A.I. Intelligenza artificiale

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Un film di Steven Spielberg. Con Haley Joel Osment, Jude Law, Frances O'Connor, Sam Robards, Jake Thomas.
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Titolo originale A.I. Artificial Intelligence. Fantascienza, Ratings: Kids+13, durata 146 min. - USA 2001. MYMONETRO A.I. Intelligenza artificiale * * * - - valutazione media: 3,17 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Una recensione fuori tempo e luogo Valutazione 0 stelle su cinque

di Domenico Argondizzo


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venerdì 13 marzo 2009

La prima domanda che mi ponevo, subito dopo averlo visto, era come sarebbe stato se a girarlo fosse stato S. Kubrick. In effetti domande così banali sarebbe il caso di lasciarle fare ai tanti cialtroni del giornalismo televisivo, ma oramai me l’ero posta ed ho trovato un giusto compromesso con il mio snobismo rispondendo che probabilmente, se a girarlo fosse stato Kubrick, avrei versato meno lacrime o non ne avrei versate affatto. A parte questo, il film mi ha colpito come succede una, al massimo due volte in una stagione cinematografica (a volte, purtroppo, meno di una volta per diverse stagioni…). Non voglio raccontarvi della trama ma delle riflessioni diciamo pure filosofiche che spinge a fare. Prima di tutto, l’ambientazione futura e fantascientifica (neanche tanto) pone come risolte in maniera drammaticamente negativa tutte le problematiche ambientali a cui ancora oggi potremmo dare una risposta diversa dalla noncuranza. Vi è poi la questione della diversa velocità a cui evolve il pensiero etico rispetto alle realizzazioni tecnico-scientifiche. Mi riferisco, precisamente, alla mancanza di capacità dell’uomo di prevedere e metabolizzare le ripercussioni rivoluzionarie che la tecnica può avere sul suo orizzonte emotivo, sulla sua vita ideale e, non per ultima, sulla sua psiche. L’incapacità di anticipare e quindi di sapere se e come affrontare queste interrelazioni pone l’uomo in un pericoloso ritardo che potrebbe raffigurarsi metaforicamente con l’immagine di un primitivo che, creata la fionda, si spari un sasso nell’occhio. Nulla da meravigliarsi se in questi ampi spazi lasciati vuoti dalla cultura facciano breccia ed imperversino varie subculture, di varia a matrice, che, di fronte ai problemi del progresso tecnico, conoscono un grezzo strumento di non-analisi, quello del totale rifiuto in nome di una “morale”. Quanto questa chiusura contribuisca ad essere impreparati ai fatti che, comunque, l’evoluzione della tecnica produce, risulta del tutto evidente. Vi è poi una terza questione che il film pone, quella della domanda di senso che da sempre connota il nostro relazionarci con il mondo che ci circonda. La prospettiva da cui si affronta, è quella del “cosa resterà di noi”, che tipo di testimonianza un eventuale essere del futuro potrà avere della nostra civiltà, una volta che questa si sarà estinta. Cosa le sopravvivrà? La risposta data, coerentemente con il taglio privato-intimista di tutto il film, è che sarà l’amore, il sentimento più forte che l’uomo è capace di provare verso un altro umano, non importando che tale manifestazione emotiva sia “vissuta” (con totale identificazione) da un essere creato artificialmente della tecnica umana. Partendo da questo ultimo elemento, che potrebbe essere una emblematica ironia sul destino dell’uomo, può provarsi a dare una ulteriore risposta. Allargando la visuale dalla storia del singolo, per ricomprendervi la sua interrelazione con gli altri, quindi la/e società, il conflitto scienza - etica può trovare la sua unica reale composizione, cioè quella politica. E’ in essa che l’etica ha trovato da sempre il banco di prova per le sue idealizzazioni: nella risoluzione non più solo del rapporto del singolo con la propria ricerca di senso, ma soprattutto del rapporto sociale inteso come creazione di un senso condiviso e comune. La politica può orientare la scienza e la tecnica nella risoluzione dei problemi umani ed anche dei problemi che le stesse realizzazioni tecniche pongono.

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