The Ring 2

Arianna Finos

Il Japan horror ha incarnato lui: Hideo Nakata, 44 anni, sorridente e paffuto maestro del brivido giapponese. È il padre di Ringu, ovvero il film di paura che è stato il più consistente incasso di tutti i tempi e ha generato il remake americano The Ring, che ha guadagnato 130 milioni di dollari negli USA e 10 milioni di euro in Italia. Non è un caso che gli americani abbiamo chiamato proprio lui per dirigere The Ring 2, sequel della storia del fantasma Samara e della videocassetta maledetta. Nakata è un vero esperto dei meccanismi che generano terrore: ha diretto Ringu 2, quindi Ringu 0 nonché una serie di altri film horror su cui Hollywood ha già messo le mani. Arriverà, infatti, una nidiata di rifacimenti tra cui Dark Water rivisto dal brasiliano Walter Salles, con Jennifer Connelly. Mentre Robert De Niro sarà protagonista di Chaos, remake di Kaosu. Con procedimento inverso, Nakata si dedicherà invece al remake del thailandese The eye, di cui è appena arrivato nelle sale italiane il sequel (The eye 2).
Insomma, questo timido giapponese dall’aria mite e con un fisico da hobbit tolkeniano è ormai una vera ossessione elevata a culto per quelli che Franco Battiato in un celebre disco definì con perfidia «gli idioti dell’orrore». Sarà per questo che l’arrivo nelle sale di The Ring 2 è un vero evento. Torna Samara, la bimba abbandonata gettata nel pozzo dalla madre adottiva
che per vendicarsi genera una videocassetta maledetta: chi la vede muore entro sette giorni. Il volto sempre coperto dai capelli neri e gli occhi spiritati, Samara (Kelly Stables) questa volta vuole impossessarsi del corpo di Aidan (David Dorfman), il figlio di Rachel (Naomi Watts): ha deciso che sarà lei la madre che le è sempre stata negata. Il cerchio, aperto nel primo The Ring, qui si chiude.
Il regista amplifica la sua tecnica in sottrazione, crea lentamente la tensione lavorando sul non visto, le scene più cruente le lascia all’immaginazione. Forse per questo Ring 2 è stato bollato dai critici usa come meno pauroso del primo, eppure ha già incassato 36 milioni di dollari nel primo weekend americano, a dimostrare che il pubblico ha riconosciuto (e apprezzato) la mano del maestro giapponese.
Da Il Venerdì di Repubblica, 1 aprile 2005

di Arianna Finos, 1 aprile 2005