dalle musiche ed in particolare dal sorriso contagioso della protagonista, che accetta con gioia di condividere la sua vita con l’autistico.Ho pianto tanto, senza vergognarmi , gli eventi cosi ben descritti , sono entrati dentro di me , fino a rendermi partecipe di un dolore mai provato.Film da oscar.
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perdicca
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lunedì 12 marzo 2012
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deludente.
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Una via di mezzo tra Rain Man e Forrest Gump, ma lontano mille miglia dai due capolavori. Troppo esagerato, troppa musica chiassosa, troppe lacrime facili. Inverosimili al punto da sembrare comiche le scene dell'uragano, con inevitabile arrivo dei nostri a salvare i sopravvissuti.
Lo spunto del razzismo anti musulmano dopo l'11 settembre era buono, ma mal sfruttato. Ci sono film made in Bolliwood migliori.
[+] ignoranza dell'essere.
(di lelloconte)
[ - ] ignoranza dell'essere.
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maorucc
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mercoledì 12 ottobre 2011
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ottimo lavoro
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Il mio nome è Khan
Ottimo film, ottima interpretazione, ottima sceneggiatura ma quello che ha più valore sono i contenuti. Bravi tutti.
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elisabeth_bianca
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domenica 25 settembre 2011
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il mio nome è khan
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Il mio nome è Khan
In un aeroporto, alla fila per l’imbarco un uomo, apparentemente musulmano, visibilmente agitato prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella mano. Questa scena segna l’inizio del film “ il mio nome è Khan”. Un film bollywoodiano che dimostra la crudeltà, la sofferenza e l’assurdità dell’odio razziale e del terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino molto intelligente, affetto sin dalla nascita di una particolare forma di autismo, la Sindrome di Asperger. Questa malattia consente di comunicare meglio in forma scritta che orale ed impedisce di intuire le reazioni altrui. È questo il motivo per cui Khan è spaventato dai rumori forti, dal colore giallo
e dai posti che non conosce.
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Il mio nome è Khan
In un aeroporto, alla fila per l’imbarco un uomo, apparentemente musulmano, visibilmente agitato prega in lingua araba facendo roteare in modo compulsivo tre sassi nella mano. Questa scena segna l’inizio del film “ il mio nome è Khan”. Un film bollywoodiano che dimostra la crudeltà, la sofferenza e l’assurdità dell’odio razziale e del terrorismo.
Rizvan Khan è un bambino molto intelligente, affetto sin dalla nascita di una particolare forma di autismo, la Sindrome di Asperger. Questa malattia consente di comunicare meglio in forma scritta che orale ed impedisce di intuire le reazioni altrui. È questo il motivo per cui Khan è spaventato dai rumori forti, dal colore giallo
e dai posti che non conosce.
Tenendo compagnia al padre, in un’ officina dove lavorava, Khan impara a riparare tutto ciò che possiede un motore. La scomparsa successiva del padre lo catapulta in un mondo difficile dove la madre gli fa da filtro rivolgendo molte più attenzioni a lui che al fratello minore, che sviluppa una forma di gelosia.
Successivamente, ormai cresciuto e diventato un uomo, Khan, dopo la morte della madre, si trasferisce negli Stati Uniti dal fratello emigrato e in carriera da tempo.
Rispettando la promessa a sua madre, di formare una propria famiglia, Khan lavorando come rappresentante di prodotti cosmetici conosce Mandira una madre, indù, single che lavora come parrucchiera. I due si affezionano sempre più e decidono di sposarsi prendendo il cognome “Khan” sia Mandira che il figlio.
Proprio dal cognome “Khan” inizieranno i problemi a causa dell’ attentato dell’11 settembre 2001. Dopo questa data la vita dei non americani d’America cambia radicalmente e ci si trova a fare i conti con il razzismo allo stato più crudele, tanto da portare all’uccisione del figlio, ormai adolescente, di Mandira, da parte di alcuni bulli. Annegando nel suo dolore di madre, nell’odio e nella vendetta Mandira lascia Khan, accusandolo e accusando se stessa di essersi sposati dando al figlio un nome musulmano.
Nella sua innocenza Khan decide di incontrare il presidente per rivolgerli una sola frase: “ Il mio nome è Khan e non sono un terrorista “. Questa è la frase che Rizvan Khan deve dire al Presidente degli Stati Uniti dopo che il senso di colpa di essere musulmano è stato scaricato sulle sue spalle con forza. Durante il suo viaggio racconterà la sua storia, scrivendo un diario.
Il film riesce a sviluppare i molteplici argomenti della diversità senza mai assumere toni predicatori e andando a toccare tutto il pubblico. L’handicap mentale, la separazione all’interno del mondo religioso, l’irrazionale caccia al musulmano e anche l‘amore tra due persone così diverse, entrano come temi forti in un film diverso, particolare, coinvolgente che ha in sé una vitalità e una tale forza. Forse perché è stato fatto guardando culture diverse con la voglia di farle incontrare.
Il film vive di momenti di pura drammaticità purtroppo reali negli scontri razziali e nelle difficoltà degli altri popoli a vivere con dignità in un paese non loro.
Un film bellissimo, a mio parere, che fa riflettere e aiuta a stare bene con gli altri. Perfetto per chi non può fare a meno di piangere sorridendo.
Al mondo esistono due categorie di persone: quelle buone, che fanno cose buone e quelle cattive, che fanno cose cattive. Questa è l’unica differenza.( frase tratta dal film )
Latu Elisabeta Bianca
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dadowolf
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mercoledì 17 agosto 2011
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film musulmano anti americano.
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Troverete in questo film un' ottimo inizio che vi saprà certamente prendere, ma dopo poco perderete in lui tutto il suo fascino a causa di innumerevoli stereotipi sugli americani e sul mondo occidentale. Oltretutto la sceneggiatura ha una tendenza filo musulmana improntata ad elevare l'uomo bianco al male degli islamici. Scadente.
[+] boh.......
(di francesco2)
[ - ] boh.......
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bluraymen
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giovedì 14 luglio 2011
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estremamente emozionante !!
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Che dire ; fantastico ,eccezionale , emozionante, stupendo, mai noioso, potrei trovare 1000 sinonimi positivi e continuare a elogiare questo film per ore e ore.
Oserei dire : più bello di Forrest Gump....quindi fate voi.
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