Paolo D'Agostini
La Repubblica
Davvero apprezzabile quello che Daniele Ciprì e Franco Maresco hanno fatto in Come inguaiammo il cinema itaIiano - La vera storta di Franco e Ciccio. In questa temperie di «riapertura del dibattito critico» sul cinema italiano di serie B, che tale era e resta anche se la fiera delle vanità personali dei riscopritori lo promuove a una serie A mai pretesa, i registi palermitani non annaspano per dimostrare una qualità che non c’era. Raccontano con passione e senza intellettualismi, chi erano i due comici sottoproletari che Modugno portò alla fama con Rinaldo in campo e che negli anni 60 superprodussero un cinema dagli incassi fastosi e popolarissimo in periferia. Documentario con tutti i crismi (grazie anche alla collaborazione dell’edizione palermitana di Repubblica) ma personalizzato dalla vivace impronta di stile dei due ragazzacci dell’estetica del mostruoso, il film non manca della filologia necessaria: l’attenzione al regista che più ha valorizzato Franchi e Ingrassia, Lucio Fulci, le note sugli incontri «alti» - Pasolini che forse non li capiva ma vi trovava incarnata l’Italia preindustriale, Fellini, Petri, Taviani - e la sottolineatura del divaricarsi tra il desiderio selettivo di Ciccio e l’onnivora generosità di Franco. Né manca l’ombra di contiguità mafiosa che avvelenò gli ultimi anni di vita di Franco. Ma il tocco più prezioso lo danno i figli, presenti al Lido, dalle cui parole emerge cristallino il senso di dignità e di rispetto e anche di amore per li proprio lavoro lasciato loro in preziosa eredità dai padri.
Da La Repubblica, 9 settembre 2004
di Paolo D'Agostini, 9 settembre 2004