“Il Gladiatore” di Ridley Scott riapriva i sipari su un’epoca descritta da un’infinità di capitoli che la parabola del cinema ha sempre rielaborato in un instancabile turnover di ricicli nei più disparati connotati qualitativi.
L’epoca dei Kolossal,dal “Ben Hur” di Niblo del 1926 agli sfilacciati epigoni peplici degli anni ’60,vedeva l’età di Roma antica come il culto narrativo di un brano di storia irrinunciabile al contesto immaginifico di cui il cinema si faceva mezzo di diffusione.
Scott si è limitato a riaprire uno spiraglio tematico,evitando il dischiudersi della voragine commerciale di rievocazioni polverose e patetiche sequele e fatto salvo per sparuti esemplari,Roma e il suo costume,si fermarono lì.
Ma il regista,come sempre,ha svolto bene il suo lavoro e “Il Gladiatore” respira delle migliori pagine del libro del cinema di oggi. Per rendersene conto basta accostarsi a “Troy”,”Alexander”,”300”,”L’ultima Legione” e valutare con sincerità privata da ogni forma di critica recensiva la sostanza delle sensazioni sottopelle che ognuna di queste opere lascia nello spettatore che esce dalla sala del “Gladiatore”.
Il nuovo film di Neil Marshall “Centurion” tesse un racconto storico-fantastico prendendo spunto dal massacro della Nona Legione Romana da parte delle popolazioni britanniche durante la conquista da parte dell’Impero di quelle terre nel corso del primo secolo D.C. Marshall approccia la storia fornendo una versione spettacolare della presunta sparizione della Legione durante la guerra contro i Pitti,le tribù barbare che si opposero all’invasione e lo fa creando un parallelo con il romanzo della scrittrice Rosemary Sutcliff “The Eagle of Ninth”,ispirazione a sua volta per Kevin Mcdonald per l’omonimo film da lui diretto.
Il brillante appeal narrativo che il regista riversava in “Descent”,si coagula nel fiume di sangue versato senza misura in questo dramma privo del respiro della storia e del vigore delle percezioni passionali.
Patria,Amore e Dedizione ritmano una esposizione fitta dei clichè e degli archetipi di un lavoro finito solo in superficie e senza afflato epico. La voce fuori campo di Quintus fornisce il commento metaforico del film,richiamando i valori essenziali del soldato e dell’uomo,in questo ordine.
I concetti di dovere e onore innestati nel centurione dal padre,ne fanno l’elemento allegorico del suo popolo,una nazione cresciuta nel segno della gloria e della virtù,condizioni espresse nell’atto della conquista e del predomino.
Marshall sottolinea che l’investitura è biunivoca.
Tutto il film è costruito sull’elemento ossessivo che accomuna le due parti nelle rispettive situazioni.
Il predatore diventa la preda isolata in un territorio ostile e fatta oggetto di una caccia spietata da parte chi a sua volta è spinto a braccare dallo stesso senso dell’onore dell’effige dell’aquila romana.
Infatti nella breve quanto insipida parentesi sentimentale,che fornirà il duplice epilogo della storia,quando Quintus incontra la negromante Pitti Arianne che fornirà soccorso ai fuggitivi,questa mette in guardia il soldato su Etain,che la strega definisce un vuoto simulacro che può solo essere riempito dal sangue romano.
“Centurion” è un film con valori nella media,scorrevole e di piacevole lettura,se si eccettuano le incongruenze storiche e le troppo evidenti allusioni al “Gladiatore” (“…qualsiasi cosa esca dalla nebbia,mantenete la posizione” si coordina con la stessa frase pronunciata da Maximo nell’arena e la sequenza che precede il massacro della Legione nella foresta,sembra estratta dall’incipit del film di Scott,modalità di montaggio compreso).
Il regista imbastisce la narrazione secondo un impianto prospettico che interpreta le realtà esistenziali dei due protagonisti Quintus e Etain,che qui incarnano i due popoli e le loro aspirazioni,le tradizioni,il senso dell’onore e della conquista,di terre o di libertà,l’unione e il sacrificio.
Ma la conclusione resta il tradimento dell’ideale,là dove nell’uomo e nel popolo,virtù e merito si vanno smarrendo.
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